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Cuochi giornalisti e crimini di guerra

Cuochi giornalisti e crimini di guerra

Quando le democrazie occidentali arrestarono Julian Assange – con l’accusa di aver pubblicato le prove dei crimini di guerra Usa GB NATO in Afghanistan a danno di migliaia di civili inermi – i primi ad esultare furono i giornalisti in carriera, quelli sempre dalla parte del potere che tanto si sono commossi per le favole dei marines buoni e dei talebani cattivi.

Mentre le democrazie occidentali stanno naufragando in Palestina, gli ultimi a salire sulle scialuppe di salvataggio sono ancora loro: i giornalisti in carriera, quelli sempre dalla parte del potere che tanto si commuovono per le favole dei sionisti buoni e dei combattenti di Hamas cattivi.

Le tragedie dei nostri giorni si comprano un tanto al chilo al mercato della realtà e si rivendono a peso d’oro nella mistificazione dei media mainstream.

Ennio Flaiano scriveva: «Giornalisti. Chi si salverà da questi cuochi della realtà?».

Dalle guerre israeliane alla Siria, da Bagdad a Kabul, i media che non disturbano nessuno nelle alte camere del potere o che non scomodano le coscienze sopite dei ri-commentatori social, adoperano un unico modus operandi: prendere la pentola, scaldare la brodaglia, mescolare, bollire, ribollire fino a far schiumare menzogne e parole d’ordine.

Mai una ricostruzione storica fedele alla realtà, mai una contestualizzazione, mai un’analisi delle cause. Nemmeno quando a venire arrestati o assassinati sono colleghi e colleghe, altri giornalisti e altre giornaliste, mentre svolgono il proprio lavoro.

Nemmeno quando il numero di giornalisti assassinati a Gaza è superiore al numero totale di giornalisti morti nella guerra civile statunitense, in entrambe le guerre mondiali, nelle guerre di Corea e del Vietnam, compresi i conflitti in Cambogia e Laos, nelle guerre jugoslave degli anni ’90 e 2000 e nella guerra in Afghanistan messe insieme.

I colpevoli? Vittime.

Le vittime? Colpevoli di esserlo.

In copertina: photo opera di Maram Ali

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Franco Ferioli

Ai lettori di Ferraraitalia va subito detto che mi chiamo, mi chiamano e rispondo in vari modi selezionabili o interscambiabili a piacimento o per necessità: Franco Ferioli Mirandola. In virtù ad una vecchia pratica anagrafica in uso negli anni Sessanta, ho altri due nomi in più e in forza ad una usanza della mia terra ho in più anche un nomignolo e un soprannome. Ma tranquilli: anche in questi casi sono sempre io con qualche io in più: Enk Frenki Franco Paolo Duilio Ferioli Mirandola. Ecco fatto, mi sono presentato. Ciao a tutti, questo sono io, quindi quanti io ci sono in me? tanti quanti i mondi dell’autore che trova spazio in questo spazio? Se nelle ultime tre righe dovessi descrivere come mi sento a essere quello che sono quando vivo, viaggio, scrivo o leggo…direi così, sempre senza smettere di esagerare: “Io sono questo eterno assente da sé stesso che procede sempre accanto al suo proprio cammino…e che reclama il diritto all’orgogliosa esaltazione di sé stesso”.

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