Palestina: la morte della morte
Palestina: la morte della morte
La condizione di trovarsi a vivere come profughi di guerra, cioè esseri umani strappati e sradicati con le armi dalla propria terra, esprime forse un destino irreversibile che condanna chi lo diviene per la prima volta, a continuare ad esserlo di nuovo, ancora e ancora, e per sempre?
Nessun altro Popolo composto da profughi, figli e figlie di profughi, profughi di profughi… ha così tante ferite incise sulla propria pelle, così tanti numeri di morti da contare, come e quanto quello Palestinese.
Attraverso i tempi, l’attualità della Questione Palestinese è immortale, sembra non finire mai; nel corso del tempo è immorale, perchè sembra non smettere mai di infliggere atroci sofferenze a un popolo colpevole di esserlo, colpevole di esistere e colpevole di resistere.
Attacco, assedio, invasione, occupazione, al pre del crimine è sempre subentrato, per settantotto lunghissimi anni, il post della guerra: fuga, sfollamento, esodo, esilio, martirio, genocidio, dando prova di una forma di sopravvivenza e di resistenza che ha dell’incredibile e del soprannaturale.
Nella città di Gaza e nel resto della Palestina, l’ultima morte rimasta da celebrare è la morte della morte.
Cover: foto tratta dal film Un Chien Andalus di Luis Buñuel e Salvador Dalí 1929
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