Parole a capo /
Gabriela Fantato: Nel chiarore e altre poesie
Tempo di lettura: 3 minuti
“La poesia è l’arte della concentrazione, della riduzione. Per il lettore – la cosa più interessante è andare ‘a ritroso lungo il raggio di luce’, cioè ripercorrere le vie per cui si è giunti a questa concentrazione, stabilire in quale attimo, nel frazionamento a noi tutti comune, per il poeta comincia a balenare la luce di un denominatore linguistico.”
(Iosif Brodskij)
Farsi del male
a Valeria
Le ferite sono profonde,
quei solchi neri ti attraversano
_ il braccio,
Una scrittura che solo tu
sai tradurre nel silenzio.
Nascondi i tagli
sotto la manica lunga
a chi non vuol sapere.
Scavi, cerchi il tuo nome
nella carne
sino all’ osso sbiancato,
a lui chiedi, come la voce
di una madre perduta
inventi ancora quel tuo gioco
a nascondino.
Piccola, sei piccola
nei tuoi sedici anni contati
al calendario,
attorcigliata al bianco
aspetti che qualcuno venga,
passi di lì,
tra le vene e i nervi fragili,
venga dietro l’angolo
proprio dove stai tu.
Vengo a cercarti senza nome,
e intanto il tuo corpo
lontano, abbandonato
in questa primavera.
(inedita)
Nel chiarore
Non so la nudità di un volto
immerso nel chiarore,
non la luce che abbaglia
– alla nascita.
Sul ramo sventola l’allegria
di una foglia piegata
poco prima del volo,
un incolmabile richiamo
a ciò che resta immobile.
Guardo questa distesa
nella fragilità luminescente
preziosi sono i resti di ciò che era
intero, afferrato – nel nulla.
La terra, la terra tutta
è calpestata, divorata
da passi – dove vanno gli umani?
Dov’è la traiettoria
della cometa mentre incontra
la predicazione di un santo?
Improvvisa una musica,
nel tentare l’uragano
di una parola
e domani un temporale
sarà acqua del battesimo.
Nel cavo della mano
gesti possibili, ancora
– non inventati.
(inedita)
***
Poesie da TERRA MAGRA ( Il Convivio editore, 2023)
Ritorni
Dalla spiaggia ritorno sempre
con un sasso, un ramo liscio
o una conchiglia.
Ho pezzi minuscoli
di isole che non ricordo.
Scaglie, ossa persino e
frantumi di colonne.
Stanno nella ciotola, vicini
come bambini nel cortile.
Non so se ricordano il nome che li fece
– interi, la pianta che li univa
e il dolore, prima dell’arsura.
Le voci, certo le voci
le hanno addosso,
una sintassi di calcare e vento.
Le guardo riposare,
non chiedo, non posso sciupare
– il patto.
Infanzia della specie
Laggiù nel bianco,
tra il basalto e strati d’arenaria
si affaccia – l’infanzia,
e coltiva ancora il grano
dentro i sogni.
La vita cresce selvatica
dentro ogni perimetro,
le ossa raccolte,
una preghiera semplice,
imparata da piccoli…
Siamo cellule
nell’eco della specie,
un’origine senza un nome,
senza nome.
Custodire
ai miei figli
I passi non sono più una fuga,
sono echi dentro la testa,
gesti nel bianco delle lenzuola.
Il timore è nato oggi al mondo,
la gioia disegna
il suo nome sul muro,
la mano la tiene, senza
afferrarla mai.
Impariamo la corsa
il primo giorno che siete nati
e siete già qui…
Impariamo il silenzio
e il pianto.
Figli
I figli vanno dove nessuno sa,
vengono da un incontro di cellule,
dal caso o da un destino.
Il compito resta ancora
sfuggire le trappole,
dissodare il terreno
con la determinazione di chi
semina fagioli, ogni anno a marzo.
E non sa se ci sarà la mano
a raccoglierli.
Gabriela Fantato poetessa, critica e saggista, tradotta in inglese, francese, arabo e spagnolo. Suoi testi sono presenti nell’antologia: Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012) e il poemetto A distanze minime in «Almanacco dello Specchio» (Mondadori, 2010).Tra le sue pubblicazioni ricordiamo le più recenti: Codice terrestre (La Vita Felice, 2008); L’estinzione del lupo (Empiria, 2012); La seconda voce (Transeuropa, 2018); Terra magra (Il Convivio, 2023).
Ha curato con L.Cannillo La Biblioteca delle voci (Edizioni Joker, 2006). Interviste a 25 poeti italiani. Ha diretto la rivista «La Mosca di Milano». Attualmente è nella redazione della rivista «Metaphorica» (Edizioni Efesto); Ha scritto testi per la musica, andati in scena nei maggiori teatri italiani, con le musiche di Carlo Galante.
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.
Pierluigi Guerrini
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Cari lettori,
dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .
Tanto che qualcuno si è chiesto se i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.
Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.
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Francesco Monini
direttore responsabile
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