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Giorno: 14 Dicembre 2021

La Sinistra per Ferrara aderisce convinta allo sciopero del 16 dicembre

 

La Sinistra per Ferrara sostiene e aderisce convintamente allo sciopero del 16 dicembre prossimo indetto da CGIL e UIL, ritenendo inaccettabili le motivazioni addotte dalla CISL per defilarsi.
Le lotte vanno sostenute unitariamente da tutti i lavoratori e la manovra del governo ci vede assolutamente insoddisfatti. Draghi è stato l’artefice delle peggiori politiche liberiste dei padroni contro i lavoratori e anche stavolta ha partorito una manovra che va sempre nella solita direzione. Noi chiediamo redistribuzione dei redditi e invece il governo risponde con la solita manovra che sposta risorse dal basso verso l’alto.

Il 16 dicembre 2021 saremo presenti a Roma a fianco alla CGIL e alla UIL.

Per La Sinistra per Ferrara
Kiwan Kiwan

 

“Virginia Union Gospel Choir feat J. David Bratton”
21 dicembre 2021 ore 21.00 al Teatro Nuovo di Ferrara

J. DAVID BRATTON, gigante della musica Gospel, produttore, autore, insegnante, dopo il successo ottenuto nelle passate tournées, in cui si è esibito in numerosi teatri, chiese ed auditorium ritorna in Italia con una formazione d’eccezione VIRGINIA UNION GOSPEL CHOIR che accoglie i migliori cantanti e musicisti del gospel americano provenienti dalla Virginia e New York, per un totale di 20 artisti. Bratton dopo anni in tour sia negli USA che in Italia ed Europa, miscela sapientemente musiche tradizionali e gospel contemporaneo. Il suo talento, sia come compositore che come interprete e solista, gli ha dato l’opportunità di collaborare con diversi artisti di rilievo del panorama gospel internazionale come Edwin Hawkins (autore di Oh Happy Day) Richard Smallwood, Timothy Wright, Hezekiah Walker, Roberta Flack e Pattie LaBelle ed artisti del calibro di Anastasia, Dee Bridgewater. Virtuoso del pianoforte e dotato di una “vena compositiva” giovane e fresca ha realizzato più di 20 lavori discografici sia come solista che come ospite in progetti altrui.

Nel 2008 il suo brano Selah riceve una nomination ai Dove Gospel Awards come “migliore canzonegospel”. Nel 2014 con Every Praise raggiunge la vetta delle classifiche USA nel circuito Gospel/Spiritual e vince i Dove Awards come “miglior canzone gospel dell’anno”. Sotto la sapiente guida di Bratton Virginia Union Gospel Choir, pur con profonde radici nel gospel tradizionale, desiderano veicolare la tradizione con uno show più giovane e moderno, dove la presenza scenica, l’eleganza e lo stile sono tanto importanti quanto i temi cantati e la vocalità. Voci magnifiche, che hanno imparato a fondersi e sostenersi, raggiungendo una forza di impatto rarissima ed un equilibrio musicale di grande spessore artistico. Ad arricchire l’esibizione del coro la solista Brittany Rumph, soprano di fama internazionale la cui tonalità vocale spazia nei più disparati generi, dall’opera lirica al jazz. In attesa del loro tour in Europa, si preparano a raggiungere il pubblico, per condividere la loro forza vocale, il ritmo propulsivo, le armonie e il virtuosismo individuale, elargendo il loro messaggio di pace.

raccolta mozziconi Plastic Free

 

12 dicembre Ferrara
Domenica mattina l’associazione Plastic Free, con il patrocinio del Comune di Ferrara, ha organizzato per le vie della città un raccolta di mozziconi e piccoli rifiuti con l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini a non gettare più nulla a terra La giornata con temperatura rigida, ma con un bellissimo sole, è iniziata a Porta Paola, dove i volontari, divisi in 5 gruppi, per percorsi diversi raccogliendo con guanti e pinze, hanno raggiunto il centro cittadino.
Una bella foto insieme sotto l’albero in piazza Duomo e tanta sensibilizzazione parlando con i cittadini incuriositi e regalando ai fumatori i porta mozziconi portatili forniti dal Gruppo Hera.

Sono stati raccolti quasi 13 kg di mozziconi con una stima di poco meno di 19.000 pezzi 19.000 GESTI DI INCIVILTA’ Raccolti anche due sacchi grandi di altri piccoli rifiuti e parecchie bottiglie di vetro Una passeggiata ecologica alla portata di tutti, per far capire l’impatto di un gesto considerato banale, ma dal grande peso in termini di inquinamento. Basta davvero poco, come usare un porta mozziconi tascabile per evitare questo scempio, il mondo non è un posacenere.”
Il rientro sempre a Porta Paola dove abbiamo festeggiato bevendo vin brulé, thè e caffè e mangiando l’ottima torta tenerina offerta da un panificio della zona.

Le raccolte Plastic Free sono sempre un momento di ritrovo sociale, di festa, di svago, due ore all’aria aperta tra battute e chiacchiere. Tra un sorriso e l’altro si sensibilizzano le persone, si fa del bene alla natura, all’ambiente e anche a noi stessi.
L’incivile gesto di gettare un mozzicone a terra è un comportamento diffuso, purtroppo quasi normale. Probabilmente non si ha la consapevolezza del il fatto che questo tipo di rifiuto impiega da 5 a 15 anni per degradarsi e nel frattempo rilascia molteplici sostanze tossiche nel terreno, oltre ad essere scambiato come cibo dagli animali causando loro importanti complicazioni anche mortali.

Con questa iniziativa vogliamo portare in evidenza l’entità del problema, diffondere il più possibile il nostro slogan #cambiagesto affinché, questo spiacevole gesto, possa appunto essere cambiato, adottando un comportamento rispettoso e consapevole verso l’ambiente e il territorio.
L'associazione nazionale Plastic Free, ormai ben radicata in tutta la provincia ha come obiettivo la sensibilizzazione sulla pericolosità della plastica dispersa in natura.

L’impatto di questo materiale sugli ecosistemi è devastante e sta diventando insostenibile. La Onlus si sta impegnando tantissimo per portare le persone ad essere più consapevoli su questa tematica ed in soli due anni ha recuperato oltre un milione di kg di plastica e rifiuti, coinvolgendo migliaia di volontari e associati, dirigendo ora la sua attenzione al mondo della scuola per educare i più giovani al rispetto del pianeta. In quest’ottica, oltre alle classiche pulizie ambientali, Plastic Free ha aderito anche alla campagna per sensibilizzare sul tema mozziconi, lanciando l’hastag #cambiagesto.

Platic Free – Ferrara

“Chiuso il congresso per l’elezione del nuovo segretario regionale. Grande partecipazione di iscritti e simpatizzanti.”

Con oltre 35 assemblee svolte sul nostro territorio, si è concluso domenica per la Federazione di Ferrara del Partito Democratico il Congresso per eleggere il nuovo Segretario Regionale.
Un congresso che ha coinvolto tutti i 42 circoli del nostro territorio e che ha visto la partecipazione di oltre 650 tra tesserati, militanti e semplici cittadini che credono nel Partito Democratico. Una grande partecipazione se consideriamo alle difficoltà dovute all’attuale situazione pandemica.
Abbiamo discusso in ogni angolo della nostra provincia, facendo della partecipazione dal basso la nostra forza. Al nuovo Segretario in pectore del PD dell’Emilia Romagna Luigi Tosiani consegniamo le nostre idee per un progetto che possa coniugare innovazione, lavoro e sviluppo attraverso avanzate politiche sociali che favoriscano una crescita partendo dal combattere contro le disuguaglianze che ancora oggi caratterizzano troppo spesso la nostra società.
La comunità del Partito Democratico di Ferrara augura buon lavoro a Luigi Tosiani e ringrazia di cuore il segretario uscente Paolo Calvano per il grande lavoro da lui svolto in questi ultimi sei anni.

Violenza su donne: Zappaterra e Mori, ‘Rafforzare garanzie a vittime e sbloccare legge sui caregivers’

Bologna, 13 dicembre – “Contrastare la violenza sulle donne e le diseguaglianze di genere e rafforzare sul piano culturale e sociale l’empowerment femminile e la possibilità di raggiungere posizioni apicali”. Sono gli obiettivi prioritari da raggiungere per il Pd in Regione Emilia-Romagna, come ha evidenziato la capogrupppo Marcella Zappaterra, durante la seduta straordinaria dell’Assemblea legislativa, convocata dopo un periodo che ha visto la regione teatro di molteplici femminicidi e che ha scosso profondamente le nostre comunità. Un momento di confronto a cui hanno partecipato, con grande impegno, anche la Rete delle Donne Democratiche e i Coordinamenti dei centri antiviolenza e che ha portato a una risoluzione bipartisan di tutte le forze politiche. “Da oggi – ha aggiunto la consigliera del Pd, Roberta Mori – rafforzeremo insieme le azioni integrate regionali, tenendo ben conto della peculiarità culturale della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche bambini e anziani, ai quali si devono applicare le stesse tutele”.
In Italia, in media, ogni tre giorni una donna viene uccisa da un uomo violento e siamo già a 110 vittime dall’inizio dell’anno. Zappaterra pone l’attenzione sulla condizione delle vittime. “La prevenzione è indispensabile – sottolinea – ma è inefficace senza la protezione di un sistema che non si chiuda in compartimenti stagni, ma assuma la sicurezza delle donne come priorità”. “Il tutto – scandisce – senza inefficienze o inadeguatezze del sistema nel contenere i violenti e a proteggere le vittime”. Proprio per questo anche Mori chiede, entrando sul piano concreto, “di continuare a sostenere in ogni sede con coerenza le iniziative integrate e di valutare l’ampliamento dei protocolli con la Corte d’appello di Bologna, con la Procura generale e con tutti i soggetti istituzionali che possano rafforzare la prevenzione e contrasto alla violenza”.
“Ma gli strumenti per contrastare stereotipi di ruolo e di possesso – mette in chiaro Zappaterra – passano attraverso anche la condivisione delle responsabilità di cura, affinché il divario tra uomini e donne non diventi irreversibile”. E quindi, – sottolinea – “come Pd dell’Emilia-Romagna, continuiamo a impegnarci a 360 gradi perché venga approvata la legge sul caregiving familiare, da troppo tempo ferma in Parlamento, che intende riconoscere queste essenziali figure, in gran parte donne, che costituiscono la rete informale di welfare”. “Occorre poi – prosegue – che la legge per la parità salariale e l’istituzione del reddito di libertà, recentemente approvati, si trasformino quanto prima in quotidianità, soprattutto per le donne che stanno perdendo la speranza”.
“Oggi l’Emilia-Romagna – assicura Zappaterra – è pronta a fare la propria parte, perché si è dotata di politiche strutturali, di investimenti significativi e continuativi e di una rete di soggetti istituzionali, associativi, del terzo settore, che insieme intercettano bisogni ed elaborano azioni. Ma non basta: serve una legge quadro nazionale che renda organico il sistema di promozione e tutela dei diritti delle donne in ogni ambito, attuando in modo compiuto la Convenzione del Consiglio d’Europa 2011 per la prevenzione della violenza di genere e domestica”. Insomma, riassume Mori, serve un “nuovo patto di convivenza per il protagonismo paritario delle donne” e chiede “di continuare a rafforzare le attività dei centri antiviolenza, per uomini maltrattanti e il nostro assessorato e la nostra Regione” per rendere la prevenzione della violenza sulle donne sistemica. Perché – ricorda in conclusione – “la violenza sulle donne è violenza sui diritti umani e la violenza non è un destino e non deve esserlo”.

La valle di lacrime

 

E con i primi, esitanti passi dopo la caduta (non il dramma di Arthur Miller, ma il mio capitombolo), comincio ad avere una sazietà spesso ingannevole degli spettacoli che in questo periodo hanno prodotto orrore – ma si sa che spesso siamo attratti dall’orrore – e purtroppo complicità nell’osservarli.

Il più visto e il peggiore, che si svolge in una valle di lacrime, è quello che assorbe mente, cuore e organi sessuali nel sabato sera. Ecco allora che le coppie s’alternano in terrificanti esibizioni (vi piacerebbe, miei pochi lettori che avessi usato il termine performances, ma non cado nella trappola!) lugubri, apparentemente preparati per suscitare pietà, amore e odio, tra volteggi degni di un mediocre Dracula e la puzza di piedi mal lavati.

I ‘giudici’ esprimono disprezzo, amore e piangono. I ballerini piangono. Il pubblico piange. Ma non solo. Piangono anche dalla zia che li ospita la domenica pomeriggio. I singulti riempiono la sala tra gli sguardi duri dei giudici che ribadiscono il loro giudizio finale (e il rimando ad un clima religioso non è casuale), ostentando noncuranza e disprezzo per i non ripescati.

Sì! Come i pesci all’amo. E come gli tsunami che sconvolgono la terra ecco che dal profondo mi esce un urlo: Basta! Mi accorgo che il segno esclamativo punteggia queste righe, ma è naturalmente voluto. Mi son liberato.

Un serpentello maligno però insinua la sua testa viperina per chiedermi/ci: ma questi milioni di spettatori come voteranno? Come giudicheranno la politica? Come esprimeranno un voto – sempre legittimo – per assicurare il loro percorzo democratico?

E il disagio si fa ancor più pruriginoso, quando per curiosità assisto in diretta alle presenze politiche ad Atreju 2021 e alle esternazioni della piccola signora romana dagli occhi tondi. Questo è un esempio tratto dal giornale Il tempo:

“Il centrodestra ha i numeri per essere determinante. Non accetteremo compromessi, vogliamo un patriota al Quirinale”. Oppure: “: “Il Pd sta cercando un capo dello Stato gradito ai francesi, non mi stupisce: in questi anni la sinistra ha favorito la svendita dei nostri asset strategici e delle nostre grandi aziende proprio ai francesi. Noi vogliamo un presidente della Repubblica che piaccia agli italiani”. Poi l’affondo sul segretario Pd Enrico Letta: “è il Rocco Casalino di Macron”. Ne ha anche per il premier Mario Draghi: “Palazzo Chigi è diventato l’ufficio stampa dell’Eliseo”.

Absit iniuria verbis….

Frattanto tengo a capo letto un libro che mi ha insegnato moltissimo in questi frangenti burrascosi: Daniel Mendelsohn [Qui], Tre anelli. Una storia di esilio, narrazione e destino, Einaudi 2021 (Originale, 2020).

Da tempo ho letto tutti i suoi romanzi, ma questo è nel tempo stesso racconto e saggio e si rifà al destino di tre grandi protagonisti esuli ad Istanbul, a cominciare dal più grande critico del Novecento ebreo Erich Auerbach [Qui], che fuggì a Istanbul dalla Germania di Hitler e lì scrisse uno dei libri più importanti della letteratura occidentale, Mimesis.

L’anello di cui si parla è nello stesso tempo digressione ed essenziale modo critico. Scrive nel risvolto di copertina il bravo prefatore Norman Gobetti Mendelsohn racconta «anche una tecnica narrativa, un modo di dare forma alle storie e un senso al mondo: la narrazione ad anello, l’arte della divagazione, l’idea di un viaggio, di un’odissea che permette un ritorno a casa arricchiti».

È uscita in questi giorni una fondamentale opera: Giorgio Bassani, Poesie complete, a cura di Anna Dolfi [Qui] , Feltrinelli, 2021. L’imponente lavoro della Dolfi, certamente la maggior studiosa dello scrittore ferrarese, ripercorre in ogni istante con una superba opera di ricostruzione l’interconnessione ad anello di ogni aspetto degli interessi critici, poetici, narrativi e ancora altro dello scrittore.

Da fonte certa si sa che Bassani, allorché si rivolgeva al mondo ebraico, usava la dizione “loro”. Ecco allora cosa scrive Mendelshon, e Anna Dolfi mi assicura che non conosceva il testo dello studioso, allorché scrisse il suo commento.

Cito: “La concezione ebraica di Dio – scrive Auerbach – non è tanto causa quanto piuttosto sintomo del loro modo di vedere e di rappresentare” (difficile non essere colpiti dall’uso in questo passo dell’aggettivo possessivo “loro”, come se Auerbach stesso non fosse un ebreo; una scelta che m’induce a chiedermi se il suo interesse per l’”opacità” fosse puramente accademico). (p.37)

Di anello in anello si conclude il mio circolar vagando tra gli orrori della televisione generalista. Ora che il camminare ritorna ad essere necessità e guarigione, abbandono le sedute lacrimose e riservo il senso nobilissimo del pianto a ben altri fatti e momenti aiutato in ciò dalle mie Beatrici: Liliana Segre [Qui] ed Edith Bruck [Qui] accompagnate da un critico di vaglia che muove bene il bastone, Natalia Aspesi [Qui].

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

Papa Francesco: “Produrre più armi non è la strada giusta!”
Una sintesi dei dati dei big mondiali della armi realizzata da L’Espresso

di Albert Voncina 
“A me addolora tanto la statistica. Ho letto l’ultima: quest’anno sono state fatte più armi dell’anno scorso. Le armi non sono la strada!”. Lo ha detto  il Papa all’Angelus, 12 dicembre 2021.

Il Covid risparmia i signori delle armi: nuovo record di vendite. Nella top 100 anche Leonardo e Fincantieri

Le 100 società mondiali leader nella produzione e nelle forniture militari confermano il trend positivo nonostante la crisi economica globale provocata dalla pandemia

F-35 italiano

I big mondiali delle armi sono stati risparmiati dalla crisi economica scaturita dalla pandemia del Covid e nel 2020 hanno visto aumentare le proprie vendite per il sesto anno consecutivo, raggiungendo un nuovo record. Ciò emerge dall’ultimo report pubblicato dall’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri). Nella top 100 dei produttori di armi ci sono anche le italiane Leonardo e Fincantieri, classificatesi rispettivamente al tredicesimo e al quarantasettesimo posto della classifica globale.Nello scorso anno le vendite dei 100 maggiori produttori di armi al mondo sono ammontate a 531 miliardi di dollari (circa 470 miliardi di euro), in aumento dell’1,3% rispetto al “prepandemico 2019”, il che conferma un trend positivo nel settore della armi e dei servizi militari in un’annata in cui secondo il Fondo monetario internazionale (FMI) l’economia globale ha registrato una contrazione di 3,1 punti percentuali. Un’industria, quella militare, tuttavia non completamente immune al Covid. Quella del 2020 è infatti la crescita di minore entità rilevata nell’ultimo triennio in un mercato che registra un trend positivo costante dal 2015. La vendita di armi delle 100 aziende leader è infatti aumentata del 17% nell’arco di soli sei anni.

A dominare il mercato globale delle armi ci sono le aziende statunitensi, le quali occupano 41 dei 100 posti in classifica e registrano un giro d’affari di 285 miliardi di dollari (+1,9%), il che equivale al 54% delle vendite mondiali. I produttori USA occupano i primi cinque posti della classifica, guidata da Lockheed Martin (produttrice ad esempio degli aerei da combattimento F-35), leader assoluta dal 2009 e che nel 2020 ha incassato 58,2 miliardi di dollari dalla vendita di armi e servizi militari. Secondo posto per Raytheon Technologies (36,8 miliardi), nata dalla recente fusione tra Raytheon Company e United Technologies Corporation. Sul podio anche Boeing (32,1 miliardi) che ha visto però registrare un calo sia del fatturato “militare” che di quello “civile” data la diminuzione dei viaggi dovuta alle restrizioni messe in atto dai governi per contenere la pandemia.

Sul podio Cina e Regno Unito

Alle spalle dei gruppi statunitensi si classificano cinque società cinesi che assieme rappresentano il 13% del totale della vendita di armi (66,8 miliardi ovvero l’1,5 % in più rispetto al 2020), mentre la terza posizione è occupata dal Regno Unito con sette aziende in grado di generare un giro d’affari complessivo pari a 37,5 miliardi dollari (7,1 % del totale). Spicca la BAE Systems con sede a Londra che si è classificata sesta (24 miliardi) ed è quindi la prima tra le società non americane oltre ad essere l’unica rappresentante del Vecchio continente nella top 10.

Leonardo e Fincantieri

A rappresentare l’Unione Europea, oltre al colosso dei cieli Airbus (undicesimo in classifica con 11,9 miliardi di dollari di vendite militari su un giro d’affari totale pari a 56,8 miliardi), ci sono sei società francesi (Thales, Safran, Naval Group, Dassault Aviaytion Group, CEA e Nexter), quattro tedesche (Rheinmetall, ThyssenKrupp, Krauss-Maffei Wegmann e Hensoldt), mentre Svezia (Saab), Polonia (PGZ), Spagna (Navantia) e Norvegia (Kongsberg Gruppen) hanno una rappresentante ciascuna. Due le italiane, entrambe tra le prime 50. Leonardo e Fincantieri assieme hanno generato vendite per un totale di 13,8 miliardi, pari al 2,6% del fatturato complessivo delle top 100.

Leonardo, holding con sede a Roma che opera direttamente o attraverso proprie controllate nell’Aerospazio e Difesa, nonostante un calo delle vendite di armi del 1,5% rispetto al 2019 ha comunque scalato un posto in classifica e si è piazzata al tredicesimo posto, grazie agli 11,1 miliardi di dollari generati dalle vendite di armi e servizi militari su un giro d’affari totale di 15,2 miliardi. Balzo in avanti invece di Fincantieri, gruppo con sede a Trieste che passa dalla 54esima alla 47esima posizione con 2,6 miliardi di dollari derivanti da vendita di armi (+23% rispetto al 2019) su un fatturato totale di 6,7 miliardi. Tali aumenti (o cali) di fatturato secondo Sipri sarebbero fisiologici per società dalle caratteristiche simili a quelle di Fincantieri. «Fluttuazioni significative nelle vendite annuali di armi sono comuni tra le aziende che costruiscono navi a causa delle tempistiche di produzione molto lunghe».

In Russia il trend è negativo

Nonostante le tensioni al confine con l’Ucraina (presente in classifica grazie alla società UkrOboronProm), che secondo il Washington Post starebbero richiedendo un importante dispiegamento di forze armate da parte del Cremlino, la Russia registra un calo costante nella vendita delle armi. Nel 2020 il giro d’affari di Mosca, rappresentata da nove società nella top 100 e quinta alle spalle di USA, Cina, Regno Unito e Unione Europea, è stato di 26,4 miliardi di dollari, il 6,5% in meno rispetto al 2019 (28,2 miliardi) e ben al di sotto rispetto ai 31,5 miliardi del 2017. Per quanto riguarda il resto del mondo i maggiori produttori di armi si trovano in Giappone, Corea del Sud, Israele, India, Canada, Singapore, Turchia e negli Emirati Arabi Uniti, con vendite complessive pari a 43,1 miliardi di dollari ovvero l’8,1% del fatturato totale dei 100 produttori leader del settore.

Non tutti sono immuni

Non tutta l’industria della difesa ha però visto incrementare il proprio fatturato nell’anno della pandemia. Il rapporto di Sipri menziona il caso di Thales, prima azienda francese e quattordicesima nella classifica globale, che ha visto un calo delle vendite del 5,8 %. Ancora più netta la battuta d’arresto di un’altra rappresentante francese, la Naval Group (- 11%). Entrambe le società hanno motivato questi numeri attribuendo la colpa alle misure messe in atto dai governi per il contenimento della diffusione del virus.

Episodi di diminuzione delle vendite a parte, Sipri rileva come il mercato delle armi sia stato meno penalizzato, se non addirittura favorito dai governi nel 2020. «I giganti del settore sono stati in gran parte protetti dalla domanda di beni e servizi militari sostenuta dai governi. In gran parte del mondo la spesa militare è cresciuta e alcuni governi hanno persino accelerato i pagamenti all’industria militare per mitigare l’impatto della crisi generata dal Covid», spiega la ricercatrice Alexandra Marksteiner.

Questo articolo di è già apparso nei giorni scorsi su PeaceLink 

Fare comunità a Bondeno:
gli incontri del Collettivo Poetico Ultimo Rosso

La poesia può essere anche allegria. Sì avete capito bene. I poeti li consideriamo spesso per la loro aurea melanconica. Più hanno vite complicate e tristi, più sono amati. Come se la componente principale dell’artisticità sia intrinsecamente legata alle vicissitudini di una vita poco facile e sofferente. E forse è anche un po’ vero, perché il loro malessere lo mettono su carta, la maggior parte delle volte. Perché è terapeutico scrivere, creare in questo stato d’animo dà senso a una vita difficile da affrontare. Il senso di frustrazione per ciò che non si può cambiare diventa una molla, la più forte per una produzione prolifica. Dubito però che anche i più grandi, quando si ritrovassero in bar letterari o osterie di quart’ordine, rimanessero indifferenti a quell’atmosfera che si crea tra pari, quell’atmosfera di tutt’altro genere che si può chiamare, in maniera non troppo melensa: cameratismo. Anche se si potrebbe parlare forse, in modo più appropriato, di vera e propria ‘comunità’.

Poesie su gli alberi 4

È quello che è successo ieri a Bondeno per l’iniziativa Poesie su gli alberi ideata da Lidia Calzolari e con il patrocino del Comune di Bondeno. Si è riunita non solo una ‘comunità di poeti’ ma un’umanità che si riavvicina, si stringe e si abbraccia, dopo una pandemia che ci ha lasciato isolati e costretti ad una solitudine mentale e psicologica, oltre che fisica. Con l’adesione in massa del Collettivo Poetico Ultimo Rosso, un pomeriggio freddissimo ma soleggiato, si è trasformato in un convivio colorato e festoso che ha emanato calore. Perché le solitudini a cui l’animo poetico è spesso soggetto, si sono unite e hanno fatto gruppo.

Poesie su gli alberi 3

I testi poetici dei partecipanti sono stati appesi sugli alberi, come addobbi natalizi, regali da donare ai passanti presso il viale centrale del paese. Le letture dei poeti si sono susseguite fino al tardo pomeriggio, quando per scaldare anche i corpi, si sono concessi anche una frittella di mele calda e un bicchiere di vin brulé, presso gli stand natalizi sotto il grande albero di Natale. Ma come si fa a coinvolgere anche i passanti più riluttanti? Semplicemente con l’allegria come hanno fatto alcuni dei poeti del Collettivo, fermandoli, scherzando con loro, giocando con le parole persino. Questa è la poesia che non si chiude nelle biblioteche, che non si ferma nei circoli letterari o sui blog di critica, dove analizzando freddamente contenuti, significati, metafore e anacoluti, si ci accorge che alla fine non rimane più nulla, ma che resta solo un grande discorso rivolto a nessuno e senza nessuna crescita.

Poesie su gli alberi 2

Cosa abbiamo imparato da una pandemia come quella che ancora stiamo vivendo? È ciò che molti si sono chiesti. Forse nulla, come dicono: il surriscaldamento globale continua a distruggere la nostra unica casa, le grosse multinazionali hanno trovato nuovi modi per far soldi e per sfruttare i più deboli, i politici più gentili cercano di conservare la loro poltrona e quelli più scaltri cercano di allargare il proprio potere, i giovani continuano e farsi strada faticosamente lungo il percorso della vita, mentre tutti, anche i meno giovani, cercano semplicemente di resistere e tenersi a galla.

Poesie su gli alberi 5

Rimane l’arte. Quella più incomprensibile ma che esterna e libera impressioni ed espressioni, oppure quella più semplice e comunicativa, rimane l’atavica convinzione che solo lei possa fare da ‘copertina di linus’ tra i poeti, tra le persone, tra i popoli, nelle società più fredde e distaccate. Esplosiva quanto salvifica, è sempre lei che può rendere un pomeriggio di una gelida domenica dicembrina, la maniera migliore di entrare in comunione con gli altri. Perché esprimersi e non castrarsi emotivamente, è la sola via di crescita e di creatività, di positività e di vita.

Una sera per caso
…un racconto

Una sera per caso
Un racconto di Carlo Tassi

Quanto di quello che ci succede accade per caso? Probabilmente tutto, anche ciò che crediamo di poter controllare attraverso le scelte che facciamo ogni giorno.
Libero arbitrio o pia illusione? Fiduciosi artefici del nostro destino o felicemente in balìa di questa cosa caotica chiamata esistenza?
La verità è che viviamo perennemente in bilico, e quando fatalmente ce ne accorgiamo è sempre troppo tardi.

Viki era bellissima coi capelli neri e lisci che portava lunghi e sciolti sulle spalle, ed era ancor più bella quando tornava dall’ufficio coi capelli raccolti da un cerchio di madreperla verde e gli occhiali da vista ancora appoggiati sul naso. Il viso stanco dopo una giornata di lavoro le conferiva un’aria in qualche modo sensuale, e quando glielo facevo notare si scherniva dicendomi che non ero affatto obiettivo perché innamorato, in altre parole che ero rincitrullito.
Da buona italiana le piaceva la pizza e andava matta per il gelato alla nocciola e menta.
Viki era astemia, amava gli animali e odiava il fumo delle sigarette. Suo padre, accanito fumatore, aveva appena superato la quarantina quando morì per un carcinoma ai polmoni, lasciandola orfana all’età di dodici anni.

Avevamo molto in comune io e Viki: lei come me amava andare al cinema e come me preferiva il mare per rilassarsi nel weekend.
C’incontrammo la prima volta al compleanno di Michael, un comune amico. Quella sera i miei amici dovettero insistere parecchio per convincermi a uscire e fare un salto alla festa. Alla fine, mio malgrado, accettai.
Non stavo attraversando un bel periodo: avevo perso i miei genitori in un incidente d’auto appena tre mesi prima e dal giorno della loro morte ero profondamente cambiato. Ero convinto che la vita mi avesse punito con la più grande delle ingiustizie e non sopportavo di stare in mezzo agli altri. Mi sentivo come un guscio vuoto che non aveva più niente da dare, non credevo più in niente e non cercavo l’aiuto di nessuno.

Alla festa mi misi in un angolo a osservare la gente con l’aria di chi non vede l’ora d’andarsene. Fu allora che incrociai lo sguardo di Viki che dopo nemmeno un minuto mi venne incontro per parlare.
A dire il vero, tuttora non ho ben chiaro quale fu il motivo che la spinse ad attaccar bottone proprio con me, ma il fatto è che appena iniziammo ad aprir bocca fu come se ci conoscessimo da sempre.
Viki non mi fece domande sulle cause del mio malessere, io stavo accarezzando il border collie di Michael e lei, senza che le chiedessi nulla, iniziò a raccontarmi del suo cane, di quando ancora bambina raccolse quel cucciolo abbandonato per strada e di quando, dopo quindici anni di vita insieme, gli diede l’ultima carezza prima che un’iniezione del veterinario lo addormentasse per sempre.
Parlammo del mare e della burrasca che c’era stata la notte prima, poi di gite in barca e di libri gialli, dei film preferiti e della musica che ci piaceva ascoltare. Chiacchierammo tutta la notte fino all’alba.
Da quella volta continuammo a vederci regolarmente, finché capimmo che il nostro destino era quello di stare insieme.

Io e lei non smettemmo mai di scambiarci la vita. Lo facevamo in modo semplice: con le parole, coi gesti quotidiani, con gli sguardi, coi pensieri. Usavamo tutto quello che avevamo: i nostri corpi, la nostra immaginazione, gli oggetti che ci circondavano e anche i nostri silenzi.
Era il nostro mondo perfetto, fatto solo per noi. Fino a due anni fa.

E ora che ci penso, ora che finalmente rivedo tutto quanto con la giusta lucidità, in questo nuovo giorno dopo tutti i giorni passati a rimuginare e con tutto il tempo che mi resta per ricominciare…
È già troppo tardi, troppo tardi, troppo tardi.

It’s Too Late (Carole King, 1971)

Per visitare il sito di Carlo Tassi clicca [Qui]

Omaggio a Lina Wertmuller … ricordando Mariangela Melato

 

Arcangela Felice Assunta Wertmuller von Elgg Espanol, nota come Lina Wertmuller, nata da una famiglia di antiche origini svizzere, una donna forte, curiosa, rivoluzionaria, caparbia, diretta, in parole povere una Grande Donna, simbolo di emancipazione e genio artistico.
Genio creativo che ha segnato la strada del cinema anche al femminile. Libera e femminista a modo suo, era solita dire: “Mi sono sempre fatta rispettare, volevo fosse così per tutte”. Raccontava di essere stata una studentessa ribelle e poco incline alla condotta, indole che la portò ad essere cacciata da ben 11 scuole prima di iniziare gli studi teatrali all’età di 17 anni.
La morte non la spaventava, ed era solita affermare nelle interviste: “Un giorno o l’altro morirò e non mi preoccupo. Mal che vada mi farò un gran bel sonno. Se in paradiso si dovesse stare da soli, preferisco non andarci”.
Determinante, nella sua vita artistica, per sua stessa ammissione, fu, nella sua fase iniziale, la collaborazione con Federico Fellini nella Dolce Vita e in Otto e mezzo.
In seguito il suo cinema si mostrerà ribelle, provocatorio, vivo, brillante, spesso immerso negli squilibri della società, ironico, allegro, imprevedibile e anarchico. A questo proposito mi è d’obbligo ricordare il Film d’Amore e d’Anarchia, ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” (1973). La Wertmuller racconta che: “La storia mi era venuta in mente leggendo le notizie sulla stampa dei primi terroristi. Ragazzi e ragazze che pagavano con la vita le loro idee. Se ne parlava paragonandoli ai criminali ma io volevo capire meglio. Mi misi a studiare la storia dell’anarchia. Le storie degli anarchici italiani mi fecero conoscere l’antica radice che l’anarchia ha avuto in Spagna e nel nostro Paese, in particolare in alcune regioni, come Puglia e Toscana. Così nacque la storia di Tunin, contadino lombardo-veneto, innamorato delle idee di un vecchio anarchico ascoltate fin da bambino davanti al focolare, “gli uomini tutti uguali e liberi, come Dio ci ha creato”. Quando vede il suo vecchio amico anarchico ucciso con quattro schioppettate dai carabinieri, decide di sostituirsi a lui e di andare ad uccidere Mussolini.
L’anno dopo (1974) un altro capolavoro di successo, ‘Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto’, dove si intrecciano, tra Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, protagonisti di alcuni tra i film centrali della Wertmuller, un doppio conflitto di cui alla fine è difficile stabilire il vincitore: la lotta di classe e la guerra tra i sessi; il marinaio comunista e la donna in carriera, dirigente aziendale, che il destino fa ritrovare naufraghi su un gommone e in seguito su un’isoletta deserta, dove i loro mondi si scontrano e diventano battaglia, guerra, e alla fine amore.
E’ doveroso citare un altro capolavoro, ‘Pasqualino Settebellezze’, una visione catastrofica totale della sovrappopolazione. Di seguito la regista affermerà: “Mi fa piacere che le mie storie siano amate da milioni di persone perché fanno piangere, ridere e commuovere. E poi, questo film, mi ha fatto entrare nel Guinness dei primati”. Con quattro candidature all’Oscar, Lina fu la prima donna ad essere candidata come miglior regista.
Lina Wertmuller, in questi giorni ha raggiunto la sua adorata attrice e amica Mariangela Melato, scomparsa nel 2013 a soli 71 anni. Si conobbero negli anni ’70 grazie allo scenografo Enrico Job, marito di Lina. Riguardo a quel primo incontro, la regista afferma: “La giovane Melato mi piacque immediatamente per la sua bellezza e per il talento, grande attrice dalla rara intelligenza”. Mariangela, un’attrice indimenticabile ed elegantissima, capace di passare con disinvoltura attraverso tutti i personaggi, da quelli comici a quelli tragici.
Due donne indimenticabili Lina e Mariangela, che hanno saputo raccontare e interpretare con ironia i conflitti sociali, i sentimenti e i temi caldi del nostro Paese, passato e presente.

Mio, suo, nostro

 

Ma gli omìni con bombetta di Magritte [Qui] piovono, salgono o sostano sospesi nell’aria di un cielo terso senza ora? In realtà sembra che si siano fermati giusto per un’ istantanea, ma poi riprenderanno a camminare.

Osservare la realtà con gli occhi della mente. Sembriamo tutti fermi come le sagome nere di Magritte, ma riprenderemo a camminare. È come affacciarsi dalle finestre di Magritte, la realtà non sai più se è quella della tua mente o quella che vedono gli occhi.

La pandemia ha mischiato i piani della percezione, il rapporto figura sfondo, immagine o illusione. Ognuno è sceso nella camera oscura a sfogliare un album di negativi che non è più possibile sviluppare.

È bianco o nero; se la complessità ci spaventava, ora l’aggressione del virus ha ricondotto tutto al linguaggio binario: zero, uno. I colori con cui si combatte la diffusione della malattia non sono tinte, sono barriere, allarmi o preallarmi.

Inevitabile essere soli, come le sagome umane di Magritte, sospese nel vuoto di un giorno e di un luogo qualunque, in attesa di riprendere a camminare. Ma è la sospensione che agita, che crea ansia, che dispiega l’estensione dell’incertezza, se salirai, o se tornerai a posare i piedi sulla terra.

Dovrebbe coglierci un pensiero: quegli omini sospesi nel cielo di Magritte, come segmenti di pioggia, sono tratti di tante esistenze.

Ecco, due anni ormai di pandemia sono una lezione sulle nostre esistenze. “Come vivi?” è la domanda che Edgar Morin [Qui] rivolge al lettore in apertura del suo Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Corona Virus.

Pare che le emozioni abbiano preso il sopravvento sulla vita, che la comunità sociale si sia fatta in disparte. Prevalgono le urgenze individuali, atti e manifestazioni del proprio sé, fino alle esasperazioni, alle patologie. La convinzione delle proprie ragioni non risparmia lo scontro, la deriva, l’autodistruzione.

Ciò che stiamo vivendo in questa stagione di malattia malata è il crescente affermarsi delle singole individualità, una maggiore competitività e una minore disponibilità alla solidarietà.

Gli ambienti universitari, che dovrebbero essere i luoghi in grado di indirizzare e supportare la battaglia per sconfiggere il virus, in realtà denunciano un’alterità intellettuale, che confligge con la necessità di reggere insieme all’urto sociale dell’eccezionalità pandemica.

Tutti segnali di una lenta disintegrazione della comunità sociale in un momento in cui le pressioni economiche e sociali richiederebbero piuttosto un aumento della cooperazione e dell’attenzione verso gli altri e non certo una riduzione di tale disponibilità.

Insieme a questa atmosfera di incipiente crisi sociale, ci sono anche i segni di un crescente malessere emozionale, soprattutto fra i bambini e i giovani. Ciò che colpisce in modo particolare è l’impennata di violenza tra gli adolescenti, il che significa che alcuni minorenni italiani stanno avviandosi all’età adulta con gravi carenze relative all’autocontrollo, alla capacità di gestire la propria collera.

Contribuisce a completare un quadro drammatico il generale aumento di atti violenti, omicidi soprattutto di donne e bambini, tanto che l’Italia risulta essere seconda solo agli Stati Uniti per la frequenza di omicidi.

Se a tutto questo si somma anche l’aumentato uso di droghe e di morti legate alla tossicodipendenza, si ottiene un quadro che mostra il nostro paese pervaso da problemi laceranti, in preda a un crescente malessere.

Un amico mi ha scritto di essere rimasto colpito da una scena vissuta al bar. Una giovane ragazza ventenne alle 14.00 entra e ordina con fare carbonaro, a voce bassa, uno spritz al Campari, mostrando una spanna, dal pollice al mignolo tesi, per far comprendere di che grandezza lo vuole.

La barista riempie un bicchiere: ghiaccio, abbondante dose di Campari più un quarto di Aperol, fetta d’arancia, cannuccia per mescolare e sorbirlo. La ragazza si allontana per sedersi su un alto sgabello e comincia a sorseggiare a occhi chiusi.

“Uno spritz così a quest’ora è un problema..” sussurra il mio amico alla barista, la quale risponde “non è un ‘mio’ problema”. Il mio amico, uscendo dal locale, pensa: “Certo è un ‘suo’ della ragazza, ma potrebbe diventare presto anche un ‘nostro’ problema”.

La risposta della barista al mio amico: “non è un ‘mio’ problema”, significa non sono io responsabile delle scelte di questa ragazza, non mi riguardano.

Gli omini di Magritte, con bombetta e valigetta, come appena usciti dalla City, così estranei a un’idea di società e ai suoi ingredienti, potrebbero essere le controfigure che non vogliamo vedere del ‘come viviamo’, su cui ci interroga Edgar Morin.

La responsabilità. È più facile essere una comunità solidale che una comunità responsabile. Una società in cui ognuno si sente responsabile dei propri atti e di quelli degli altri, questa è la solidarietà più difficile: la responsabilità condivisa.

Il fatto che la pandemia ci abbia posto di fronte alla reciprocità delle nostre scelte, rispetto alla nostra salute e a quella dell’altro, ha disegnato uno scenario nuovo, quello della responsabilità sociale: il ‘nostro problema’ del mio amico. Il suo problema è anche mio. Mio e suo, i problemi sono sempre nostri. Non c’è posto per l’indifferenza. È la lezione di questo Corona Virus.

Responsabilità è la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni, di prevederne gli effetti, di modificarle, di correggerle.

Eugenio Borgna [Qui] pone ‘responsabilità’ tra le parole che ci salvano. Cita il teologo Romano Guardini, il quale sostiene che essere uomini significa essere responsabili dell’esistenza, essere chiamati al bene, ed è questo che conferisce senso alla vita.

Ma responsabilità è una parola di radicale significazione umana: essa ci dice che, quando mi viene richiesto qualcosa, non posso non rispondere: io sono responsabile.

Borgna ci ricorda che responsabilità significa «rispondere del proprio operato, delle proprie azioni», «farsi carico, prendersi a cuore, prendere sopra di sé, farsi avanti, fare la propria parte, non tirarsi indietro», «ammettere, riconoscere le proprie responsabilità».

E poi gli sconfinamenti tematici di responsabilità: assunzione di responsabilità, coscienza, senso del dovere, senso di responsabilità, ma anche irresponsabilità, fuga dalla realtà, leggerezza, superficialità, palleggiamento di responsabilità.

Le ombre nere degli uomini di Magritte, che non salgono e che non scendono, siamo noi indifferenti al mio, al suo, al nostro, incapaci di assumerci le nostre responsabilità.

Per leggere gli altri articoli di Giovanni Fioravanti della sua rubrica La città della conoscenza clicca [Qui]