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“Questo giornale lo compro perché ci scrivi tu, con la tua ironia”.
Fui sorpreso da questa, non so quanto meritata, confessione, ma accettai di buon grado, la vanità è sempre dietro l’angolo. “Questo giornale” era ‘Il Giorno’, lo sentivo come una mia creatura, era un fratello che amavo con tutto il cuore, o un mio figlio a cui prestare sempre attenzione, e la volta che mi fece uno sgarbo grosso gli voltai le spalle e me ne andai.
D’altra parte il direttore di allora, Gaetanino Afeltra, aveva già rimescolato le carte e il grande quotidiano moderno, antifascista, culturalmente all’avanguardia, era morto; al funerale aveva pensato l’editore, sempre pronto a eliminare i rompicoglioni, a licenziarli, a farne carne da macello come i grandi generali con i soldati. I padroni stavano già preparando i nuovi tempi e le nuove coscienze, quelle dei giovani che fanno il saluto romano a Marzabotto.

Eravamo seduti a una tavola molto ospitale, la tavola della signora Adele, che faceva delle tagliatelle da far ingelosire mia zia Olga, bolognese d’antico ceppo, tirate a mano sul tagliere pieno di ferite. Avevamo preso l’abitudine di andare, finita l’udienza, dalla signora Adele, la cui vecchia trattoria guardava il porto di un’Ancona allora sconciata dal terremoto, le case sostenute da pali ma, soprattutto, da tubi di ferro che s’incrociavano pericolosamente sulla tua testa. Umberto guardava e scuoteva il capo. Umberto era Umberto Terracini, in quel momento avvocato di parte civile al processo per l’assassinio, da parte dei fascisti, di un giovane di Lotta Continua, Mariano Lupo: stava passeggiando quando arrivò la squadraccia nera, che con grande fermezza e coraggio lo affrontò e l’ammazzò.
Con Terracini avevo condiviso altri grandi processi, da quello per il massacro di piazza Fontana, a quello per la strage di Peteano e al lungo, orribile dibattimento triestino sullo sterminio di partigiani e di ebrei nella Risiera di San Sabba. Ero diventato amico del vecchio antifascista: un uomo sereno, perfino allegro. Un giorno gli chiesi come avesse fatto a sopportare, uscendone vivo, diciotto anni di galera e di confino e lui rispose, con quel suo modo cortese: “Facendo un riposino dopo mangiato, nevvero!”
Era una persona gentile il Terracini, troppo gentile. L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato in un teatro romano in occasione di un convegno organizzato dal Pci: ero salito sul palcoscenico a salutare il presidente quando ho visto Terracini giù in platea, sono sceso immediatamente e ho raggiunto l’amico, che se ne stava da solo in mezzo alla folla di compagni. Uno di loro mi disse sogghignando: “è rimasto solo finalmente”. “Come stai Umberto?”, chiesi. Il firmatario della Carta Costituzionale – sottolineo: della più moderna e più umana delle carte costituzionali moderne – si guardò attorno indicandomi le poltroncine vuote e, con un sorriso triste, mi rispose: “sto così, nevvero”. Pochi mesi dopo moriva.

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Gian Pietro Testa


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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