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Ai tempi dell’Università a Bologna, la tappa nelle librerie era costante. Almeno una volta ogni settimana. Feltrinelli era la mia prediletta perché aveva un parco riviste notevole. Ci trovavo molte delle testate ‘resistenti’ come, ad esempio Il Tetto, Tempi di Fraternità, il Bollettino dell’Isolotto, Com-Nuovi tempi”
Quando gli orari delle lezioni lo permettevano, mi spingevo fino alla piccola, straripante libreria Palmaverde in via Castiglione gestita dal poeta editore Roberto Roversi e alla libreria Dehoniana di via Nosadella.

All’inizio di ottobre, la proprietà ha diffuso la notizia del fallimento e della chiusura delle Edizioni Dehoniane di Bologna (EDB), editore di migliaia di titoli, centro culturale di primo piano nella produzione postconciliare. Un titolo esemplificativo: La Bibbia di Gerusalemme, amata da tanti cattolici e non solo, dai tanti gruppi vangelo sorti sulla spinta del vento conciliare.
A proposito della notizia sulla chiusura, c’è da aggiungere che le maestranze hanno saputo del loro licenziamento per vie traverse. Amici giornalisti RAI hanno informato i lavoratori di cosa stava succedendo [Vedi qui] perché la dirigenza dei dehoniani aveva omesso questo…passaggio.

Già nel giugno 2016, al convegno di Peccioli su questo tema, Brunetto Salvarani denunciava questo preoccupante declino, affermando che “nell’arco di pochi mesi, una serie di testate che hanno fatto la storia della comunicazione ecclesiale e religiosa nella stagione successiva al Concilio Vaticano II hanno cessato le pubblicazioni o sono entrate in una fase di crisi vistosa, e, almeno all’apparenza, irreversibile. In particolare, sono le riviste di carattere culturale, e quelle che nel corso degli anni hanno rappresentato un punto di osservazione fondamentale sugli eventi del Sud planetario (…) Ce n’è abbastanza per chiedersi se le ragioni di tali problemi non riguardino solo l’ambito economico, come si tende a pensare, ma tocchino questioni di linguaggio, di spazi di formazione, di capacità di riflessione sulle grandi trasformazioni in atto nei mondi culturali.”

Una crisi dell’editoria su carta che non colpisce solamente quella religiosa. Da anni, testate giornalistiche come La Repubblica, Il Corriere della Sera hanno dimezzato tiratura e vendite, senza dimenticare quotidiani come L’Unità che hanno chiuso trascinando nel vuoto ingenti risorse economiche e umane.

Nel giugno 2020, su Vita e Pensiero Plus, mons. Erio Castellucci, arcivescovo-abate di Modena – Nonantola, oltre a segnalare con grande preoccupazione il “crescente pressapochismo culturale e informativo, in un clima dove gli slogan gridati si impongono sulle riflessioni argomentate”, evidenziava che le librerie religiose privilegiano l’esposizione di articoli religiosi, coroncine, immaginette e non le opere più serie e significative.

Gianfranco Brunelli, direttore de Il Regno, rivista di punta dei dehoniani che nel 2015, avendo come “alternativa” la chiusura, scelse la coraggiosa strada dell’autonomia che ancora oggi continua, ha dichiarato che il nostro Paese “da una decina di anni conosce un’ulteriore ondata del processo di secolarizzazione, che sta facendo segnare una generale crisi culturale. Ci troviamo di fronte a una sorta di analfabetismo religioso, in special modo biblico, che deve preoccupare l’insieme della nostra cultura, quella cosiddetta laica compresa. Più ignoranti non significa più santi.”

Lo storico Massimo Faggioli, in un approfondito ed appassionato articolo apparso su Domani [Qui] evidenzia che “oggi il non saper leggere e comprendere testi lunghi e complessi comporta qualcosa di molto diverso rispetto all’epoca in cui dominava l’analfabetismo e il messaggio religioso arrivava  attraverso canali diversi. Non ci si aspetta da tutti i cattolici di essere topi di biblioteca o di possedere una biblioteca, in senso letterale o figurato. (…) L’assunto che i leader della chiesa possano permettersi di essere ignoranti è solo un’altra forma di clericalismo.”
Ovviamente, questa crisi lavorativa che non sembra del tutto compromessa, al di là dei numeri in campo, è grave, emblematica per modalità, comportamenti e soprattutto per evidenti difetti di etica tra le parole stampate nei tanti libri e le opere della dirigenza dehoniana.

Cover: volumi in vetrina delle Edizioni Dehoniane (l’Avvenire)

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Pierluigi Guerrini

Pier Luigi Guerrini è nato in una terra di confine e nel suo DNA ha molte affinità romagnole. Sperimenta percorsi poetici dalla metà degli anni ’70. Ha lavorato nelle professioni d’aiuto. La politica e l’impegno sono amori non ancora sopiti. E’ presidente della Associazione Culturale Ultimo Rosso. Dal 2020 cura su Periscopio la rubrica di poesia “Parole a capo”.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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