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Natale e il peso dello sguardo: come difendere corpo e desiderio 

Natale e il peso dello sguardo:
come difendere corpo e desiderio 

Le feste riportano puntualmente in scena i pranzi di famiglia e, con essi, una strana autorizzazione collettiva a commentare tutto. Soprattutto il corpo, l’aspetto e l’immagine. Commenti travestiti da affetto, battute mascherate da ironia, giudizi che passano come naturali: come se il Natale sospendesse ogni limite.

Vale la pena ricordarlo: non siamo l’immagine che l’Altro guarda, né il corpo ridotto a oggetto di discorso a tavola. Il corpo non è un bene comune né un testo aperto all’interpretazione di chiunque.

Nelle sedute che precedono le feste, incontro analizzanti che si preparano a questi momenti: alle riunioni collettive, ai pranzi, agli sguardi e alle parole che torneranno a farsi pressanti. In particolare, i soggetti in transizione — persone che stanno attraversando un percorso di cambiamento rispetto alla propria identità di genere e che hanno già chiesto a parenti e amici di usare un pronome diverso — vivono spesso questi incontri con forte ansia. Sono momenti di verifica: l’altro accoglierà la richiesta? L’altro vedrà? L’altro ascolterà ciò che è stato espresso come desiderio?

Ma non sono solo loro a sentirsi sotto pressione. Anche chi convive con un disturbo del comportamento alimentare, e più in generale chiunque porti con sé fragilità o insicurezze rispetto alla propria immagine corporea, percepisce in modo amplificato il peso di questi sguardi e commenti.

Il lavoro analitico, allora, non consiste nel cercare conferme o farsi riconoscere a ogni costo. Consiste piuttosto nell’imparare a prendere distanza da tutto questo. Non rispondere alle provocazioni, non lasciarsi catturare dall’invasione dell’altro, dalla sua cattiveria o dalla prepotenza di voler plasmare il mondo — e i corpi — a proprio piacimento.

In questi giorni, il consiglio è semplice: non datevi in pasto.
Non alle riunioni familiari, non allo sguardo che misura, non alle parole che pretendono di sapere. Mettere un limite non è scortesia, è un atto di cura di sé. Si può anche tentare di spostare il discorso, cambiare tema, tacere, alzarsi da tavola, non spiegarsi: sono modi legittimi di sottrarsi all’essere oggetto.

Il Natale può essere anche questo: un tempo per non coincidere con ciò che gli altri dicono di noi, soprattutto quando si tratta del corpo e dell’immagine.
È un invito a difendere il proprio spazio, a rispettare i propri limiti e a prendersi cura del desiderio che ciascuno porta dentro di sé.

In copertina: pranzo di Natale – immagine Blog THB Hotel
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Chiara Baratelli

È psicoanalista, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, di questioni legate all’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.

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