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Vista dall’alto Ferrara assomiglia a tante altre città. Illusione ottica: dall’alto non si ammirano i grandi palazzi rinascimentali, i vicoli medievali, le dannunziane vie larghe come fiumane, le piazze che i cittadini hanno voluto grandi forse per liberarsi delle anguste strade che costeggiano l’antico scorrere del fiume impostosi nella cultura degli abitanti della dimenticata urbe come assoluto protagonista della sua vita. Ma è l’anima di Ferrara che rende diversa questa città, la nostra città, dalle consorelle della regione. I bolognesi sono aperti, laboriosi, i romagnoli pure, i ferraresi no, dominati da una sorda borghesia, sicura di essere il punto d’arrivo del pensiero umano, si sono accovacciati sul ramo più alto dell’albero sociale e da lassù giudicano. Brutta cosa, così la conservazione diventa un boccone succulento e il fatto più importante è che anche le fasce popolari assorbono un’incoscienza destinata a diventare fenomeno sociale. Il fascismo nacque così all’indomani delle sommosse rosse cresciute in uno sciagurato primo dopoguerra, così oggi rinasce sulla schiena portante di una borghesia che può subdolamente e silenziosamente imporre, usando i suoi potenti media, cultura e interesse economico come se fossero operazioni corali di un popolo.

Scendendo dall’alto dei cieli, da cui Ferrara pare normale, e addentrandoci nel tessuto urbano incontriamo subito uno dei simboli del fenomeno che abbiamo descritto, l’abbattimento del famigerato (ma non brutto) Palazzo degli Specchi, divenuto, per la sua inutilità, un inguardabile orpello e, per i costi della sua costruzione, un bubbone purulento. Era necessario liberare la città da questo fastidioso, e per molti versi scandaloso, ricordo, le oscure voci che hanno accompagnato la sua edificazione parlano di interessi mafiosi e spero non sia vero. Costringendo l’animo a essere il più possibile ottimista mi dico: auguriamoci che la demolizione sia l’inizio di una nuova èra dominata non dagli interessi mafiosi ma da un sano rapporto tra gli individui e tra questi e la loro società senza prevaricazioni, violenze, inutili orgogli, capace, infine, di riconoscere i veri meriti. Sto sognando a occhi aperti, ma non si può vivere senza un sogno che ti guidi. Comunque non ci si può fermare al Palazzo degli specchi. Tanti altri esempi, purtroppo, urgono o dovrebbero urgere sulle nostre coscienze: prendiamo il nuovo ospedale, che interessi solo in parte sconosciuti hanno voluto nella landa subsidente a 10 chilometri dalla città, escludendo in un sol colpo tutti gli anziani appiedati o dall’età o dalla povertà, tanto devono morire: per addolcire la pillola i politici dissero , quando si trattò di dare il via alla costruzione e poi all’inaugurazione, dissero che all’ospedale “si andrà con la metropolitana di superficie”: forse non sapevano che cosa stavano dicendo. Chiedo: dov’è la metropolitana? Silenzio. Altri affaristi spiegarono che non c’erano “locations” dove sistemare il mostruoso biscione. Non è vero: il posto c’era ed era già stato localizzato sulla via Copparo, ma, evidentemente, mancavano le voci degli speculatori, i quali avevano tacitato i critici dei nuovi progetti. Ricordo, quando per lavoro frequentavo il consiglio comunale, che nessuna forza pseudo politica fu contraria al piano, saltarono tutti sul treno vittorioso. E’ stata una gran brutta figura della città. La borghesia? Con il suo abituale silenzio si applicò alla costruzione di tanti altri ospedaletti, dove i vecchi possono trovare accoglienza pagando: li chiamano poliambulatori, si paga naturalmente. Il fatto è che con la situazione venutasi a creare e con il numero chiuso all’università, non ci sono più medici, tanto poco chiara è la politica sanitaria ferrarese, bloccati nella carriera, trovano posti più accoglienti in altre città e con altre aziende sanitarie. E adesso che si farà del vecchio, comodo come una pantofola, Sant’Anna? Manzoni risponderebbe “ai posteri l’ardua sentenza”. Ma nessuno parla, un grande silenzio è calato su Ferrara che ha smesso di crescere, non nascono maestosi palazzi da consegnare all’orgoglio dei figli, la città, attonita guarda spaventata i nuovi arrivi di persone già sfigurate dalla vita e strappate alla loro inospitale terra, le quali di questo nostro paese, di cui non conoscono la storia, non vogliono sapere nulla. Ma chi ha fame …meglio un simbolico pezzo di pane. Tempo fa una signora extra comunitaria mi disse entusiasta: ieri ho portato i bambini al castello, ci siamo rimasti tutto il giorno (vedi che hanno interessi culturali? mi sono detto); poi ho chiesto “dentro il cortile? O nelle sale?”, “dentro e fuori”, la risposta, ma lei pensava al centro commerciale. Ora i centri commerciali sono nati dovunque secondo una rigida geografia politica, hanno strappato i ferraresi alle loro abitudini, i vecchi negozi hanno chiuso, non c’è più una latteria, non esiste più l’immancabile merceria di un tempo, ne è rimasta una, presa d’assalto da donne affamate di cotoni, elastici e cerniere lampo. La città è stata trasformata in una landa in cui nascono, amplificandosi, nuovi banchi dove prosperano le merci cinesi in concorrenza con i negozi, a loro volta venduti all’oriente.

Come si può pensare che in una situazione del genere sorga spontaneamente (o con i soldi della defunta Cassa di Risparmio?) che so, un Palazzo dei Diamanti? In codesto bailamme architettonico, senza un disegno per la città del futuro, al massimo vedremo innalzarsi la torre vicino alla stazione. Che nessuno ha capito a che serva e che cosa sia. Ce ne sono tante di costruzioni inutili e inutilizzate, dalle caserme agli ospedali. Che ci importa? Costruiremo un altro palazzo della Ragione dopo avere abbattuto l’esistente, già definito, in un celebre articolo di Bruno Zevi apparso sull’Espresso quando l’edificio di Piacentini fu inaugurato, uno “scandalo”: non resta, a noi ottimisti, che vedere sorgere un altro scandaloso edificio lì in mezzo alla splendida piazza e poi esclamare “maial, sl è brutt!”

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Gian Pietro Testa


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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