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Tra Mogadiscio e Ostia con Saba Anglana
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Vite di carta. Tra Mogadiscio e Ostia con Saba Anglana
Era da un po’ che non mi spostavo a Mogadiscio con le mie letture, dai tempi di Giuseppe Catozzella e del suo Non dirmi che hai paura, il romanzo che ha vinto il premio Strega Giovani nel 2014 con la storia di Samia Yusuf Omar, la ragazzina somala figlia del vento che si qualifica per la corsa dei 200 metri alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 e arriva orgogliosamente ultima.
Le altre atlete sembrano culturiste rispetto a lei, che è vestita più che altro di orgoglio nazionale mentre la maglietta bianca e i fuseaux neri sono quelli che usa ogni giorno per allenarsi.
Credo che ora, dopo avere letto il magnifico La signora meraviglia di Saba Anglana, avrò in mente anche lei, l’adulta che vive a Roma ma è nata a Mogadiscio, non usa il suo nome nel romanzo ma sappiamo che è Saba, riveste il ruolo di narratrice e di protagonista ed è in continuo movimento.
Siamo nel 2015 e lei si muove tra Italia ed Etiopia a raccogliere i documenti che possano conquistare, dopo quarant’anni di vita a Roma, la cittadinanza italiana per la zia materna Dighei.
L’iter burocratico a cui la narratrice e la sua famiglia devono sottostare non è meno complicato del viaggio di Samia dalla Somalia a Pechino, viene da dire. Anche se l’ironia è fuori posto, perché Samia poi muore cadendo dal barcone che la porta in Europa anni dopo, in prossimità delle Olimpiadi di Londra.
La signora meraviglia, esordio nella narrativa della cantante e attrice italiana di origine somala, è scritto con parole che incantano.
Sembrano uscire dagli organi interni dell’autrice, un po’ sangue e tanta sensibilità armonizzati insieme in una prosa che scorre segmentata in frasi brevi. Rivelano verità giunte a maturazione, pronte a essere trasformate in parole.
Raccontano le radici famigliari che affondano nel Corno d’Africa, nella storia coloniale italiana fino all’astio contro gli italiani in Somalia , che nei primi anni Settanta spinse a venire a Roma la famiglia di Nina col marito italiano Carlo e lei, Saba.
Il montaggio è alternato e di volta in volta opera uno strappo spazio-temporale tra l’oggi della vita a Roma e nel Veneto e il memoir famigliare tra Etiopia e Somalia. Dalla luce maestosa tra Roma e Ostia alla assolata Mogadiscio si snodano le memorie che la narratrice ha ricevuto dalla madre Nina e da zia Dighei, che vivono accanto a lei, e dagli altri che abitano in Veneto, zio Bab e le zie Sophia ed Esther.
Non le ha introiettate solo da loro, figli di nonna Abebech e di nonno Worku: qualcosa le è stato travasato nell’anima per via sotterranea. Lungo i solchi delle radici più profonde le sono arrivate le scosse ancestrali del Wukabi: una sorta di demone interiore, che noi chiameremmo attacco di panico, il disagio psicologico di chi non si sente accolto.
Non si è mai sentita veramente integrata nonna Abebech, etiope, rapita da un somalo e poi da lui abbandonata a Mogadiscio con una figlia. Dopo anni più sereni vissuti accanto al marito pure etiope Worku e i loro otto figli, Abebech affonda nel buio, posseduta dallo spirito pericoloso che le toglie il senso della vita e perfino l’uso delle gambe.
Saba ha ereditato da lei l’inquietudine che scava gorghi di vuoto, dentro. Nella sua stanza tiene il proprio autoritratto, una sagoma che ha tracciato col sangue e che la ammalia come una Gorgone. Si guardano nei momenti in cui torna in lei il Wukabi.
A nonna Abebeck hanno portato la salvezza alcune figure misteriose, a metà tra saggezza e magia. Una più di tutte, una maga etiope che conosce anche le superstizioni e le mitologie dei somali, e ha per nome Wezero Dinkinesh.
Per Saba l’iter burocratico che garantirà la cittadinanza italiana a zia Dighei si rivela come un videogioco: “le regole sono a volte da fantascienza, si materializzano dei marziani da neutralizzare” a ogni step, riesce a dire con ironia. Intanto deve affrontare i ricordi, recuperare i brandelli di identità sua e dei famigliari.
Dice: “Lo sono tutti speciali, gli immigrati. Perché hanno qualcosa di rotto dentro da aggiustare” e poi passando al tu di un interlocutore più intimo: “diventi un umano esperto in riparazioni”.
Saba va fino ad Addis Abeba a cercare un ultimo documento per zia Dighei, visita la città alta con la mistica chiesa di San Michele e anche la tomba dei nonni Abebech e Worku. E proprio qui, dopo avere attraversato le storture della burocrazia raggiunge un traguardo: Saba comprende che il Wukabi va accettato come parte di sé, dice “la bestia non muore, ci devo convivere”.
Giunti qui, alla conclusione del libro, ritroviamo a nostra volta la Signora Meraviglia del titolo, con tutta la sua ironia e il suo sorriso. La strega Wizero Winkinesh e l’appellativo dato dalle zie e da Saba al documento della cittadinanza italiana hanno infatti lo stesso nome.
Nota bibliografica:
- Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura, Feltrinelli, 2014
- Saba Anglana, La signora Meraviglia, Sellerio, 2024
Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri
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PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
Una recensione-meraviglia per una storia-meraviglia!!! Grazie sempre, Roberta!!!!