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Dice Don Giovanni nell’opera mozartiana rivolto a Leporello: “Sento odor di femmina”. Qui al Laido degli Estensi nella settimana bollente del Ferragosto non si sente odor di femmina ma odor di marcio; infatti nonostante le cifre record versate al comune di Comacchio i cassoni esplodono d’immondizia non raccolta, le strade coperte da una spessa coltre di aghi di pino trasudano incuria, indifferenza, sberleffo che si riassume nella ormai italianissima frase “arrangiatevi”. E mentre schiere di imbufaliti rovesciavano rifiuti per terra vicino ai cassoni alla fine (domenica mattina) un poveraccio della ditta appaltatrice arriva a rimuovere con evidente fatica e da solo gli espurghi dei villeggianti. E se non pagassimo più il salatissimo conto che Comacchio invia ai proprietari delle case laidesche e si boicottasse l’ineffabile ditta Brodolini?
Così non resta che imprecare e ripromettersi di non mettere più piede in questo luogo abbandonato al più banale fai da te… se ci riesci.
L’amico Raffaele Manica solennemente annuncia in fb: “Mai letto un libro in spiaggia! Nascondo le pagine sportive dietro quelle dei grandi quotidiani.”
Invece da sempre la lettura o meglio la ri-lettura di testi considerati sacri mi serve ad isolarmi dal piccolo mondo degli ombrelloni, dalla vista di pelli tatuate, di lati b eccessivi, di rigogliose panze (non piante). Sto leggendo il saggio di Massimo Mila sul “Flauto magico” prossimo impegnativo lavoro che in ottobre inaugurerà la tre giorni ideata da Anna Dolfi a Firenze sul tema “Notturni italiani” Confronterò il testo dell’opera mozartiana con la Notte cantata da Pindemonte, con l’”Incubo” di Füssli, con la Regina della notte del “Flauto magico” e con il meraviglioso film di Ingmar Bergman sull’opera mozartiana. Ciò che unisce questi temi è la necessità di sconfiggere la notte della conoscenza e riportare la luce; cosa non molto conosciuta dall’attuale governo con la pervicace sua convinzione di rimandare l’obbligatorietà della vaccinazione. Da buon radical-chic (o shit a seconda di chi mi giudica) nella finzione da spiaggia tengo per la notte, forse obnubilato dall’insopportabile vampa di calore che tutto opprime e tutto avvolge. Così la Regina della notte con i suoi gorgheggi mi affascina e pure tengo per il negro cattivo Monostatos. Rifletto: nel secolo dei lumi, nella luminosa massoneria (quella vera non alla Berlusconi) che avrebbe dovuto produrre l’accesso al tempio solare della bontà, della tolleranza, dell’amicizia perché il cattivo rimane il negro? A cosa aspira Monostatos? A quella uguaglianza di razze, al principio di tolleranza e dell’amicizia? E Monostatos vuole avvicinarsi alla pelle bianca di Pamina, a baciarla, ad accarezzare quelle carni bianche. Invano. Il suo noiosetto padrone Sarastro somma luce del tempio perché lo tiene? Sarebbe come imporre i desiderata dei giallo-verdi con le ‘prove’ richieste da Tria.
Sono consapevole che queste sono riflessioni da bar sport indotte dal caos che nessun tempio della saggezza saprebbe risolvere; così forse per capire a quale punto della notte stiamo arrivando occorre capire l’argentea cattiveria del regno della notte. Volfango ne era ben consapevole. Alcuni grandi saggisti suppongono che la figura del cattivissimo Monostatos come rileva Mila “è tracciata nell’opera con un tocco di popolaresco, ma innegabile razzismo” e si deduce che probabilmente fosse mutuato sul più rispettabile nero di Vienna, amico di Mozart e appartenente alla stessa setta massonica: Angelo Soliman.
In Mozart c’è tutto. Secoli prima. E ancora il simpatico Pappageno col suo vestito piumato, ‘normale’ giovane che cerca la sua Pappagena è anche lui illuminato e sussulterebbe all’ultima trovata del nero Salvini che solleticando l’aspetto più retrivo dei cattolici di destra vorrebbe imporre in luogo di genitore 1 e 2 padre e madre cancellando così 50 anni di lotte per la genitorialità.
Dalla giusta lotta per l’affrancamento dei popoli come accade per il giacobinismo che produce Napoleone possiamo capire quanta strada c’è ancora da percorrere per i ‘negri’. Dalla insopportabile “Capanna dello zio Tom” alla Mamie del film “Via col vento”.
Ora i negri vagano sui battelli e gommoni nel mare ‘nostrum’ o raccolgono pomodori a 2 euro all’ora.
Cosa sarà capace di fare il governo giallo-verde. O meglio il vero ‘capo’ che si chiama non Conte ma Matteo Salvini? Nella domenica del ballo in spiaggia, timidamente s’avvicina il ricciuto bagnino Luca e mi domanda cosa insegnavo all’Università. Glielo ho detto ma mi rimane la curiosità per quella domanda. E scopro che oltre a fare il bagnino e a giocare a football americano (o qualcosa del genere) , Luca si sta laureando in filosofia del linguaggio.
Quanti giovani così straordinari nasconde questa Italia che non si merita di diventare Itaglia?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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