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Venerdì arriva in libreria “Responsabilmente liberi”, edito da Diabasis, di cui sono autore. Alle 18 a Ibs saranno con me a presentarlo Fiorenzo Baratelli, direttore dell’istituto Gramsci di Ferrara, e Giuliano Gallini, scrittore (Il confine di Giulia, Il secondo ritorno).

Anticipo qua l’introduzione al testo, precisando che il libro si articola attorno a cinque principali nuclei di riflessione: il dialogo, in considerazione di ciò che lo favorisce e di ciò che lo ostacola; la conoscenza come ineludibile presupposto alla formulazione del giudizio; il mondo dell’informazione come strumento di percezione e interpretazione della realtà nelle sue varie ambivalenze; la politica, nelle sue istanze partecipative e nelle sue derive oligarchiche, con riferimento a preziosi ma oggi rimossi o vituperati concetti quali utopia e ideologia; e infine, gli effetti del modello di sviluppo capitalistico attuale, fondato sull’esasperato consumismo e sull’imperante individualismo, e il contrappasso della solidarietà ai dominanti egoismi.

 Il dialogo, antidoto alla strenua difesa delle proprie certezze

Innalziamo muri, erigiamo barriere. Continuiamo a rinchiuderci in noi stessi. L’antica immagine di una città fortificata ben descrive la nostra attuale situazione: di una comunità impaurita, rinserrata nei propri spazi e nelle proprie certezze. Diffidente e timorosa, solida solo delle sue presunte verità.

Oggi la paura sembra identificarsi principalmente con il migrante al quale sbarriamo gli accessi, come i nostri avi nel medioevo respingevano gli ‘invasori’ negando simbolicamente loro acqua e fuoco e premurandosi di edificare mura di protezione attorno a sé.

Fa impressione, ora, questo nuovo prodigarsi a erigere muri anche da parte di coloro che agli ultimi bagliori del Secolo breve salutarono con gioia il crollo di quello che per tutti era “il Muro”, fosco emblema della libertà negata. Ma adesso gli stessi ergono altre barriere, forse illudendosi così di difendere le loro precarie conquiste… Ma quale libertà può esistere in un bunker? Questo vano costruire steccati è solo il sintomo del disfacimento della coscienza civile, che non trovando in sé la forza per riconsiderare gli attuali equilibri e accogliere chi erra in cerca di vita, si fa scudo di artefatti che mai potranno arginare l’inevitabile fluire del fiume della storia.

Ci sono muri fisici e muri simbolici, che si stagliano nella mente: e sono questi i più pericolosi, poiché le pietre che li costituiscono sono quelle del pregiudizio. Esprimono il bisogno di barricarsi a tutela di presunte verità sulle quali fondiamo le nostre esistenze. Vorremmo evitare il contagio, la contaminazione con altre culture, altri mondi, altri modi di concepire la vita e condurre l’esistenza. E ci illudiamo di poterlo fare.

Da sempre ciò che spaventa è la diversità, in senso lato. È la differenza: tutto ciò che sembra non appartenerci ci mette in crisi, perché ci costringe a riconsiderare vie nuove, alternative ignote. Quel che non fa parte delle consolidate abitudini, non appartiene alle tradizioni, agli usi e costumi, alla nostra cultura pone a repentaglio le fragili – ma per noi preziose – certezze a cui ci abbarbichiamo: come una scossa sismica, la diversità fa vacillare i sicuri anfratti in cui trovano rifugio gli interrogativi che la vita ogni giorno pone, solleva l’obbligo di interrogarci su scelte che diversamente apparirebbero scontate e indiscutibili.

E’ di altri ponti, invece, che avremmo bisogno per valicare i torrenti della paura e invitare altri a fare lo stesso. E’ il ponte l’ideale elemento di congiunzione, il segmento che realizza il senso e l’urgenza delle pratiche indicate dall’etica della comunicazione, ossia da quella disciplina che pone al centro il dialogo e senza l’ambizione di definire il quadro assiologico di riferimento indica formalmente le procedure attraverso le quali gli individui possono confrontarsi nel rispetto gli uni degli altri, alla ricerca di soluzioni condivise a problemi comuni.

Dovremmo avere la forza e il coraggio di mollare gli ormeggi e far vela verso orizzonti inesplorati, alla ricerca di nuove terre, di sapori sconosciuti, di inedite fragranze. Dovremmo avere l’ardire di volgere il nostro viaggio verso Itaca, con occhi assetati e menti attente e curiose ad ogni passo, poiché del viaggio ciò che conta non è la meta ma il cammino.

Il ponte è precisamente questo: un elemento di congiunzione, un tratto di unione, il tassello che ci avvicina e ci fa conoscere. E’ l’invito al dialogo, al confronto, all’apertura, all’incontro.
E la conoscenza è l’unico antidoto al pregiudizio. Solo conoscendo, aprendoci, possiamo vincere le paure e scoprire la ricchezza che c’è nell’altro, in ogni altro, e che è parte di ogni individuo, di ogni essere vivente.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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