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“Sebastiano 2022” è il titolo della mostra ferrarese di una ventina di opere incentrate sulla figura del santo trafitto dalle frecce, a cura del critico d’arte Lucio Scardino. La particolarità della rassegna espositiva – in corso fino a giovedì 31 marzo 2022 alla Idearte Gallery, via Terranuova 41, Ferrara – è la scelta di concentrare la ricerca estetica su una simbologia storicamente legata alla protezione dalla pestilenza, collegandola a un’emergenza sanitaria attuale come quella del Coronavirus.

Il curatore, che intorno a questa figura ha da tempo concentrato attenzione e studi, ha coinvolto per l’occasione una ventina di artisti contemporanei. Molti i ferraresi che già hanno contribuito con le loro opere a un ciclo di diverse esposizioni, ma anche artisti provenienti da tutt’Italia e da diversi Paesi d’oltreoceano. La mostra si caratterizza per l’attenzione a rintracciare un legame tra l’iconografia di provenienza religiosa e un tema di estrema attualità, che è quello legato alla pandemia.
Uno degli autori esposti, Alessandro Medori, romano, titola la sua opera proprio “San Sebastiano e il demone del Covid” [nella foto in alto]. La raccolta – spiega Scardino – è il frutto di oltre un decennio di ricerca estetica e figurativa, che ha preso forma negli anni attraverso un centinaio di autori.

Un raffinato disegno del Guercino contraddistingue catalogo e locandina della raccolta dedicata alla figura di San Sebastiano.

L’ingresso della galleria che ospita la mostra dedicata a “Sebastiano 2022”

Una citazione storica significativa, in quanto la figura di questo santo ha un’origine molto antica e radicata nell’immaginario iconografico. Ritratti dedicati a Sebastiano sono rintracciabili quasi mille anni prima della rappresentazione dell’artista centese Giovanni Francesco Barbieri soprannominato Guercino, e vanno ricercati già nell’arte dei primi secoli dopo Cristo, in forma di decorazioni a mosaico. È il caso di quella del periodo di dominazione bizantina che si trova all’interno della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna (datata tra il 527 e il 565), ma anche della raffigurazione conservata nell’ex Chiesa di San Pietro in Vincoli a Pavia realizzata oltre un secolo dopo (anno 680) e dell’icona musiva di San Sebastiano dello stesso periodo (680), nella Basilica di San Pietro in Vincoli a Roma. Nel terzo altare della navata sinistra il santo è raffigurato come un uomo anziano e con la barba. Da rilevare un particolare che emerge già da queste antiche raffigurazioni: sulla lapide accanto all’altare della basilica romana viene specificato che l’immagine è stata realizzata come voto per respingere la peste che colpì Roma da giugno a settembre del 680.

Il legame tra il santo e la pestilenza è indagato da un saggio sulla Creazione di un santo della peste (titolo originale “The Making of a Plague Santo” contenuto  nel volume “Piety and Plague – From Bysanzium to the Baroque”, Truman State University Press, 2007)  in cui la storica dell’arte americana Sheila Barker indaga questo tema a partire dall’arte bizantina fino al Rinascimento.

È da questo momento storico, nel 7.o secolo dopo Cristo, che è stata infatti documentata l’identificazione del santo come protettore della peste. Il legame tra il culto delle reliquie del santo e la salvezza dalla malattia si consolida grazie a una suggestione figurativa. Dal momento in cui la popolazione credeva che la peste e le altre malattie contagiose si diffondessero attraverso l’aria alla velocità di frecce letali – spiega la storica che proviene dalla Columbia University – la connessione con Sebastiano non risulta essere sorprendente. Sicuramente questo concetto di contagiosità fulminea, che si diffonde attraverso l’atmosfera, diventa più che mai riconducibile ai caratteri dell’epidemia che in questi ultimi anni sta attanagliando il mondo intero.

Opere della mostra dedicata a “Sebastiano 2022” a Ferrara

Bisogna attendere il Tardo Medioevo e l’esplosione della pandemia pestilenziale che colpisce l’Europa a metà del 14.o secolo, perché si cristallizzi l’identificazione popolare e artistica della protezione dall’epidemia con l’intercessione del martire trafitto da una scarica di frecce. Quelle antiche raffigurazioni, però, sono ancora lontane dall’immagine classica del Sebastiano recepito dagli artisti raccolti nella rassegna ferrarese e che ha, comunque, radici antiche. La rappresentazione del santo non più come uomo in là con gli anni e barbuto, come compariva in mosaici di stile bizantino, ma con le fattezze di uomo giovane, che domina nell’interpretazione degli artisti in mostra, è successiva. Questi tratti di giovinezza e avvenenza – come viene spiegato dagli studi – sono infatti il segno distintivo dell’epoca rinascimentale.

Il decano degli artisti ferraresi Silvano Cavicchi accanto alla sua opera dedicata a San Sebastiano

E questi caratteri restano il tratto di prevalenza dominante nei lavori della rassegna espositiva ferrarese, composta in origine dalle opere di diciotto artisti: Rosamaria Benini, Aurelio Bulzatti, il centenario ferrarese Silvano Cavicchi, Franco Coluzzi, l’argentino Nestor Donato, Antonio Esposito, Alfredo Filippini, Renzo Gentili, Alberta Grilanda, il grafico Claudio Gualandi, Alessandro Medori, Lorenzo Montanari, il newyorkese Louis Olivencia, Sergio Padovani, lo statunitense Nicholas Quiring, Massimo Rubbi, Andrea Samaritani con una delle sue foto-dipinte, l’iraniano Amir Sharifpour, Remo Suprani, Emanuele Tasca, Giuliano Trombini, Giglio Zarattini.

A queste opere, presenti in catalogo, si è aggiunto in questi giorni in parete un nuovo dipinto, realizzato dopo l’inaugurazione dall’artista argentino Anibal Guerra.

Una collezione che, nel suo insieme, consente di spaziare dalla grafica, alla scultura e alla pittura più densa. Ed è un viaggio che, attraverso i simboli, sembra voler affermare la supremazia di bellezza e resilienza su orrore e dissoluzione.

“San Sebastiano 2022” da venerdì 4 a giovedì 31 marzo 2022, ore 10-13 e 16-19, chiuso la domenica, Idearte Gallery, via Terranuova 41, Ferrara.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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