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Presto di mattina /
Padre Silvio Turazzi, la gioia della missione

Presto di mattina. Padre Silvio Turazzi, la gioia della missione

Alba

Sorge con bianca siepe
intorno a noi il mattino,
come dall’albaspina
stretti in un campo solo Iddio ci vede:
e di pensier migranti
pieno è l’aere sereno;
ecco, col volto pieno
di care luci affetti, ed ecco affanni.
Ah! non più la notturna
tenebra ci separa,
non più nei cuor l’avara
solitudine vive, taciturna.
Noi come creature
di gioia ci cerchiamo,
noi che da Dio non siamo
fatti per esser solo anime oscure.
Quando in braccia fraterne
si calmano le nostre
angosce, quando forse
in avverse, forse d’un provvidente
Amor segno troviamo,
e quell’unico riso
che sempre aleggia in viso
a Dio, quel Dio che vive e in cui crediamo.
(Alba, Carlo Betocchi, Tutte le poesie, Garzanti, Milano 1996, 83-84)

Fare memoria non è soltanto ricordare. Il ricordo stabilisce l’irreversibilità di un confine, dichiara il tramonto. Nella dulcis Iesu memoria si supera la morte, si apre un valico al di là del tramonto, i passi rivolti a quell’Alba che viene e in cui crediamo, comunione ancora, un abbraccio fraterno con chi ci ha preceduto nel segno della fede. E così, affiora oltre la siepe il destino, non di anime morte, quello invece di creature di gioia.

In Memoriam

Padre Silvio Turazzi nasce il 14 agosto 1938 a Stellata di Bondeno (Ferrara). Frequenta il Seminario. Dopo l’ordinazione presbiterale (30 maggio 1964) è stato per due anni Cappellano a Bondeno. Per p. Silvio sono anni importanti, quelli del primo “post-Concilio”.

Dopo due anni di noviziato a Nizza Monferrato, entra nell’Istituto dei Missionari Saveriani. In attesa della destinazione, lavora in Casa madre (Parma) e si dedica all’animazione missionaria e all’attività con Mani Tese. È un tempo di conoscenza e di coinvolgimento nel progetto di Mondialità. Anni in cui approfondisce la spiritualità dell’unità, fortemente segnati dallo spirito conciliare.

L’1 maggio 1969 l’incidente che segna il resto della sua vita: aveva 29 anni. Quindici giorni dopo avrebbe dovuto ricevere il Crocifisso e partire per il Giappone. Egli rimane per circa un anno a Ostia (RM) in un Istituto per la riabilitazione e la gestione della paraplegia. Qui si incontra e vive con tanti altri disabili, soprattutto infortunati sul lavoro; tempo preziosissimo per la sua maturazione e apertura.

Dall’autunno del 1969 al 1975 si stabilisce “missionario” presso l’Acquedotto Felice, condividendo la vita dei baraccati insieme a Paola Muggetti e Edda Colla.

Nel 1975 parte per lo Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo). Nell’aprile del 1994, al peggioramento della situazione all’interno dello Zaire, è testimone del genocidio rwandese che iniziò con l’abbattimento dell’aereo del presidente del Rwanda Habirimana. Una guerra che causerà la morte di milioni di persone, con altrettanti milioni di rifugiati che si riverseranno soprattutto sul vicino Zaire. P. Silvio, Paola e Edda si trovano coinvolti in questa immane tragedia nella città di Goma.

Resta vent’anni a Goma, fino al 1995, e per un’altra decina d’anni vi si reca di frequente. Nel 1998 ha un secondo incidente stradale. Sono gli anni della sua vita a Vicomero (PR). Con Edda, gli amici e con quanti bussano alla sua porta vive la missione come “Fraternità Missionaria”, sulle orme e nello spirito di fratel Charles de Foucauld, piccolo fratello e fratello universale.

Fonda Chiama l’Africa e sostiene la realtà di Muungano-Solidarietà offrendo accoglienza a studenti stranieri (se ne sono laureati 103!). Per le conseguenze del Covid muore il 26 maggio 2022, nel giorno della memoria liturgica di san Filippo Neri, che ho voluto ricordare nell’omelia della celebrazione eucaristica alla chiesa della Madonnina, che riporto qui di seguito.

Missionis gaudium

Missionis gaudium: la gioia della missione viene dall’annuncio del vangelo e, come ci ricordano gli Atti degli Apostoli, viene dal Signore che apre il cuore alla gioia del Vangelo. Come a quella donna di nome Lidia, che ha ricordato la prima lettura degli Atti degli Apostoli, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio. Allo stesso modo il Signore ha aperto il cuore anche a san Filippo Neri e poi a padre Silvio Turazzi di cui oggi ricorre il terzo anniversario della morte proprio nel giorno della memoria dell’apostolo di Roma.

“Pippo bono” come lo chiamavano a Firenze per il suo stile umile e pacifico, allegro e piacevole. Il poeta Johann Wolfgang von Goethe scrisse di lui nel suo Viaggio in Italia definendolo “pensosa giocondità”. Egli è pure ricordato come il “profeta della gioia” da papa Giovanni Paolo II.

Così oggi san Filippo Neri e p. Silvio Turazzi ci conducono a riscoprire la gioia della missione. Entrambi sono stati “lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, premurosi nell’ospitalità” (Rm 12, 12-13).

Vite parallele

Ho notato delle sintonie tra loro. Ambedue, a modo loro, sono stati missionari Urbi et orbi a Roma e nel mondo. San Filippo leggeva le lettere commoventi che venivano a Roma dalle Indie di san Francesco Saverio, missionario gesuita, con la notizia che molte persone aderivano gioiose al vangelo. Così egli si accendeva di gioia e di desiderio fino a voler partire anche lui per le Indie.

Pregò, meditò ed andò a consigliarsi con un santo monaco cistercense, Vincenzo Ghettini, all’Abbazia delle Tre Fontane in Roma. E quel monaco gli disse che “San Giovanni Battista gli aveva rivelato in sogno che per Filippo ‘le Indie erano Roma”! Così Filippo divenne missionario in Roma.

Anche p. Silvio da seminarista leggeva le lettere di san Francesco Saverio. Leggendo i testi di p. Silvio ho riscontrato, in corrispondenza con san Filippo, come loro filo conduttore proprio la grazia, lo stile della gioia come habitus, virtù: semplicità, amicizia, apertura fraterna a tutti e imprevedibile libertà.

Ha scritto: “L’amicizia che fa sentire l’altro fratello, porta, nel rispetto di ciascuno, a comunicare quanto è motivo di gioia. La speranza che suscita la forza e la luce del Vangelo è un evento di gioia destinato a tutta la famiglia di Dio”. Quello che Hans Hurs von Balthasar ha descritto di san Filippo Neri come una persona “al limite ed oltre il limite” coì pure p. Silvio che scriverà un testo dal titolo: “La gioia del limite. Il limite non è fallimento”.

Così come san Filippo, p. Silvio visse gioiosamente in mezzo ai poveri, ai piccoli, agli emarginati in ascolto delle beatitudini che sono il “magistero dei poveri”. E alle beatitudini vi ritornerà spessissimo nei suoi scritti come a culmine e fonte, unitamente a una nuova comprensione del “Padre nostro”.

Vissero entrambi, Filippo e Silvio, il cammino della missione come un sentire mistico, di unione, un cammino di santità nel senso molto profondo intuito da papa Paolo VI: «La santità è un dramma di amore» tra noi e il Cristo, cuore a cuore, dono di sé fino alla fine; è nel più profondo di questo dramma, che scaturisce il mistero pasquale, la vita più forte della morte.

La gioia è nascosta nel gemito

«I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?» (Sal 56,9) e questa la preghiera sacerdotale di p. Silvio: “Purificami Signore, fammi grazia di soffrire se occorre, perché Tu abiti in me e cresca la tua gioia, la gioia vera, sulla terra… Il sacerdozio che porto insieme al battesimo, sia motivo di gioia”.

La gioia: questo tratto come filo conduttore compare fin dai primi scritti in p. Silvio: “Si vive nella misura che si ama: il frutto è la gioia”. Tuttavia non una gioia a buon mercato, ma una gioia a caro, durissimo prezzo.

Basti leggere, con grande turbamento interiore, increduli, il diario di p. Silvio a Goma scritto dal 6 luglio al 14 agosto 1994, durante il genocidio rwandese. “Signore, solo il tuo silenzio crocifisso è risposta al mare di dolore di tanta gente”. Ritornato più volte a Goma nel 2014 scrive: “La pace c’è nel cuore della gente. Grazie Signore! È gioia”.

La gioia è nascosta nel gemito, come ci ricorda S. Agostino: “La nostra lode racchiude gioia, la nostra supplica racchiude gemito” (Commento Sal. 148, 1-2): sistole e diastole della preghiera del cuore. Così è anche per p. Silvio.

Perché la gioia è sempre latente nel respiro della missione; sta in silenzio davanti alla croce; scrive: “È forte il legame tra il calvario di Cristo e il calvario di tanta gente innocente, vittima di quanti cercano il potere”. Ma è pure manifestata nell’annuncio della risurrezione: “Sei vivo! Vivo nella corrente di vita dell’Eterno… nella gioia luminosa del cielo, nella trasparenza di un corpo luminoso. È la Risurrezione. La realtà che spezza l’oscurità, la fragilità della condizione umana”.

E ancora scrive “Gesù proclama un Dio che deve suscitare gioia: Dio è vicino all’uomo nel suo amore… il cuore di colui che ha incontrato Gesù, fa l’esperienza della vicinanza di Dio e in lui esplode la gioia (Zaccheo. Lc.19,1-10). È una grande gioia stare con Gesù davanti al Padre nostro, come Lui ci ha insegnato… La “missione”, in periferia, poi in Congo, da povero quale sono, è stata la gioia che il Signore ha messo nel mio cuore… La missione mi è apparsa come una luce di gioia da condividere. “Gesù è risorto, è vivo!” (Come filo d’erba).

Il gusto della gioia

Scrive p. Silvio presentando il suo progetto di vita e il suo cammino missionario: “La speranza che suscita la forza e la luce del Vangelo è un evento di gioia destinato a tutta la famiglia di Dio; Gesù ha rivelato nell’ombra del mistero il Padre della Vita e la nostra chiamata a partecipare come figli alla sua famiglia” (Progetto di vita).

La gioia e la certezza della sua Presenza. “Andate in tutto il mondo e annunziate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc. 16,15). La gioia e la certezza della sua Presenza. “Andate in tutto il mondo e annunziate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc. 16,15). Per questo la testimonianza ha senso, come tutte le cose vere; essa non è legata all’uditorio, è un canto di riconoscenza, è amicizia che porta a comunicare quanto è motivo di gioia” (Un cammino verso la missione).

«Chi vuol altro che Gesù Cristo, diceva san Filippo, ei non sa quel che si vuole». Sapere Gesù Cristo, ci hanno ricordato Filippo e Silvio, ha il sapore della speranza, il gusto vivo della gioia.

Dice Gesù nel Vangelo di Luca: «Un discepolo non è più grande del maestro; ma ogni discepolo ben preparato sarà come il suo maestro» (6,40).

Sento vivamente la conformità di p. Silvio con Colui che lo ha inviato come un Vangelo alle genti e provo a esprimerlo attraverso il sentire di un poeta:

Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell’amore non vano.

O fuggita e pianta e presente gioia
(Giuseppe Ungaretti, Vita d’uomo, 229; 765).

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

 

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.


PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)