Cuochi giornalisti e crimini di guerra
Cuochi giornalisti e crimini di guerra
Quando le democrazie occidentali arrestarono Julian Assange – con l’accusa di aver pubblicato le prove dei crimini di guerra Usa GB NATO in Afghanistan a danno di migliaia di civili inermi – i primi ad esultare furono i giornalisti in carriera, quelli sempre dalla parte del potere che tanto si sono commossi per le favole dei marines buoni e dei talebani cattivi.
Mentre le democrazie occidentali stanno naufragando in Palestina, gli ultimi a salire sulle scialuppe di salvataggio sono ancora loro: i giornalisti in carriera, quelli sempre dalla parte del potere che tanto si commuovono per le favole dei sionisti buoni e dei combattenti di Hamas cattivi.
Le tragedie dei nostri giorni si comprano un tanto al chilo al mercato della realtà e si rivendono a peso d’oro nella mistificazione dei media mainstream.
Ennio Flaiano scriveva: «Giornalisti. Chi si salverà da questi cuochi della realtà?».
Dalle guerre israeliane alla Siria, da Bagdad a Kabul, i media che non disturbano nessuno nelle alte camere del potere o che non scomodano le coscienze sopite dei ri-commentatori social, adoperano un unico modus operandi: prendere la pentola, scaldare la brodaglia, mescolare, bollire, ribollire fino a far schiumare menzogne e parole d’ordine.
Mai una ricostruzione storica fedele alla realtà, mai una contestualizzazione, mai un’analisi delle cause. Nemmeno quando a venire arrestati o assassinati sono colleghi e colleghe, altri giornalisti e altre giornaliste, mentre svolgono il proprio lavoro.
Nemmeno quando il numero di giornalisti assassinati a Gaza è superiore al numero totale di giornalisti morti nella guerra civile statunitense, in entrambe le guerre mondiali, nelle guerre di Corea e del Vietnam, compresi i conflitti in Cambogia e Laos, nelle guerre jugoslave degli anni ’90 e 2000 e nella guerra in Afghanistan messe insieme.
I colpevoli? Vittime.
Le vittime? Colpevoli di esserlo.
In copertina: photo opera di Maram Ali
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Analisi lucida e realistica. Oltre al problema di una narrazione a dir poco ambigua operata dai media vi è, purtroppo, la questione di una “pubblica opinione” sopita e distratta.
Una massa critica che, per divertirsi motivi, è assente o incapace di far valere il proprio peso o la propria voce di fronte a ingiustizie e sofferenze inaudite (che nel 2025 non sono più tollerabili).