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di Diego Gustavo Remaggi

Spesso immagino i reporter di una volta, Tiziano Terzani, il Vietnam, Joker, Rafterman, la scuola di capitan Gennaio, i loro quaderni sporchi di terra, diventati laceri, talvolta macchiati dall’umidità. Ma voi immaginate le storie dell’Afghanistan, dell’Iran, di Nuova Delhi, dei campi di lavoro russi, gli arcipelaghi Gulag?
A Malala Yousafzai, mentre scriveva a 12 anni nel suo blog del regime dei talebani pakistani, hanno sparato in testa non riuscendo però ad uccidere né lei, né i suoi quaderni, anzi, le hanno fatto guadagnare un premio Nobel per la pace che è servito solo a ricordarle di essere ancora in guerra contro chi le vuole male. A Sean Penn hanno dato il compito di raccontare la storia di El Chapo Guzman, che nei cartelli del narcotraffico centro americano era molto di più di un re fuggito da una prigione.

I giornalisti occidentali raccontano dalle loro precarie condizioni di sicurezza le storie di tante piccole persone che si muovono e corrono in un mondo davvero strano per loro, inseguiti da maledizioni religiose, da scomuniche pastorali o da diritti costituzionali o semplicemente da odio.A Kenji Goto, reporter giapponese, ma freelance per diverse testate occidentali, hanno tagliato la testa. Un emissario dell’Isis con accento inglese lo ha sgozzato senza pensarci due volte, o magari riflettendoci su, affilando la lama assaporando la libido, facendolo e basta. Reporter senza frontiere dice che lo scorso anno tre quarti dei giornalisti uccisi si trovavano in paesi “teoricamente” in pace, il 2% di loro erano donne. Ma al di là dei dati, non vi fa sorridere sapere che uno dei posti più pericolosi dove lavorare è stato la Francia?

Immaginatevi questo: una mattina avete appena preso carta e matita per disegnare la vostra vignetta settimanale e una raffica di proiettili stermina la vostra redazione, quella di un periodico che si chiama Charlie Hebdo, che sputa irriverenza sulla testa di tutti e lo fa così bene da essersi messo contro migliaia di esagitati integralisti. Voi sopravvivete e ora uscite solo sotto protezione e sinceramente, non vi meravigliate quando a metà novembre fanno fuoco sul Bataclan o nel centro di Parigi; all’orizzonte dei campi Elisi c’è quello stesso cielo fumoso della scena finale di Full Metal Jacket, e a vederlo, forse non siete solamente voi.

Non vi aspettate nulla di diverso nemmeno da Mosul, che da 2 anni è sotto il controllo dello Stato Islamico. Dicono che in questa città del nord dell’Iraq ci sia stato un vero buco nero dell’informazione, anche ora che i curdi e le forze alleate stanno per riconquistarla; qui i Taglia Gole sono stati responsabili, in un anno e mezzo, di una cinquantina di rapimenti e 13 esecuzioni pubbliche di reporter, gli inviati stanno tornando timidamente adesso, alle spalle dei carri armati, i pochi rimasti non avevano alcuna possibilità di comunicare con l’esterno, i contatti sono ed erano tutti accuratamente tagliati dall’Isis e con essi anche ogni singola via di comunicazione, internet o giù di lì.

Il Messico continua ad essere il paese dell’America latina con il maggior numero di cadaveri di giornalisti. Lo scorso anno ne sono stati uccisi otto, di cui cinque per ragioni ancora da chiarire. Per chi volesse passare un weekend da quelle parti e mettersi a fare qualche indagine sui cartelli del narcotraffico, l’Odg sconsiglia fortemente le zone a sud di Veracruz e Oaxaca, dove è segnalata anche una forte corruzione tra crimine, politici e polizia locale, dopo la morte di Ruben Espinosa a Città del Messico, a dir la verità, Reporter senza frontiere, dice che non esiste più un posto sicuro in Messico. Occorre farsene una ragione e non imitare assolutamente Sean Penn.

Da un certo punto di vista non vi potete dire sicuri nemmeno se evitate di fare 2 anni di praticantato e mantenete la vostra sacra nomea di blogger per la pace.
Quattro simpatici scrittori sono stati semplicemente uccisi nel giro di dodici mesi in Bangladesh: avevano la colpa enorme di essere prima di tutto laici e poi di sostenere la libertà di parola, di pensiero, di tolleranza all’interno dei propri blog. Ansar al-Islam, una poco rassicurante sezione locale di Al-Quaeda e Ansarullah Bangla Team (nome assolutamente da film) si sono presi la briga di dichiarare le proprie responsabilità nelle uccisioni, alcuni dei loro aderenti sono stati arrestati e condannati, nulla di nuovo sul fronte del subcontinente indiano.

Hindiya Mohamed è una delle ultime vittime in Somalia (ricordate Ilaria Alpi?). Lo scorso 3 dicembre Hindiya stava tranquillamente – ehm… tranquillamente – accendendo la sua auto per recarsi al lavoro come ogni giorno, quando improvvisamente, assieme al boato di un ordigno, tutto è saltato in aria in pochissimi secondi. Non è la prima volta che accade a Mogadiscio. Non sarà l’ultima. Il marito di Hindiya, Liban Ali Nur, lo hanno ucciso solo tre anni prima sempre gli islamisti ribelli di Al Shabaab.
Il problema è che nessuno in Somalia sembra voler indagare o condannare questi omicidi e questo incoraggia molti terroristi a non preoccuparsi di come e dove mettere a segno i prossimi colpi, soprattutto a discapito dei reporter, dei fotografi e degli operatori. Il governo somalo, dal canto suo, ha detto più volte che la sicurezza dei giornalisti non è una priorità.
Reporters Senza Frontiere ha più volte scritto al Segretario Generale dell’Onu, al Consiglio di Sicurezza, all’Assemblea Generale per far aumentare i meccanismi di protezione nei confronti dei giornalisti di tutto il mondo. Secondo RSF l’Onu dovrebbe farsi carico di una rappresentanza speciale per la sicurezza di centinaia di giornalisti e dovrebbe riportare i crimini compiuti nei loro confronti alla Corte penale internazionale così come è già successo per i reporter in area siriana e dell’Iraq lo scorso anno.

Il problema è che ancora non sappiamo se il Consiglio di Sicurezza riuscirà a garantire la pace e la sicurezza in quelle aree totalmente fuori controllo, è già abbastanza complicato per la Corte penale fare chiarezza per i crimini compiuti sulla pelle dei giornalisti che di fatto non stavano lavorando in aree sottoposte alla giurisdizione internazionale e quindi non perseguibili.

Ogni volta che parlo di guerra immagino Terzani a scrivere dal Vietnam. Immagino lui ma anche tutti quei giornalisti e tutti coloro che hanno scritto di fucili e bombe da posti che nemmeno esistono più. Vorrei che tutti fossero al sicuro adesso, assieme ai loro quaderni, appunti, disegni, e assieme alle loro famiglie, ai loro sogni.
Vi siete mai chiesti quanto sono importanti loro per noi?
Potete iniziare a farlo, pensando a tanti che ci hanno lasciato, leggendo magari qualcosa proprio di quell’uomo con la barba vestito di bianco nella valle di Orsigna, un giornalista che scriveva lettere contro la guerra e sosteneva che il rimedio per sconfiggere l’odio era sorridere.
Ah, il giornalismo!

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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