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Chi di noi, da bambino, non l’ha pronunciata almeno una volta, alla mamma che rimproverava per la marachella compiuta o a un amichetto che chiedeva indietro qualcosa che non si voleva restituire. “Resta di stucco, è un barbatrucco”. La frase cult dei bellissimi fumetti dei Barbapapà (dal francese ‘Barbe à papà’, zucchero filato) ci salvava dalle situazioni più difficili. Oggi quella frase la ricordiamo e la pronunciamo con un velo di tristezza, perché il creatore della colorata, gommosa e morbida famiglia di Barbapapà, Barbamamma e i sette Barbottini (o barbabebè), è scomparso a Parigi all’età di 82 anni. Talus Taylor, artista statunitense (nato a San Francisco) di origine irlandese, da sempre residente a Parigi, è stato uno dei fumettisti più noti degli ultimi tempi. Con un passato giovanile hippy, Taylor aveva creato, con la futura moglie Annette, i personaggi dei Barbapapà nel pieno del Maggio francese, ma di politico quella storia ha ben poco. Era un giovane insegnante di matematica e biologia e la sua Annette era una studentessa di architettura alla Sorbona. In un’intervista Taylor aveva detto che in quel bistrot francese, mentre gli studenti parlavano di filosofia e rivoluzione, lui cercava di conquistare Annette, iniziando a fare disegni semplici sulla tovaglia. Era nato così il personaggio e anche il loro matrimonio. Una storia carina e romantica.
Il fumetto di Barbapapà, è stato anche considerato come una delle prime opere portatrici di un messaggio ecologista, nato per caso in quel bistrot parigino dalla fantasia di quei due autori, l’architetto e designer francese Annette Tison e il professore di matematica e biologia americano. Dopo oltre 45 anni, il mondo di Barbapapà continua ad affascinare: semplice e coccoloso, con una vocazione ambientalista d’attualità. La serie a fumetti, firmata da Annette e Talus, fu pubblicata in Francia a partire dal ’70, edita in tutto il mondo in 30 lingue (in Italia da Mondadori) e ha dato vita a un film e a varie serie televisive ancora oggi molto amate, trasmesse anche dalla Rai: la famiglia dei Barbapapà sembra non conoscere crisi. Il cuore di tutti ne è stato toccato, non solo di noi bambini negli anni ’70 e ’80 ma anche di quegli stessi bimbi oggi genitori. Un messaggio che si trasmette a figli e che si trasmetterà ai figli dei figli, perché abbraccia un forte senso di appartenenza a una famiglia calda e accogliente, oltre che e a un ambiente da rispettare.

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Barbapapà

Ricordiamo tutti quel Barbapapà, una sorta di grosso e amichevole “blob” a forma di pera dal curioso colore rosa, che nasce spuntando dal sottosuolo del giardino di una normale casa di provincia. L’arrivo di questo essere alto quanto la loro casa spaventa gli adulti che vi risiedono ma non i due bambini che vi abitano, Francesco e Carlotta (in originale François e Claudine), che diventeranno i primi amici di Barbapapà. Questo nuovo amico diventerà uno speciale compagno di giochi, capace di modellare a suo piacimento il proprio corpo, assumendo la forma della cosa o dell’animale più indicato per risolvere una situazione. Guadagnatasi la fiducia del mondo in cui vive, il secondo problema è quello della solitudine: egli infatti è l’unico essere della sua specie che si conosca. Con l’aiuto di Francesco e Carlotta, Barbapapà parte per uno stralunato e poetico viaggio alla ricerca di una “Barbamamma”. La ricerca si conclude felicemente proprio nella casa dei due bambini: dallo stesso giardino da cui un giorno è misteriosamente spuntato lui, nasce infatti anche la Barbamamma, dalle forme più aggraziate, più “femminili”, di colore nero, alla quale Barbapapà dona subito un mazzetto di fiori rossi che andranno a comporre la vezzosa coroncina che Barbamamma porta sul capo. Barbapapà e Barbamamma decidono, dunque, di crearsi una famiglia: dall’unione dei due nascono quindi sette barbabebé, ognuno con una caratteristica ben definita: Barbabella, viola, la bella della famiglia che ama gioielli e profumi e odia gli insetti; Barbaforte, rosso, lo sportivo della famiglia; Barbalalla, verde, la musicista di casa che sa suonare praticamente ogni strumento; Barbabarba, nero, l’artista di casa, con una pelliccia nera imbrattata dei colori che usa per dipingere; Barbottina, arancione, stereotipo dell’intellettuale, che porta gli occhiali e ama leggere; Barbazoo, giallo, amante della natura, un ecologista convinto, anche dottore e veterinario; Barbabravo, blu, scienziato e inventore della famiglia.

Erano davvero carini, teneri, simpatici, allegri, curiosi, divertenti, originali. Abbiamo tutti giocato con quelle figurine, le abbiamo plasmate con Pongo e Das, le abbiamo colorate, disegnate, guardate alla TV o sfogliate nei giornalini di fumetti. Ci mancheranno, ci mancherai Talus. Sparito come in un barbatrucco. Buon viaggio.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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