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Palestina: la morte della morte

Palestina: la morte della morte

La condizione di trovarsi a vivere come profughi di guerra, cioè esseri umani strappati e sradicati con le armi dalla propria terra, esprime forse un destino irreversibile che condanna chi lo diviene per la prima volta, a continuare ad esserlo di nuovo, ancora e ancora, e per sempre?

Nessun altro Popolo composto da profughi, figli e figlie di profughi, profughi di profughi… ha così tante ferite incise sulla propria pelle, così tanti numeri di morti da contare, come e quanto quello Palestinese.

Attraverso i tempi, l’attualità della Questione Palestinese è immortale, sembra non finire mai; nel corso del tempo è immorale, perchè sembra non smettere mai di infliggere atroci sofferenze a un popolo colpevole di esserlo, colpevole di esistere e colpevole di resistere.

Attacco, assedio, invasione, occupazione, al pre del crimine è sempre subentrato, per settantotto lunghissimi anni, il post della guerra: fuga, sfollamento, esodo, esilio, martirio, genocidio, dando prova di una forma di sopravvivenza e di resistenza che ha dell’incredibile e del soprannaturale.

Nella città di Gaza e nel resto della Palestina, l’ultima morte rimasta da celebrare è la morte della morte.

Cover: foto tratta dal film Un Chien Andalus di Luis Buñuel e Salvador Dalí 1929

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Franco Ferioli

Ai lettori di Ferraraitalia va subito detto che mi chiamo, mi chiamano e rispondo in vari modi selezionabili o interscambiabili a piacimento o per necessità: Franco Ferioli Mirandola. In virtù ad una vecchia pratica anagrafica in uso negli anni Sessanta, ho altri due nomi in più e in forza ad una usanza della mia terra ho in più anche un nomignolo e un soprannome. Ma tranquilli: anche in questi casi sono sempre io con qualche io in più: Enk Frenki Franco Paolo Duilio Ferioli Mirandola. Ecco fatto, mi sono presentato. Ciao a tutti, questo sono io, quindi quanti io ci sono in me? tanti quanti i mondi dell’autore che trova spazio in questo spazio? Se nelle ultime tre righe dovessi descrivere come mi sento a essere quello che sono quando vivo, viaggio, scrivo o leggo…direi così, sempre senza smettere di esagerare: “Io sono questo eterno assente da sé stesso che procede sempre accanto al suo proprio cammino…e che reclama il diritto all’orgogliosa esaltazione di sé stesso”.

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