Il mondo ‘a la fin del mundo’. Viaggio in Patagonia e nella Terra del fuoco
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Luoghi enigmatici animati da personaggi coraggiosi e intraprendenti ritratti dalle migliaia di parole che eccellenti scrittori hanno consegnato alla nostra voracità di lettori curiosi e affascinati. Soggetti che hanno acceso nella mia immaginazione lo stimolo a una bramata esperienza da vivere, nel punto geografico del mondo ancora chiamato “la fin del mundo”.
Charles Darwin, Francisco Coloane, Bruce Chatwin in ordine cronologico di nascita, per diverse motivazioni hanno rappresentato al meglio ciò avrei voluto mi rimanesse scolpito nella mente di questo viaggio. Ma vi è anche un quarto narratore, meno famoso, che a mio parere ha lasciato una traccia profondamente poetica del lembo estremo sudamericano: padre Alberto Maria De Agostini.
Nato nel 1883, religioso salesiano, grande esploratore, fotografo e presbitero italiano, padre de Agostini era celebre nell’area perché operava in aiuto agli ultimi indios fueguini, e per le sue grandi esplorazioni della Patagonia e della Terra del fuoco nei primi decenni del ‘900. Da ricordare, oltre alla sua attività di fotografo e documentarista, anche il suo contributo alle scienze naturali e all’antropologia: raccolse minerali e fossili, contribuì attivamente alla classificazione di numerose specie vegetali, approfondì le conoscenze sulla morfologia glaciale delle zone esplorate e descrisse la vita e le tradizioni degli ultimi indigeni.
Un viaggio viene intrapreso frequentemente per percorrere le orme di un esploratore, un mito della propria infanzia o una leggendaria figura della storia; nel mio (nostro) caso (ho condiviso questa esperienza con mia moglie Anna, inizialmente in po’ frenata) molto avviene per un innato e insopprimibile desiderio di scoperta.
Il periodo migliore suggerito per visitare questo triangolo estremo del nostro globo terracqueo è l’inverno del nostro emisfero nord, corrispondente all’estate australe. Previsioni di temperature a Capodanno che si aggirano fra lo 0 °C e qualche grado sotto. Siamo volati da Bologna il 27 dicembre 2010 e, via Roma, siamo atterrati a Buenos Aires con Aerolineas Argentinas 14 ore dopo, dall’altro lato del mondo, dell’Equatore e dell’Oceano Atlantico, alla latitudine della città Sudafricana di Cape Town, a circa 35°C di temperatura (a Bologna avevamo lasciato -5°) e con diverse ore di sonno da recuperare per il fuso orario.
Il trasferimento verso l’albergo ci ricorda che Buenos Aires dopo la crisi del 2000 ha sì un trend di crescita elevato visibile nelle costruzioni che si innalzano al cielo, ma dove le ‘villas miserias’, più note in Brasile come favelas, incombono drammaticamente. Buenos Aires, che visiteremo in parte anche al ritorno dal sud del Paese, è una città di dimensioni enormi con 12 milioni di abitanti (su 40 milioni totali in Argentina ). La nostra guida ci dice che oltre il 50% degli abitanti ha un cognome italiano, frutto di un esodo dall’Italia che, a cavallo fra ‘800 e ‘900, portò milioni di italiani a solcare l’oceano verso il sogno in Sudamerica ma dove le terze e quarte generazioni dalla grande migrazione hanno perduto oggi il legame con la terra dei padri.
Buenos Aires è la citta della Plaza de Maio e delle migliaia di desaparecidos, è la città del quartiere Caminito dove, fra le case in legno colorate, nei primi anni del ‘900 nasce il Tango (ancora ballato nelle strade), dove si mangia la miglior carne di mucca del mondo cotta all’’asado‘, è la citta del Gran Café Tortoni dal 1958 e del Liberty, ancora esibito e palpitante in tantissimi angoli della città.
Da qui inizia un viaggio verso sud nelle distese apparentemente senza confini della Patagonia, fra migliaia di pinguini di Magellano a Punta Tombo, di guanacos, di albatross, di leoni marini, di foche, di megattere gigantesche che risalgono dal profondo marino per respirare in superficie e farsi ammirare da noi turisti avidi di ogni immagine rubata ad una natura che appare qui resistere.
Ma lo spettacolo da prima fila è certamente il ghiacciaio Perito Moreno raggiungibile da El Calafate, centro abitato sul lago Argentino trafficato da inquietanti iceberg galleggianti. Il ghiacciaio, alto 60 metri per 250 km quadrati, è immenso e schiaccia la dimensione umana, oltre a prestarsi per un whisky on the rock servito con il ghiaccio centenario recuperato a colpi di accetta, riserva colori e sfumature bianche, blu, turchese indimenticabili, che lascio descrivere alle parole di Padre De Agostini “Lo sguardo si spinge avido attraverso quell’immensa estensione di nevi, di ghiacciai e di giogaie che la cristallina trasparenza dell’atmosfera e la sfolgorante luce del giorno rendono ancora più evidente, e cerco di scrutarne i segreti.” (Alberto M. De Agostini, “Ande Patagoniche”, Vivalda Editori, Torino 1999).
Una escursione al Parque nacional Torres del Paine in territorio cileno, nell’area andina, ci consente di ammirare senza fiato una natura a colori mai vista prima. Scendiamo a Sud, un percorso di centinaia di chilometri in aereo e in autobus nella piatta patagonica fra distese di pecore e di stupende e isolate ‘estancias’ (fattorie); un’emozione unica attraversare lo stretto di Magellano che separa a nord la Terra dei Patagoni e a sud la Terra del fuoco, e poi ancora verso sud ai confini del mondo dove Charles Darwin imbastiva la sua teoria evoluzionista.
Ecco la Terra del fuoco o Tierra del fuego, così chiamata da esploratori spagnoli cinquecenteschi che videro fra le brume tanti fuochi degli indigeni residenti, esplorata a fine ‘700 dallo scienziato antropologo e naturalista a bordo del brigantino inglese Beagle, comandato dal mitico capitano Fitz Roy, oggi scolpito nella toponomastica cilena con una cima altrettanto mitica per gli scalatori, la cima Fitz Roy inglobata nel gruppo Cerro Torre nella catena andina.
Puntiamo ancora a sud sul Canal Beagle, così chiamato oggi, sul quale si rispecchia la città di Ushuaia posta fra il 54° e il 55° parallelo, città considerata la più a sud del mondo abitato, circondata da alte montagne e raggiungibile attraverso un aeroporto che, visto dall’alto, sembra un minuscolo cordone sabbioso circondato dalle acque del canale. Da non dimenticare l’esperienza gastronomica dell”asado’ (arrosto), il ‘cordero’ o agnello cotto alla brace in vertical, e del Tren del fin del mundo, il vecchio e ottocentesco treno del presidio carcerario per detenuti ai lavori forzati, che oggi consente la visita al Parco nazionale della Tierra del fuego. Il cielo terso e le sue stelle, milioni di stelle (a queste latitudini estreme sono uno scenario notturno indimenticabile e impareggiabile) che padre De Agostini descrive così: “Quando… I nostri occhi contemplano di botto la volta azzurra del cielo dove scintillano migliaia di stelle, l’anima si sente come sorpresa e annichilita, e innalza spontaneamente la sua umile preghiera di adorazione a Dio, sommo Fattore di sì grandi meraviglie.”
Poche miglia più a sud ci sono Capo Horn, con i suoi velieri affondati nelle tempeste e, ancora più a sud, l’Antartide. Ma questa è un`altra storia da raccontare.
Le foto della Terra del fuoco sono di Marco Bonora.
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Marco Bonora
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