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Oggi è morto Pio D’Emilia, e noi come tanti abbiamo pe97nsato subito una cosa: che Pio se n’era andato troppo presto. Troppo in fretta. Pio ( era nato a Roma 68 anni fa) è stato un giornalista, un inviato, un uomo fuori dal comune. Chiamo comune quello che ci passa oggi il convento mediatico, desolante, superficiale, molte volte morboso. Pio D’Emilia è stato l’ultimo dei grandi cronisti: intelligenza, intuizione, coraggio, pudore, rispetto, empatia, Empatia con i poveri cristi che ha incontrato in tutto il mondo, dal Mediterraneo al Giappone. Così, i suoi servizi li riconoscevi subito: sempre centrati, onesti, vorrei dire ‘delicati’.
Per ricordarlo ripubblichiamo una bella intervista dell’amico Sergio Gessi, allora direttore di questo quotidiano, realizzata nel settembre del 2015.
Francesco Monini
E’ diventato per tutti un volto noto e familiare. Pio D’Emilia ha scardinato la maniera tradizionale, un po’ impettita e distaccata, di fare informazione televisiva. Inviato da Sky alla frontiera fra la miseria e la speranza per raccontare l’esodo dei migranti, è riuscito a trasformare la loro vicenda da un fatto a una storia. Nei suoi servizi traspaiono le emozioni. Il suo modo di narrare questa epopea è fuori dagli schemi e richiama la sensibilità di grandi reporter quali Ryszard Kapuscinski o Tiziano Terzani.
Si ritrova nella loro concezione di giornalismo?
Assolutamente sì – replica convinto D’Emilia, che ha accettato di raccontarsi a Ferraraitalia -. Non ho conosciuto il primo, mentre ho avuto il piacere – e talvolta lo ‘spiacere’ – di incrociarmi spesso con Tiziano. Ma ce ne sono tanti altri, che ammiro e rispetto, sia italiani che stranieri. Purtroppo sempre di meno: scarsa preparazione umana e professionale, pigrizia fisica e mentale, censura e soprattutto autocensura stanno uccidendo un certo tipo di giornalismo…
Di Kapuscinski condivide l’idea che il giornalista non possa essere neutrale ma debba schierarsi e dare voce a chi voce non ha?
L’obiettività nel senso di neutralità non esiste, né nelle parole, né tantomeno nelle emozioni. Pensiamo solo all’Afghanistan, a quando gli attuali terroristi e ‘tagliagole’ erano chiamati, dalle grandi agenzie, “combattenti per la libertà”, eccetera eccetera. Certo, bisogna sempre cercare di essere il più possibile precisi nel fornire dati e descrivere situazioni, ma poi l’analisi e anche il giudizio – perché no – deve esserci e deve essere sincero. Poi da che parte stare dipende: io preferisco, da sempre, stare dalla parte del ‘torto’…
Prima di decidere se rendere pubblica un’informazione valuta sempre l’effetto che la notizia sortirà? E, nel caso, questo condiziona la sua scelta?
In genere no. Solo in alcuni casi di cronaca nera, in cui per esempio sono coinvolte famiglie, bambini… Ma per fortuna non mi capita spesso di dovermene occupare.
I suoi servizi su Sky evidenziano una grande preparazione e insieme una forte empatia nei confronti dei migranti di cui riporta vicende, storia personali, speranze, delusioni, drammi. Qualcuno in redazione o nell’ambiente professionale ha espresso critiche per questo sue essere partecipe?
Beh, la ‘preparazione’ dovrebbe essere uno dei doveri dei giornalista, tenuto a documentarsi prima di affrontare un argomento o vicenda e poi, se si occupa di un particolare settore (nel mio caso, l’Asia orientale) aggiornarsi continuamente. Io dei migranti sapevo poco o nulla, ma appena sono partito ho cercato di documentarmi attraverso letture e contatti personali. Nello stesso tempo cerco di restare aggiornato sulla ‘mia’ materia: in questi giorni ad esempio sono successe delle cose in Cina e Giappone di cui ovviamente non mi sono potuto occupare (anche se me l’avevano chiesto!) ma mi sono sempre tenuto aggiornato. Ma non è un peso, è una cosa che fai volentieri, di cui senti il bisogno, e di cui ahimè si sente sempre più la mancanza. Lo vedo in molti colleghi, che prendono questa professione come qualsiasi altra: dalle ore alle ore… E quando sono ‘fuori turno’ o in vacanza, staccano la spina. Io non riesco mai, a staccarla.
Quanto all’empatia e alle eventuali critiche: su Facebook e sul sito di Sky ricevo quotidianamente centinaia di commenti. Diciamo che per l’80% sono positivi, 10% negativi e 10% veri e propri insulti. Mi sta più che bene. Per quanto riguarda i pareri all’interno di Sky – una redazione dove si tende a dare una immagine di neutralità – debbo dire che la stragrande maggioranza dei colleghi mi sta esprimendo, almeno a parole, grande sostegno e solidarietà. Direttora compresa. La quale pare che un giorno, durante la riunione di redazione, mi abbia additato a esempio di “Inviato” e di come si possa prendere posizione. Ma per farlo, pare abbia detto, occorre avere una certa età e sopratutto credibilità. E Pio le ha entrambe… (ride di gusto)
Qualcosa che ha letto o sentito sui media, in relazione ai fatti di cui è testimone, l’ha particolarmente infastidita?
In questi giorni non ho davvero avuto tempo di leggere la ‘concorrenza’. Confesso di non aver molta stima per la stampa italiana, tranne rare eccezioni. C’è molto pressappochismo, superficialità, per non parlare di plagio e molta fantasia. Mi dispiace dirlo perché conosco molti colleghi in gamba che ci lavorano, ma Repubblica è il simbolo di questa dilagante cialtroneria
Quali risposte auspicherebbe dalla politica e dalle istituzioni?
La creazione immediata di una task force. Uomini e risorse da inviare sul luogo per creare un corridoio umanitario efficace e logisticamente sostenibile. L’Europa dovrebbe europeizzare la vicenda, toglierla dalle mani dei singoli Paesi e approvare immediatamente il famoso “asilo politico europeo”. Chi ci sta ci sta, gli altri fuori, a cominciare dai neo-unni ungheresi.
Riesce a tracciare un sommario affresco dell’umanità che si muove intorno a lei in queste settimane?
La cosa più importante è uscire dal concetto di “rifugiato”, “profugo” etc etc e puntare su quello di “migrante”. Non so se si è notato, ma io cerco sempre di usare questa parola. Migrare è un sacrosanto diritto umano: un diritto esercitato nei secoli da vari popoli, compreso il nostro. Il resto sono chiacchiere, strumentalizzazioni, banalizzazioni. Tra la gente che ho visto e frequentato in queste settimane c’è un unico elemento in comune: quello di voler/dover andarsene dalla propria terra/casa/paese e andarsene in un altro. Le motivazioni sono varie, ma l’obiettivo è comune. E va compreso e rispettato. Chi si esce con frasi come “ci possono essere potenziali terroristi” o è idiota o è in malafede. Spesso, entrambe le cose. Uno non abbandona la propria casa, la propria ‘terra’, le proprie radici senza un valido motivo. Chiediamolo ai nostri nonni.
Infine una nota personale: vivere in Giappone, ormai da molti anni, è una scelta di vita o professionale? E come mai proprio lei, dal Lontano Oriente, è stato chiamato a seguire questa epopea dei migranti nel cuore antico dell’Europa?
Personale inizialmente, poi anche professionale. Ci sono andato nel lontano 1979, appena laureato in legge, con una borsa di studio per un master di procedura penale internazionale. All’epoca ero avvocato, avevo conosciuto una donna giapponese (che poi scoprii essere una terrorista…) e volevo entrare in uno studio penale internazionale. Ma sul posto ho cambiato idea e professione. Ho cominciato a scrivere degli articoli per l’Espresso e… da cosa è nata cosa. Troppo lungo per raccontarlo qui, ma se vuoi e se ci sarà occasione di una mia visita lo farò volentieri (raccogliamo al volo l’opportunità e gli rivolgiamo l’invito a Ferrara per un incontro pubblico). Ho avuto la fortuna di vivere una vita molto interessante. E sopratutto di fare – più o meno ben pagato (in passato non sempre) – un lavoro che avrei fatto gratis. Lo dico sempre ai miei figli: vi auguro di poter fare altrettanto, ma la vedo molto difficile.
Quanto al perché abbiano mandato proprio me, beh è stato per caso. Anche se un po’ me la sono cercata. Io ero in vacanza a Misurina, dove ho il mio buon ritiro montano, e vedendo in tv gli improvvisi sviluppi della vicenda e non vedendo un nostro inviato, ho spedito un messaggio alla direzione dicendo che forse era il caso di mandare qualcuno. Erano tutti in vacanza, anche loro e chi era al ‘timone’, in quei giorni forse aveva sottovalutato la cosa. Il giorno dopo mi chiama il capo degli esteri, ringraziandomi per la segnalazione e dicendomi: “Perché non te ne occupi tu? Sei il nostro inviato delle catastrofi”, riferendosi al fatto che in passato mi sono occupato di guerre, tsunami, emergenze nucleari, tifoni vari e rivolte. A me le sfide piacciono e ho accettato, anche se francamente pensavo fosse una trasferta di qualche giorno. Ora è quasi un mese che sto in giro. E confesso di essere anche un po’ provato, fisicamente. Ma poi penso ai migranti, e mi vergogno di sentirmi stanco.
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica dell’oggetto giornale [1], un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare il basso e l’altocontaminare di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono” dentro e fuori di noi”, denunciare il vecchio che resiste e raccontare i germogli di nuovo, prendere parte per l’eguaglianza e contro la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo..
Con il quotidiano di ieri, così si dice, ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Tutto Periscopio è free, ogni nostro contenuto può essere scaricato liberamente. E non troverete, come è uso in quasi tutti i quotidiani, solo le prime tre righe dell’articolo in chiaro e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica, ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni” . Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e ci piacerebbe cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori) a tutti quelli che coltivano la curiosità, e non ai circoli degli specialisti, agli addetti ai lavori, agli intellettuali del vuoto e della chiacchera.
Periscopio è di proprietà di una S.r.l. con un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratico del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.
Nato quasi otto anni fa con il nome ferraraitalia [2], Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Conta oggi 300.000 lettori in ogni parte d’Italia e vuole crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma anche e soprattutto da chi lo legge e lo condivide con altri che ancora non lo conoscono. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante. Buona navigazione a tutti.
Francesco Monini
[1] La storia del giornale è piuttosto lunga. Il primo quotidiano della storia uscì a Lipsia, grande centro culturale e commerciale della Germania, nel 1660, con il titolo Leipziger Zeitung e il sottotitolo: Notizie fresche degli affari, della guerra e del mondo. Da allora ha cambiato molte facce, ha aggiunto pagine, foto, colori, infine è asceso al cielo del web. In quasi 363 anni di storia non sono mancate novità ed esperimenti, ma senza esagerare, perché “un quotidiano si occupa di notizie, non può confondersi con la letteratura”.
[2] Non ci dimentichiamo di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno il giornale si confeziona. Così Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto.
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
L'INFORMAZIONE VERTICALE