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Presto di mattina /
Il coraggio di immaginare

Presto di mattina. Il coraggio di immaginare

Il coraggio di immaginare

 Karev Yom, lievito di speranza
Si avvicina il giorno,
E non è giorno e non è notte
[Altissimo che sei] più in alto possibile, più su, più su
fa conoscere che tuo è il giorno, così come la notte
Istituisci dei guardiani per la tua città
tutto il giorno e tutta la notte
Rischiara, illumina, illumina, rischiara
Illumina con la luce del giorno l’oscurità della notte

Karev Yom è canto alla speranza che accompagna il Seder pasquale, la cena rituale ebraica. Una danza, pure, per suscitare e far lievitare ancora la speranza in una pasqua senza tramonto, a venire, pasqua di redenzione e di salvezza, in cui non ci saranno più né giorno né notte, come in quella notte, ombra della luce, che fece uscire dalla schiavitù un popolo, aprendo una via nel mare. Né giorno, né notte è la speranza, lievito di luce.

Lucido fermento

Oscillano le fronde, il cielo invoca
la luna. Un desiderio vivo spira
dall’ombra costellata, l’aria giuoca
sul prato. Quale presenza s’aggira?
Un respiro sensibile fra gli alberi
è passato, una vaga essenza esplosa
volge intorno ai capelli carezzevole,
nel portico una musica riposa.
Ah questa oscura gioia t’è dovuta,
il segreto ti fa più viva, il vento
desto nel rovo sei, sei tu venuta
sull’erba in questo lucido fermento.
Hai varcato la siepe d’avvenire,
sei penetrata qui dove la lucciola
vola rapida a accendersi e a sparire,
sfiora i bersò e lascia intatta la tenebra.

Parla della speranza come di un fermento che riluce anche questa lirica di Mario Luzi in Liriche gotiche (Tutte le poesie, 139). La speranza è soglia che lascia immutata l’oscurità, e tuttavia fa vibrare le fronde, e la luna sente il richiamo della sua silenziosa voce e ritorna a crescere. La speranza è presenza che ti circonda, che varca con te la siepe d’avvenire, come vento che penetra il rovo e passa oltre, come lucciola che lo attraversa accendendosi e spegnendosi, portatrice di un respiro di segreta gioia.

Ci ha ricordato anche David Maria Turoldo che, seminata nei sei giorni della creazione, è la speranza che fermenta e germoglia in essi, prepara lo stelo, su cui fiorirà il settimo giorno, quello del riposo, “giorno per la speranza è la notte”.

Notte: confine e porta
su altra vita.
Di notte è stata creata ogni cosa,
nella oscurità del solco
fermenta e germina lo stelo,
pur se la spiga maturerà – o morirà –
nel sole: e quando
poi compare la luna …
«fu sera e fu mattino, sesto giorno»,
giorno per Iddio è la Notte.
(O sensi miei…Poesie 1948-1988, Rizzoli 1997, 581)

Terre nuove

Dalle terre rare della poesia alle terre nuove dell’immaginazione: si dilata così lo spazio, anche oltre l’orizzonte, al bracconiere di parole, poiché da esse fiorisce un immaginario di universi, immagini che cercano parole nuove, linguaggi rinnovati per quell’esercizio spirituale che è la ricerca di senso del nostro vivere e oltre se stesso.

A condurmi in queste terre nuove è stata la lettura di un documento di sintesi del cammino sinodale delle Chiese presenti in Italia, che nel titolo unisce immagini e parole: Lievito di pace e di speranza. Un testo, come una mietitura in un campo largo, quello ecclesiale, frutto di una seminagione abbondante, volto a raccoglie i frutti del cammino sinodale durato quattro anni che ha visto parrocchie, gruppi comunità, movimenti, interagire in ascolto dentro e fuori le realtà ecclesiali con la città e il paese.

Una raccolta di esperienze, aperture e indicazioni per rinnovare la Chiesa italiana, conformandola al vangelo per renderla sempre più una “chiesa in uscita” ad incontrare la gente, dilatata verso le periferie esistenziali. Il documento raccoglie oltre cento proposte che verranno votate nell’Assemblea sinodale sabato 25 ottobre a Roma da oltre mille delegati da tutta la Penisola. Proposte che, dopo l’approvazione, saranno consegnate ai vescovi italiani affinché abbiano inizio un processo di recezione a base locale.

In un’intervista, Erio Castellucci, vescovo di Modena, che presiede il comitato Cei per il Sinodo, ricorda che «le oltre cento proposte non sono semplicemente accatastate l’una accanto all’altra, ma il tentativo di indicare delle piste di lavoro, in parte nuove e in parte già battute da alcuni».

Alla domanda: «Quale attenzione alle povertà, come raccomanda il Papa nella sua prima Esortazione apostolica Dilexi te?» risponde: «Questa è una delle carenze del documento. La lettura della Dilexi te mi ha persuaso che in questi anni di cammino sinodale sia stata troppo scarsa l’attenzione alle povertà. Alla fine della fase narrativa era emersa da parecchie parti la constatazione che i poveri non si erano coinvolti o non erano stati coinvolti nel percorso sinodale. Quando Leone XIV, sulle orme di papa Francesco, dice che i poveri sono protagonisti e non semplici destinatari, ci aiuta a fare un esame di coscienza serio. Non è populismo, è Vangelo».

Il coraggio di immaginare insieme

Nel documento viene sottolineata l’importanza di nuovi linguaggi, anche digitali e del coraggio dell’immaginare insieme per stabilire relazioni rinnovate dentro e fuori la comunità cristiana. Sono queste le terre nuove che ci stanno di fronte per la nostra itineranza: «non per un semplice lavoro strumentale di adattamento e condiscendenza, ma per un esercizio spirituale di riconoscimento del vissuto umano come luogo teologico, in virtù del principio dell’Incarnazione.

La comunicazione, del resto, è strutturale nella comunità cristiana: l’annuncio avviene sempre in una relazionalità comunicativa, ridefinendo lo spazio e il tempo dell’atto comunicativo. Con sobrietà e competenza, dunque, i cristiani sono chiamati ad abitare tutti gli ambienti di vita in cui si svolge l’esistenza delle persone», n. 33.

Il coraggio di immaginare titolo con cui inizia il n. 34 del documento credo rappresenti l’istanza iniziale e il denominatore comune da tenere sempre presente come stile ed esercizio permanente ogni volta che si vorranno mettere in atto, un poco alla volta le proposte e i necessari adeguamenti alle singole realtà locali.

Si legge: «Consapevole che la sete di interiorità non è meno ardente rispetto ai decenni passati, anche se spesso non si incanala in forme istituzionali, la Chiesa, nel suo servizio al sogno di Dio in atto nella storia, dialoga con il mondo delle arti – dalla pittura alla musica, dalla letteratura al cinema, dalla poesia alla street art al teatro – non per “addomesticarlo”, ma per coltivare una sana inquietudine, farsi provocare dalle sue intuizioni, tenere vivo il desiderio di terre e cieli nuovi, custodire la speranza.

Pertanto, l’Assemblea sinodale avanza le seguenti proposte:
a. che le Chiese locali creino spazi di incontro e di confronto, laboratori creativi, percorsi di formazione e di “educazione alla bellezza”, valorizzando le realtà esistenti e favorendone di nuove, anche mediante la concessione di ambienti e finanziamenti;
b. che le Chiese locali attingano ai multiformi linguaggi artistici per sperimentare forme innovative di catechesi e annuncio;
c. che le Chiese locali valorizzino il proprio patrimonio artistico, integrandolo nella pastorale, mediante iniziative stabili rivolte alle nuove generazioni alle famiglie, agli immigrati, ai turisti e formando operatori competenti».

È tempo di immaginare

Anche per la teologia, è venuto il tempo di immaginare, insieme ad una intelligenza comunitaria, perché il futuro è corale. L’immaginazione è fattore di cambiamento, superamento e trasformazione. Ci ha ricordato il card. Henry Newman: «Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni». L’immaginazione «è un invito a scoprire il moto del cuore che, paradossalmente, ha bisogno di partire per poter rimanere, di cambiare per potere essere fedele». Così la teologia è chiamata a dare ascolto anche a logiche non teologiche, aprendo spazi all’interdisciplinarità e transdisciplinarità.

L’immaginazione è lievito e fermentazione che si attiva intrecciando le diverse sensibilità e generi di conoscenza, non per mescolare le metodologie proprie a ciascuna disciplina, ma per creare territori, terre nuove, grammatiche nuove dell’umano di convivialità alla ricerca di una razionalità condivisa.

Sono questi alcuni pensieri raccolti dall’intervento del card. José Tolentino Mendonça al Congresso internazionale del dicembre 2024 a Roma: Eredità e immaginazione organizzato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, esplicitamente dedicato al “futuro della teologia”.

Nella sua prolusione diceva: «L’immaginazione del cristiano è sguardo critico che riconosce che il mondo non è come dovrebbe essere, che è segnato dal male, dal peccato, dalla sofferenza, ed è bisognoso di redenzione, ma al tempo stesso si dischiude come sguardo rigenerativo che riconosce i segni dell’avvento di questa redenzione, riconosce i sentieri da aprire perché essa si faccia strada nei cuori e nelle menti degli uomini, nelle vicende della storia. È sguardo non puramente contemplativo ma performativo – fa ciò che dice –  che profeticamente riconosce che cosa possiamo fare di questo mondo se lo affidiamo alla promessa di salvezza di Dio».

L’immaginazione è impronta originaria del pensiero che mette in gioco il cuore

L’immaginazione mette in gioco il cuore e i sensi. È sensazione visiva che dice e pone relazione all’altro. È percezione di qualcosa che appare. È come un’impronta da fuori che fermenta il dentro. È levatrice di creatività per il venire alla luce del pensiero e delle parole. Non è pura invenzione del soggetto o semplice rappresentazione, riproduzione esteriore del pensiero, ma sua determinazione originaria, benefica ibridazione, meticciato fecondo che innesta visivamente e avvia il processo della coscienza e del conoscere. «La sensazione alla lettera una comunione» (M. Merleau-Ponty).

Scrive Giovanni Cesare Pagazzi: «Se è vero che l’anima pensa sempre, è altrettanto vero che essa non pensa mai senza immagine, sia essa visiva, acustica, tattile, olfattiva e gustativa. L’immaginazione non è né un fatto, né una facoltà accostata alle altre, ma il modo originario in cui, attraverso la sensazione, anima e mondo nascono nello stesso momento: co-nascono. Essa testimonia che il conoscere è il co-nascere dell’anima e del mondo e mostra come la coscienza sia già da sempre un legame sensibile (cum-scientia) con il mondo, con-tatto, con-senso dato al mondo. La libertà acconsente alla pro-vocazione dei sensi circa la sensatezza del mondo», (L’esperienza sensibile di Gesù, in I sensi spirituali. Tra corpo e Spirito, Antonio Montanari (ed.), Glossa, Milano 2012, 308).

Universi diversi fermentano il cuore

Tutto sembra, a guardar la notte, fermo
immobile ogni costellazione e quelle
stelle appena nate negli ammassi
piccole ma già segnate dalle loro masse.
C’è più fermento nel mio cuore quasi
l’universo fosse altro da questo firmamento
fatto di vuoto e tempo, di luce e buio;
qui ogni stella appare una resurrezione
e un anno luce l’inizio di un inizio
l’orbita è tanto aperta da sembrare retta
e ogni battito il grido del silenzio.
(G. Ferrara, Appunti di viaggio di un funambolo muto, Edizioni Tracce, Pescara 2015, 24)

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

Foto di <a href=”https://pixabay.com/it/users/geralt-9301/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=7804938″>Gerd Altmann</a> da <a href=”https://pixabay.com/it//?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=7804938″>Pixabay</a>

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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