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 giulio douhetBombardamenti aerei, armi chimiche, gas nervini, iprite, terra bruciata, terrorismo, sterminio, genocidio: gli orribili record dell’oppressione italiana in Libia. L’impiego operativo dell’aereo come fattore preponderante di superiorità nei conflitti fu teorizzato dall’italiano Giulio Douhet [Vedi qui] nel 1909 e nel 1911 gli italiani in Libia utilizzarono per primi la nuova arma come mezzo di ricognizione e di offesa durante la Guerra italo-turca della Campagna di Libia. Per la prima volta nel mondo, 4 aerostati, 2 dirigibili e 28 aerei furono impiegati a scopo bellico diurno e notturno. BIl 23 ottobre il capitano Carlo Maria Piazza fu l’autore della prima ricognizione tattica, mentre il 1º novembre il sottotenente Giulio Gavotti eseguì da un velivolo in volo il primo bombardamento aereo della storia, volando a bassa quota su un accampamento turco ad Ain Zara e lanciando tre bombe a mano.

aviazione italiana in africa
Attacco aereo italiano in Libia

Gli aerei erano piccoli, potevano caricare modeste quantità di bombe e gli attacchi contro le linee degli arabi o dei turchi sembravano efficaci a livello psicologico più che materiale. I primi anni della Guerra italo-turca, ricordata come ‘Campagna di Libia’, furono per l’arma dell’aeronautica una specie di rodaggio. Un rodaggio che valeva sia per le macchine che per gli uomini e che avrebbe lasciato spazio e tempo allo sviluppo di armi sempre più micidiali e a tecniche di bombardamento sempre più precise. Le vicende della guerra libica fecero sì che cinque o sei anni dopo il suo inizio entrarono in servizio nuovi aerei, più grandi e tecnicamente più capaci di svolgere il ruolo bellico al quale erano stati predisposti e le azioni militari assunsero aspetti diversi.
bombardamenti italiani in africaTra il maggio e l’agosto del 1917 furono eseguite in Tripolitania un centinaio di azioni offensive con il lancio di bombe incendiarie sui campi di cereali dei ribelli, con mitragliamenti nelle oasi di Zanzur, Sidi ben Adem, Fonduc ben Gascir, Fonduc Scrif, Gedida, Agelat, Sormen, Punta Tagiura, Zavia, Azizia.
I campi dei ribelli a Zanzur e a Zavia erano stati bombardati anche nel mese di aprile con 1.270 chilogrammi di liquido incendiario oltre a 3.600 chili di alto esplosivo.La politica italiana nei confronti dei ribelli era già da allora quella della terra bruciata: distruggendo i campi di cereali si costringevano i ribelli, armati e non, ad abbandonare la lotta e a disperdersi verso zone dove sarebbe risultato più facile indebolirli e sottometterli.

Dal 1924 al 1926 gli aerei avevano l’ordine di alzarsi in volo per bombardare tutto ciò che si muoveva nelle oasi non controllate dalle truppe italiane. Non si trattava di azioni militari contro altre forze armate, regolari o ribelli che fossero, bensì di bombardamenti indiscriminati della popolazione civile per fiaccarla e tentare di dividerla dagli uomini in armi.

aviazione italiana la stampa 1932
La prima pagina de La Stampa di Torino celebra i bombardamenti italiani

La politica della terra bruciata e del terrorismo, aveva spinto migliaia di uomini, donne e bambini a lasciare la Libia, chi verso la Tunisia e l’Algeria, chi in direzione del Ciad o dell’Egitto. I morti e i feriti non si potevano contare. E i bombardamenti diventarono più violenti, più scientifici e sperimentali.
Così come il bombardamento terrorista di Guernica nel 1937 fu sperimentale per l’aviazione nazista, l’Arma Aerea Italiana si servì della guerra di Libia per prepararsi alla successiva conquista dell’Etiopia.

L’uso del gas non costituì un episodio isolato, faceva invece parte di un piano preciso e sistematico. I risultati delle incursioni aeree furono attentamente studiati per conoscere non solo il numero delle vittime che immediatamente provocavano come morte chimica, ma anche per conoscere gli effetti ritardati su coloro che risultavano avvelenati dai gas.
E’ un particolare, questo, quasi sconosciuto della guerra di repressione – meglio dire di sterminio – attuata da Rodolfo Graziani [Vedi qui] per conto del governo fascista di Roma contro la popolazione della Tripolitania, del Fezzan e della Cirenaica.
Dal novembre 1929 alle ultime azioni del maggio 1930 l’aviazione in Cirenaica eseguì secondo fonti ufficiali ben 1.605 ore di volo bellico lanciando 43.500 tonnellate di bombe e sparando diecimila colpi di mitragliatrice.

Le fonti, però, non precisano quante tonnellate di bombe erano cariche di iprite.

In Cirenaica pacificata, uno dei volumi con i quali il generale Graziani volle giustificare la sua azione repressiva e rispondere alle accuse di genocidio della popolazione libica che già all’epoca gli vennero rivolte, c’è un breve capitolo sul bombardamento di Taizerbo avvenuto il 31 luglio 1930, sei mesi dopo l’esortazione di Pietro Badoglio all’uso dell’iprite.
Nella lingua dei Tebu, una delle numerose etnie autoctone seminomadi nordafricane, Taizerbo indica ‘sede principale’. Oggi i Tebu vivono più a sud, nelle montagne del Tibesti ubicate parte in Libia, parte in Ciad, ma una volta essi avevano a Taizerbo la sede del loro sultanato: situata duecentocinquanta chilometri a nord‑ovest di Cufra, l’oasi è lunga venticinque‑trenta chilometri, larga dieci ed è solcata nel mezzo da un avvallamento che contiene stagni salmastri e saline. All’epoca dell’intervento italiano vi si trovavano gruppi di palme, tamerici, acacie, giunchi e vi sorgevano una decina di nuclei abitati. Per la conquista di Cufra, sede della Senussia, centro spirituale della resistenza anti italiana e roccaforte dell’imam Omar el Mukhtar, Taizerbo era considerata un’oasi di grande importanza strategica.

Scriveva Graziani: “Per rappresaglia, ed in considerazione che Taizerbo era diventata la vera base di partenza dei nuclei razziatori il comando di aviazione fu incaricato di riconoscere l’oasi e – se del caso – bombardarla. Dopo un tentativo effettuato il giorno 30 – non riuscito, per quanto gli aeroplani fossero già in vista di Taizerbo, a causa di irregolare funzionamento del motore di un apparecchio – la ricognizione venne eseguita il giorno successivo e brillantemente portata a termine. Quattro apparecchi Ro, al comando del ten.col. Lordi, partirono da Giacolo alle ore 4.30 rientrando alla base alle ore 10.00 dopo aver raggiunto l’obiettivo e constatato la presenza di molte persone nonché un agglomerato di tende. Fu effettuato il bombardamento con circa una tonnellata di esplosivo e vennero eseguite fotografie della zona. Un indigeno, facente parte di un nucleo di razziatori, catturato pochi giorni dopo il bombardamento, asserì che le perdite subite dalla popolazione erano state sensibili, e più grande ancora il panico”.

Vincenzo Lioy, autore di un libro sul ruolo dell’aviazione in Libia (Gloria senza allori, Associazione Culturale Aeronautica), ha ripreso senza modificarla di una virgola la versione riferita da Graziani nel suo libro.
Ma Graziani aveva tralasciato l’importante particolare dell’uso di grandi quantità di iprite ed aveva omesso una relazione agghiacciante che gli era pervenuta qualche mese dopo sugli effetti del bombardamento. Questa relazione, regolarmente archiviata, era a disposizione di Lioy quando fece la sua ricerca. Da un rapporto firmato dal tenente colonnello dell’Aeronautica, Roberto Lordi, comandante dell’aviazione della Cirenaica (rapporto che Graziani inviò al Ministero delle colonie il 17 agosto) si apprende che i quattro aerei Ro erano armati con 24 bombe da 21 chili ad iprite, da 12 bombe da 12 chili e da 320 bombe da 2 chili. Stralciando dalla relazione la parte che si riferisce all’avvicinamento, si può leggere “(…) in una specie di vasta conca s’incontra il gruppo delle oasi di Taizerbo. Le palme, che non sono molto numerose, sono sparpagliate su una vasta zona cespugliosa. Dove le palme sono più fitte si trovano poche casette. In prossimità di queste, piccoli giardini verdi, che in tutta la zona sono abbastanza numerosi; il che fa supporre che le oasi siano abitate da numerosa gente. Fra i vari piccoli agglomerati di case vengono avvistate una decina di tende molto più grandi delle normali e in prossimità di queste numerose persone. Poco bestiame in tutta la conca. II bombardamento venne eseguito in fila indiana passando sull’oasi di Giululat e di el Uadi e poscia sulle tende, con risultato visibilmente efficace.

II primo dicembre dello stesso anno il tenente colonnello Lordi inviò a Roma copia delle notizie sugli effetti del bombardamento a gas effettuato quel 31 luglio sulle oasi di Taizerbo “ottenute da interrogatorio di un indigeno ribelle proveniente da Cufra e catturato giorni or sono”.
E’ una testimonianza raccapricciante raccolta materialmente dal comandante della Tenenza dei carabinieri reali di el Agheila: “Come da incarico avuto dal signor comandante l’aviazione della Cirenaica, ieri ho interrogato il ribelle Mohammed abu Alì Zueia, di Cufra, circa gli effetti prodotti dal bombardamento a gas effettuato a Taizerbo. II predetto, proveniente da Cufra, arrivò a Taizerbo parecchi giorni dopo il bombardamento, seppe che quali conseguenze immediate vi sono quattro morti. Moltissimi infermi invece vide colpiti dai gas. Egli ne vide diversi che presentavano il loro corpo ricoperto di piaghe come provocate da forti bruciature. Riesce a specificare che in un primo tempo il corpo dei colpiti veniva ricoperto da vasti gonfiori, che dopo qualche giorno si rompevano con fuoruscita di liquido incolore. Rimaneva così la carne viva priva di pelle, piagata. Riferisce ancora che un indigeno subì la stessa sorte per aver toccato, parecchi giorni dopo il bombardamento, una bomba inesplosa, e rimasero così piagate non solo le sue mani, ma tutte le altre parti del corpo ove le mani infette si posavano”.

carico di armi chimiche per la Siria
2 luglio 2014: la nave cargo danese “Ark Futura” si prepara al trasbordo di armi chimiche dirette in Siria nel porto di Gioia Tauro, (Autore: LaPresse / AP / ADRIANA SAPONE | Ringraziamenti: LaPresse Copyright: LaPresse – licenza Flickr)

Secondo l’Enciclopedia Americana l’iprite può provocare malattie ereditarie ed i suoi effetti si potrebbero riscontrare, perciò, non solo nelle persone direttamente colpite dai bombardamenti ma anche nei loro discendenti. La Treccani afferma che questo aggressivo chimico, chiamato anche ‘gas mostarda’, venne usato dall’esercito tedesco nel settore di Ypres, Belgio, nel corso della prima guerra mondiale e attacca tutte le cellule con le quali viene in contatto, distruggendole completamente. Con la respirazione i vapori d’iprite entrano nel circolo sanguigno, distruggono i globuli rossi, producendo rapidamente la morte.
Non c’è dubbio che l’effetto dei gas sulla popolazione libica, priva peraltro di qualsivoglia possibilità di ricorrere a moderne cure mediche, dovesse risultare micidiale. L’uso dell’iprite, che doveva diventare un preciso sistema di massacro della popolazione civile in Etiopia qualche anno più tardi, fu certamente una scelta sia militare che politica così come i bombardamenti della popolazione civile in Libia doveva corrispondere a scelte di colonizzazione ben precise e sistematiche.

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Franco Ferioli, l’inviato di Ferraraitalia nel tempo e nello spazio, è il curatore della rubrica Controinformazione. C’è un’altra storia e un’altra geografia, i fatti e misfatti dell’Occidente che i media preferiscono tacere, che non conosciamo o che preferiamo dimenticare. CONTROINFORMAZIONE ci racconta senza censure l’altra faccia della luna,

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Franco Ferioli

Ai lettori di Ferraraitalia va subito detto che mi chiamo, mi chiamano e rispondo in vari modi selezionabili o interscambiabili a piacimento o per necessità: Franco Ferioli Mirandola. In virtù ad una vecchia pratica anagrafica in uso negli anni Sessanta, ho altri due nomi in più e in forza ad una usanza della mia terra ho in più anche un nomignolo e un soprannome. Ma tranquilli: anche in questi casi sono sempre io con qualche io in più: Enk Frenki Franco Paolo Duilio Ferioli Mirandola. Ecco fatto, mi sono presentato. Ciao a tutti, questo sono io, quindi quanti io ci sono in me? tanti quanti i mondi dell’autore che trova spazio in questo spazio? Se nelle ultime tre righe dovessi descrivere come mi sento a essere quello che sono quando vivo, viaggio, scrivo o leggo…direi così, sempre senza smettere di esagerare: “Io sono questo eterno assente da sé stesso che procede sempre accanto al suo proprio cammino…e che reclama il diritto all’orgogliosa esaltazione di sé stesso”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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