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Postino: “Cioè voi che volete dire allora, che il mondo intero no? il mondo intero proprio… dico col mare, col cielo, con la pioggia, le nuvole…”
Neruda: “Ora tu puoi già dire eccetera eccetera…”
Postino: “Eh, eccetera eccetera… cioè il mondo intero allora è la metafora di qualcosa?

Chi ha amato Massimo Troisi avrà riconosciuto senz’altro uno dei dialoghi più belli tra il poeta Pablo Neruda (Philippe Noiret) e Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) presenti nel film Il postino, vero e proprio testamento spirituale della sua parabola umana e artistica. Nelle righe seguenti vorrei giustificare come, nella domanda posta da Troisi-postino al poeta Neruda, possa essere ritrovato l’inizio di un percorso che conduca ad un ‘mondo diverso’, auspicato anche da quel #andràtuttobenesenontorneràtuttocomeprima,  lanciato pochi giorni or sono da questo giornale.

Il vecchio modello deterministico

Possiamo riconoscere, nella logica sottesa ai numerosissimi contributi comparsi sui media nelle ultime settimane sugli scenari successivi alla fase emergenziale della panidemia, l’adesione ad una impostazione deterministica, causa/effetto, dove in modo automatico si fanno discendere conseguenze positive nel caso in cui verranno presi certi provvedimenti o, al contrario, situazioni problematiche, in caso di scelte opposte.
Scrive sulle pagine del Financial Times Y. N. Harari [Qui]:L’umanità deve fare una scelta. Vuole proseguire sulla strada della divisione o prendere quella della solidarietà globale? Se sceglierà la divisione, non solo prolungherà la crisi ma probabilmente provocherà catastrofi ancora peggiori in futuro. Se sceglierà la solidarietà globale, la sua sarà una vittoria non solo sul nuovo coronavirus, ma anche su tutte le epidemie future e sulle crisi che potrebbero scoppiare in questo secolo.”.
In questa, ma in tantissime altre analisi, si presuppone cioè un cambiamento del modello produttivo e sociale così radicale e profondo che, per essere attuato, dovrà vieppiù basarsi su una mobilitazione sociale e politica sostenibile, a meno di dover pensare ad una auto-correzione del sistema decisamente poco credibile. Ma se da un lato si può convenire sulla direzione tracciata, auspicandone peraltro calorosamente la realizzazione, dal’altra parte il modello di interpretazione utilizzato, quello meccanicistico, lascia per forza di cose, muti sullo sfondo, i soggetti a cui consegnare tale portata innovativa, affidandone le modalità attuative alle stesse istituzioni economiche e politiche, le stesse che hanno condotto il pianeta a tale impasse, delegando proprio a loro l’eventuale conversione.
Il rischio sotteso a tale impostazione è che, dopo un primo periodo di esaltazione riformatrice seguente alla presa di coscienza nelle diverse comunità della profondità dei danni causati dal modello di sviluppo fin qui seguito, vi sia un riassestamento dei ‘poteri forti’, tendente solo ad un restyling economico-finanziario, i cui costi sarebbero semplicemente redistribuiti su più Paesi, ma sempre sui medesimi soggetti e soprattutto al di fuori di una differente presa in carico istituzionale delle nuove responsabilità politiche che un tale nuovo corso comporterebbe. Scrive S. Zizek che: “per cambiare davvero le cose bisognerebbe ammettere che all’interno del sistema esistente niente può esser davvero cambiato” (Come un ladro in pieno giorno,2019, p.22) .
Proviamo, quindi, a modificare l’approccio metodologico. Le soluzioni adottate dai governi per uscire dall’emergenza ci hanno posto di fronte a delle grandi novità, che prefigurano una soluzione basata su rapporti completamente diversi dal mondo fino ad oggi conosciuto. Un mondo fondato sostanzialmente sulla centralità dell’individuo, sull’interesse e sul mercato globale. Si vorrebbe invece dare inizio, prefigurare un mondo diverso, completamente nuovo.

Metafora di qualcosa d’altro

Nel dialogo proposto all’inizio di queste note, il postino Troisi chiede se il mondo della quotidianità presente “è metafora di qualcosa d’altro“. Proviamo a riproporre qui, all’interno di questo percorso, la stessa domanda. Nella nuova realtà che stiamo vivendo oggi, vediamo agire una comunità scientifica mai come ora così disposta a mettere in comune conoscenze utili a tutti; governi che nelle sedi internazionali tentano di superare tabù economici mai messi in discussione prima; cittadini che toccano con mano tutta la differenza esistente, di fronte a problemi vitali per la sopravvivenza, dall’essere guidati da leadership responsabili rispetto a imbonitori capaci solo a soddisfare pulsioni del momento. Bene, questa nuova realtà può essere considerata ‘metafora’ di qualcosa d’altro?
In un testo di H.J.Berman veramente fondamentale per la comprensione dello sviluppo delle istituzioni politiche e sociali, testo che fu molto amato dallo storico Paolo Prodi, troviamo scritto: E’ stato detto che le metafore dell’altro ieri, sono le analogie di ieri, e i concetti di oggi.” (H.J.Berman, Diritto e rivoluzione, Il Mulino,1998,p.175).
Ecco il percorso: dalla ricerca di ‘metafore‘, attraverso il riconoscimento di ‘analogie , per arrivare infine ai ‘concettiutili per passare dall’ignoto al noto. Pensare per metafore e analogie porta, nel corso del tempo, a superare una logica causale, a poter accogliere via via nuove relazioni che, collegando il ‘nuovo’ con il ‘vecchio’, possono individuare le altre idee che sono in grado di mantenere il cambiamento.
Negli ultimi tempi, è sempre più evidente e tangibile come gli aspetti del linguaggio siano fondamentali per comprendere la dinamica dei cambiamenti: non solo per gli apporti letterari, ma anche per quelli scientifici in generale. Osserva a tal proposito Alessandro Pascolini (uno ricercatore senior dell’Università di Padova, già docente di fisica teorica e di scienze per la pace) in una sua straordinaria relazione dal titolo Metafore e comunicazione scientifica: “Mentre le metafore proiettano il ‘noto’ verso ‘l’ignoto’, le analogie si sforzano di riportare ‘l’ignoto’ al ‘noto’: davanti a un oggetto o a un fenomeno ancora largamente sconosciuto ne tentano la spiegazione ricorrendo all’analogia con un oggetto o con un fenomeno conosciuto.”  [Qui]

Con la metafora viene attuato un  procedimento di trasposizione simbolica di immagini, ed ecco che, ad esempio,le spighe di grano ondeggiano, come se fossero un mare. Con tale espediente, da una realtà conosciuta (nella domanda di Troisi “dal nostro mondo”), dal mondo in cui viviamo, possiamo arrivare ad avere immagini di realtà non conosciute. Quello di cui siamo alla ricerca. Sempre seguendo l’interrogativo del film, attraverso la lettura metaforica, il mondo e tutto ciò che ci appare, lo possiamo interpretare come un indice dell’esistenza di ‘Qualcuno’ o ‘Qualcosa’ che, attraverso la natura e i suoi i dati sensibili, ci svela la sua esistenza.
Rapportato tutto ciò al nostro ragionamento, possiamo leggere quindi  la realtà di condivisione e di superamento degli interessi personalistici (‘nessuno si salva da solo’), che stiamo sperimentando nella situazione di epidemia, quale metafora di un mondo ancora a noi sconosciuto e di cui stiamo cercando la tracce. Con la trasposizione metaforica, quindi, ci è consegnato  l’elemento ignoto, il nuovo ordine che vorremmo costruire perché ci salva, e di cui già oggi abbiamo manifestazioni embrionali ma concrete nelle politiche collaborative tra le società coinvolte.
Adesso si pone il problema della costruzione di quel mondo nuovo e del come fare ad acquisirne altri elementi caratterizzanti la sua definizione.

L’analogia: come utilizzare il nostro passato per orientarci nel presente

Ed ecco il secondo momento con l’utilizzo dell’analogia. L’analogia, sfruttando elementi di somiglianza già accaduti in passato, permette di leggere un fenomeno ‘ignoto’ alla luce di uno ‘noto’, ci aiuta a comportarci in una situazione sconosciuta ma che abbiamo visto essere analoga ad una che abbiamo già sperimentata. L’analogia è lo strumento che ci permette di usare il nostro passato per orientarci nel presente. Quindi, per riferire tutto ciò ai fini del nostro discorso, a cosa ancoreremo quel mondo nuovo che oggi solo metaforicamente stiamo conoscendo? A quali analogie potremmo ricorrere? La ricerca è del tutto libera e aperta. Si propone qui a titolo di esempio un percorso tra i tanti possibili, con cui legare in modo concreto ‘analogie utilizzabili’ tra passato e presente.
Molto stimolante risulta essere il riferimento al processo di formazione dello Stato moderno, un processo che, avviatosi tra il 1400 e il 1600, si è concretizzato grazie al superamento delle frammentazioni politiche e delle frammentazioni territoriali precedenti, arrivando a compimento con lo Stato assoluto e poi via via, fino all’approvazione delle Costituzioni.

A tal riguardo, le analogie da prendere in considerazione sono molto interessanti. Certo, non rapportandosi più allo Stato nazionale ma ad una comunità più vasta, come l’Unione europea. Proponiamo di cominciare con la Carta  Costituzionale, punto di arrivo dello Stato nazionale moderno e punto di ri-partenza per la costruzione di una autentica comunità sovranazionale. Non a caso l’attuale establishment, legato soprattutto a tutelare propri interessi economici, non è riuscito fino ad ora ad arrivare all’approvazione di una  Carta Costituzionale Europea, che costituisce il nuovo ‘concetto’ simbolico di cui abbiamo bisogno per legarci anche politicamente in modo serio.
Come le Carte Costituzionali liberali hanno sancito, con il riconoscimento dei diritti  alla libertà e alluguaglianza, la protezione del diritto fondamentale alla proprietà privata dell’individuo rispetto allo Stato, analogalmente una condivisa Carta Costituzionale Europea dovrebbe sancire il diritto delle comunità ad interessi superiori a quelli dei singoli Stati di appartenenza. In realtà, un tentativo di redigere tale Costituzione Europea è già stato fatto, ma definitivamente abbandonato nel 2007 [per approfondire] a seguito dello stop alle ratifiche imposto dalla vittoria del ‘no’ ai referendum in Francia e nei Paesi Bassi.

Tutto questo però prima. Adesso si aprono nuove possibilità, poiché stiamo facendo esperienza diretta di quello che vorrebbe significare per ognuno di noi andare in senso contrario. Utopia? Possiamo ancora rispondere con le parole di Slavoj Zizek, pensatore sloveno oggi tra i più impegnati e propositivi in questa ricerca di possibili vie di uscita e che sta lavorando a un libro aperto dal titolo emblematico, per l’appunto Virus. Scrive Zizek in un recente intervento apparso su Internazionale:Non sono un utopista, non invoco una solidarietà idealizzata tra esseri umani. Ma la crisi attuale dimostra chiaramente che la solidarietà e la collaborazione globale sono nell’interesse di tutti e di ciascuno di noi”[Qui]  
Si tratta quindi di cominciare a cercare sulla Terra, ma anche metaforicamente anche sopra, di andare per l’universo e di guardare non solo a ‘terre nuove’ ma anche a ‘cieli nuovi’, perché lassù è impossibile costruire muri.

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Roberto Paltrinieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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