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3.SEGUE – Riprendiamo la nostra inchiesta sul declino della politica. Nelle prime due puntate abbiamo considerato la crisi della partecipazione sulla base del drastico calo delle iscrizioni ai partiti, accompagnato dall’eclissi della figura del militante così come si era tradizionalmente connotato. Abbiamo poi analizzato i dati, in costante vertiginosa riduzione, di affluenza degli elettori alle urne fra il 1948 e il 2013. Oggi sentiamo una voce autorevole, quella di Giuseppe Civati, leader della minoranza pd, che a Matteo Renzi contesta, oltre a molte scelte, anche l’accentuazione del ruolo di leadership e il conseguente deficit di democrazia interna al partito. Abbiamo però mantenuto la conversazione al riparo dalle polemiche di questi mesi per considerare il tema nei suoi corretti termini strutturali.

Perché sempre meno persone sono disponibili a impegnarsi in politica?
C’è un dato di fondo significativo: l’aumento dell’astensione dal voto indica uno scollamento fra cittadini e istituzioni. Chi si sente escluso e non rappresentato tende a una sorta di autoemarginazione. E poi c’è un adeguarsi all’idea che la politica la fanno i leader nazionali, il che porta anche ad appiattirsi su un concetto molto televisivo della politica stessa.

L’idea di un contributo disinteressato appare inattuale, oggi più che chiedersi cosa posso fare io per la mia comunità a o per il mio partito si ragiona all’opposto: cosa può fare il partito per me. E’ davvero questo il meccanismo principale sulla base del quale si decide se assumere un impegno politico?
Le persone sono molto confuse. Incide anche il fatto che la politica ha perso i suoi riferimenti… Le “larghe intese” sono spiazzanti per molti. Poi c’è la sudditanza verso i mercati, la finanza, le istituzioni sovranazionali: tutto appare distante, remoto, non controllabile. C’è chi dice che bisognerebbe recuperare una connotazione più nazionalistica – in senso buono – per avere la sensazione di poter incidere nelle decisioni, altrimenti è difficile motivare all’impegno. E poi in Italia, da sempre, c’è un rapporto patologico fra cittadini e politica che è un misto fra sudditanza, ribellione, repulsione che in queste condizioni si amplifica.

Un’altra distorsione riguarda la logica decisionale: l’impressione è che sovente si agisca non nel rispetto del principio di responsabilità che il politico dovrebbe avere ben presente, ma secondo convenienza. E’ d’accordo?
C’è un vizio antico, quello del trasformismo… In politica si vive per il successo momentaneo, si opera spesso per mantenere il potere. E d’altra parte anche i giudizi tengono conto della capacità dei leader di suscitare adesione attorno alle loro proposte. La politica normalmente è valutata sulla base del consenso che è in grado di generare: quello vince quindi funziona.
Noi in Italia abbiamo un’esperienza emblematica: cito un esempio, non quello di Matteo Renzi ma Berlusconi: ha sempre stravinto, ha sempre esercitato un condizionamento psicologico su molti italiani e alla fine i risultati si sono visti: la soluzione più gradita non sempre è la migliore per il Paese. E infatti io ritengo che si debba anche essere capaci di sostenere cose impopolari motivandole; o all’opposto spiegando come la tal cosa sia molto popolare ma non sia quella giusta in quella certa fase. Si cercano semplificazioni e vie dirette, ma le cose non sono così banali, la politica è più complessa di uno spettacolo. Chi prende più applausi non è necessariamente quello che ha la soluzione giusta, se ci riduciamo a questa logica ne paghiamo il conto e pregiudichiamo il nostro futuro.

E come si possono riavvicinare i giovani alla politica quella lungimirante e responsabile?
Spiegando loro tutto questo e facendogli anche capire che le cose di cui stiamo discutendo, a cominciare dai sistemi elettorali, dal lavoro, dall’economia, alla fine avranno un’incidenza spaventosa sulle loro vite e anche sulla loro felicità. Poi c’è il problema di fondo che è quello dell’assunzione di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Richiede a ognuno di noi la disponibilità di prendersi cura anche degli altri.

3.CONTINUA 

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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