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Il caso di Concita De Gregorio, rivelato da Report, ha fatto rumore. All’ex direttrice dell’Unità sono stati notificati una quarantina di pignoramenti (fra cui redditi e abitazione), imposti per fare fronte a debiti di cui avrebbe dovuto rispondere l’editore del giornale, che però è fallito.
Ma c’è un’altra vicenda, per molti versi analoga, della quale la stampa si è occupata solo marginalmente. E’ quella di Antonio Cipriani, ex direttore della catena di giornali free-press E-Polis, condannato addirittura a cinque mesi di carcere per omessa vigilanza. La sua responsabilità si estendeva sui 15 giornali del gruppo. Anche in questo caso c’è di mezzo un fallimento e l’assenza dell’editore. Così ad andarci di mezzo è il giornalista, anch’egli, curiosamente, ex dell’Unità, che scrive in proposito: “Fa un certo effetto aprire una mail e scoprire che contiene un ordine di esecuzione per la carcerazione: cinque mesi e qualche giorno per aver omesso, come direttore responsabile del quotidiano E Polis, il controllo su un articolo scritto da un giornalista professionista. Questo dice la sentenza del tribunale di Oristano. Cinque mesi da fare in carcere e in subordine – se verranno accolte come spero le richieste della mia difesa – in affidamento in prova al servizio sociale o ai domiciliari”. Se verranno accolte le richieste del condannato, appunto: perché, diversamente, le manette scatteranno fra un mese. “È solo l’ultimo tassello – aggiunge Cipriani – di una storia assurda e travagliata che va avanti da quattro anni. E mi vede ostaggio di una serie di incongruenze nelle leggi che regolano la professione giornalistica”.

Quel che è accaduto fa riferimento ai tre anni di direzione di E-Polis da parte di Cipriani, fra l’ottobre 2004 e il dicembre 2007. La testata vieni distribuita gratuitamente sino al 2011 quando fallisce sommersa dai debiti. La procedura fallimentare si rivale anche sui giornalisti e Cipriani si ritrova imputato in trentaquattro processi sparsi in tutt’Italia, “perché E-Polis – spiega – usciva e veniva stampato ovunque. Ho cercato di difendermi alla meno peggio – aggiunge – facendomi aiutare da avvocati amici, cercando di evitare il più possibile condanne, cercando di non pagare tutte le spese giudiziarie, rateizzando i debiti con Equitalia, inseguendo gli indulti”. Un calvario fatto di “mattinate passate in questura o dai carabinieri, di carte da leggere, di avvocati da nominare, di udienze”.
Senza nessun editore alle spalle, Cipriani è costretto a fare ricorso ai risparmi di una vita, “perché alla fine tutti si riduce a questo. Se hai i soldi paghi, chiudi con un accordo, ed eviti problemi. Se non hai soldi e combatti, alla fine non puoi che perdere. Perché anche se riesci in tre gradi di giudizio a prevalere, le spese sono talmente alte che quasi conviene accordarsi preventivamente e pagare il riscatto dall’omesso controllo. Anche l’ultima condanna, quella assurda al carcere per un omesso controllo (neanche a scomodare il reato d’opinione, cosa che per altro si tratta) è arrivata per la mancanza di soldi. Perché non avevo denaro per pagarmi un avvocato”.
I costi di un processo sono alti, quelli di trentaquattro processi sono insostenibili, “la partita è persa in partenza. Il rischio è che la libertà di stampa diventi una questione di reddito e di protezioni”. Per scongiurare le conseguenze molti si adattano a fare i ‘violinisti’.

Cipriani amaramente denuncia l’assurdità della legge. “Gli effetti di un fallimento, in alcuni casi a seguito di azioni non proprio limpide degli editori, ricadono sulle fragili spalle di chi invece pensava di poter esercitare la libertà di stampa e di garantirla ai suoi colleghi”. La legge prevede che il direttore responsabile eserciti il controllo preventivo su tutto ciò che ogni giorno viene pubblicato sul suo giornale o, come nel caso di Cipriani, sui suoi giornali. “Ne dirigevo 15 per circa 800 pagine sfornate ogni giorno, come si fa? Eppure, in 33 dei 34 processi mi sono dovuto difendere dall’indifendibile, senza responsabilità dirette sugli eventuali errori. Certo, potevo censurare qualche cronista. Sarebbe stato accettabile? Quando ho bloccato pezzi che contenevano evidenti caratteristiche di diffamazione, sono fioccate le accuse di censura… Figuriamoci”.
Questi i fatti, che potrebbero preludere a un amarissimo epilogo. “La condanna al carcere per omesso controllo mi pare davvero sproporzionata. Già si contesta la carcerazione per un reato d’opinione, in questo caso le responsabilità personali sono davvero minime”. Eppure la libertà di Antonio Cipriani è legata a un esile filo e sta nell’accoglimento della suo ricorso avverso alla sentenza già pronunciata che incombe su di lui.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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