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20 Luglio 2014

Ero un bambino

Tempo di lettura: 3 minuti


Dove abito non c’è un bel clima ma io sono un bambino: cosa vuoi che me ne importi?
Io voglio giocare e divertirmi.
Fa caldo questo pomeriggio ma è bello stare sulla spiaggia perché la brezza che arriva dal mare ti rinfresca la pelle.
La sabbia, sotto i piedi, scotta moltissimo.
Fa proprio un caldo infernale oggi ma non c’è niente di meglio che una bella partita di pallone in spiaggia per svagarsi un po’ in questa stagione rovente.
I mondiali di calcio saranno anche finiti ma, per noi bambini, ogni partita è come se fosse la finale.
Noi la giochiamo senza portiere, a porta unica: da quella bottiglia a quell’altra.
Abbiamo fatto la conta ed io sono in squadra con Ramez; contro di noi giocano Ahed e Zakaria.
Le squadre sono venute bene perché io ho 9 anni e Ramez 11, la somma delle nostre età fa 20; Zakaria e Ahed hanno 10 anni a testa e la somma fa 20.
Tutti insieme abbiamo 40 anni, una media di 10 anni a testa.
Nella vita apparteniamo tutti alla stessa famiglia, ma nel calcio bisogna schierarsi: due di qua e due di là.
Fa un caldo terribile oggi ma, quando corri sulla sabbia prendendo a calci un pallone, senti soltanto il piacere di sfidare il vento.
E quando corri in questo modo, senti di avere un coraggio ed una forza da leone; quelli che servono per poter andare contro chi ti sembra più forte di te.
Stavamo già uno a zero per noi quando, mentre stavo scartando Zakaria e Ramez mi urlava di passargliela, ho sentito una specie di ruggito…
No, non usciva dalla mia bocca; io non mi ero fatto suggestionare troppo dalla fantasia.
Era un missile!
Li conosciamo bene anche noi bambini.
È passato sopra le nostre teste, sopra la sabbia, sopra la palla, sopra le bottiglie di plastica.
Mi sono messo il pallone sotto il braccio e, senza metterci d’accordo, insieme agli altri abbiamo iniziato a correre come se fossimo tutti della stessa squadra, avessimo appena segnato il gol del pareggio e volessimo tornare in fretta a centrocampo per vincere la partita.
Abbiamo cominciato a scappare verso gli alberghi, verso i giornalisti, verso un tetto sotto il quale ripararsi.
Poi ho sentito un altro ruggito, questa volta assordante e fragoroso quindi dilaniante e doloroso.
Sono inciampato ma ho fatto in tempo a vedere Zakaria, Ahed e Ramez cadere in terra, davanti a me, come se avessero subito un fallo tremendo, una scorrettezza inimmaginabile, una violenza inconcepibile.
Mi ricordo di aver provato a dire: “Rosso, arbitro!”… ma l’unico rosso che ho fatto in tempo a vedere era quello del mio e del loro sangue che bagnava la spiaggia di Gaza.
Mentre la sabbia mi riempiva la bocca ed il mio respiro si faceva sempre più faticoso, ho capito che l’arbitro della vita non avrebbe mai espulso i responsabili di quei falli orrendi e che nessuna punizione, nessun rigore avrebbe potuto più ridarmi il sapore di una corsa contro il vento, il profumo di una risata con gli amici o l’abbraccio fresco del mare.
Ero un bambino e ora sono diventato un piccolo respiro nel vento, uno di quelli che però riesce a far sventolare di più la bandiera della mia gente.
Volevo solo giocare e divertirmi e adesso, che non potrò più farlo, continua a rimanermi il dubbio che abbiate capito, che mi abbiate capito: IO ERO UN BAMBINO!

Ismael Mohammed Bakr di 9 anni, Ahed Atef Bakr di 10 anni, Zakaria Ahed Bakr di 10 anni e Mohammed Ramez Bakr di 11 anni sono stati uccisi da un missile israeliano sulla spiaggia di Gaza il 15 luglio scorso.
Il portavoce militare israeliano Moti Elmoz ha dichiarato: “Per ora posso solo dire che abbiamo attaccato un obiettivo sospetto sulla spiaggia”.
Il presidente Shimon Peres, in un’intervista, si è detto “dispiaciuto” e ha definito la morte dei quattro bambini a Gaza “un incidente”.
Forse un Sms gratuito, inviato poco prima a qualche utente palestinese, ha avvisato del bombardamento in arrivo; così, dietro tale ignobile alibi, gli assassini di Zakaria, Ahed, Ramez e Ismael possono continuare a lavare la propria coscienza, lurida di crimini contro l’umanità.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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