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Le storie di Costanza /
Alla caccia della VOLPE VERDE. Il Dui

Le storie di Costanza. Alla caccia della VOLPE VERDE. Il Dui

Con il cuscino sulla faccia, la mia testa rallentò un po’ il suo turbinio e tirai un sospiro. Uno dei clienti appena arrivati in albergo aveva in tasca un fazzoletto da naso verde e, la particolarità del luogo e della storia su cui andavo rimuginando, mi aveva di nuovo impressionato. Mi era sembrato che il signore in questione avesse in tasca una volpe verde.

Dovevo stare tranquillo ancora un po’ sul mio letto, in quella posizione con il cuscino sulla testa e una coperta di ciniglia sulla pancia, stavo già meglio. Mi alzai, chiusi la finestra che dava sul balcone e tirai la tenda, poi chiusi anche la finestra del bagno e mi ridistesi sul letto rimettendo cuscino e coperta nella stessa posizione di prima. Messo così mi sentivo tranquillo. Le volpi verdi, nel caso esistessero, erano chiuse fuori dalla mia stanza, la morbidezza del cuscino e il calore della ciniglia mi trasmettevano una sensazione di protezione e tepore, di sospensione temporanea dei problemi e delle preoccupazioni.

Ripensai a Tresciaone e al mio capo, che in quel momento mi stava maledicendo, perché non aveva ancora ricevuto l’articolo che doveva andare in stampa il giorno successivo. Avevo scritto solo il titolo, poca roba davvero. Avrei ripreso a scrivere nel tardo pomeriggio, dopo essere stato in visita a Costanza Del Re. Dovevo essere a casa sua alle cinque di quello stesso pomeriggio, c’era tempo.

Ripensai al mio capo alla sua passione per i soldi, le macchine e le piante grasse. Nel suo ufficio a Tresciaone c’erano vasi di cactus spinosi un po’ dappertutto. Uno grande e due piccoli sulla scrivania, uno in terra vicino ai suoi piedi, cinque di media misura in fila sulla finestra, uno sull’armadio e uno vicino alla stampante. Una volta un povero fattorino aveva inciampato ed era caduto sul cactus posizionato nel vaso di coccio vicino ai piedi del capo.

Tutti i giornalisti che erano in redazione quel giorno si ricordano le urla strazianti di quel pover’uomo che finirono solo dopo le medicazioni di Martino, il segretario di redazione. Martino era corso alla cassetta del pronto soccorso, aveva preso del ghiaccio spray e una pomata di antibiotico, era tornato dal fattorino e lo aveva spruzzato di ghiaccio. La vittima del cactus si dimenava dal male e non era facile centrargli le mani, i polsi e le ginocchia con il getto della bomboletta. Sembrava un’anguilla nel fango di Comacchio. Gli aghi del grosso vegetale gli si erano infilzati nei polpastrelli delle mani e nelle rotule delle ginocchia, era infatti caduto in avanti bocconi ed era atterrato sulla pianta centrandola in pieno.

Scoprimmo che la sera prima la signora delle pulizie aveva dato la cera al pavimento rendendolo particolarmente scivoloso. Di solito il marmo veniva solo lavato, raramente lo si faceva luccicare, ma il giorno prima era successo. Martino immobilizzò il malcapitato, lo riempì di ghiaccio spray e lo fece sedere sull’unica poltrona presente nella stanza.

Dietro la scrivania era posizionata la poltrona del capo mentre di fronte vi erano due sedie di legno senza imbottitura che accoglievano i giornalisti chiamati a rapporto. Le sedie non erano affatto comode, ma quello non era un problema, a nessuno piaceva sedersi là e provava sollievo appena poteva alzarsi. Lo si poteva chiamare ‘effetto dentista’.

Sulla poltrona del capo nessuno poteva sedersi, tranne lui con le sue importanti natiche. Con una pinzetta Martino tolse le spine al ferito e poi lo medicò con la pomata di antibiotico. Un lavoro sicuramente ben fatto. Il nostro segretario dava sempre prova di buona reattività e pronto ingegno. Dopo quell’incidente il fattorino non lo rivedemmo più, secondo me si licenziò. Una storia non proprio a lieto fine.

Pensai che il capo avrebbe spostato i cactus, almeno i due più grandi e spinosi, ma non fu così. Tutto restò come prima e Martino ordinò una seconda bomboletta di giaccio spray pronta per qualsiasi evenienza. Che io sappia non capitò più di doverla utilizzare, come se si fosse sparsa la voce che entrare in quell’ufficio era pericoloso. Bisognava prestare la massima attenzione a ogni passo che si faceva.

Sta di fatto che i cactus continuarono a regnare là dentro indiscussi e ad incutere un certo timore, si poteva osservare la loro imponenza semplicemente passando in corridoio e guardando dentro la stanza. La porta restava quasi sempre aperta, il mio capo diceva che i cactus avevano bisogno di aria e luce. Secondo me aveva intuito che quei vegetali spinosi erano dei suoi alleati, contribuivano a rendere l’accesso all’ufficio poco gradito e fattibile solo in caso di assoluta necessità. Questo gli piaceva.

Credo che nella sua mente albergasse l’idea che dirigere un giornale fosse come dirigere una caserma e che i giornalisti non fossero altro che dei suoi sottoposti a cui dare ordini senza diritto di replica. Solo con Duilio, uno dei capi redattori, ammetteva qualche eccezione e gli permetteva di dire quello che voleva.

Il capo sapeva che il Dui era un giornalista molto bravo e che avrebbe potuto trovare lavoro a Verganiaone quando voleva. Così lo lasciava parlare e gli permetteva di fare commenti sui suoi cactus.

– Guarda questo – diceva il Dui – sembra che abbia sete, ha delle spine orribili, portatelo a casa che qui è pericoloso.

Il mio capo lo ascoltava, ma non spostava i cactus di un centimetro. Era un gioco di potere che si consumava in quell’ufficio spesso e volentieri e che veniva usato per ribadire la gerarchia che regnava là dentro. Il Dui era comunque la vera spina nel fianco del capo e quando qualche giornalista aveva grattacapi che non sapeva come risolvere andava da lui e gli diceva: – Dai Dui, dammi una mano –.

L’interpellato non diceva subito di sì, gli piaceva farsi pregare, ma siccome era fondamentalmente buono, finiva sempre per aiutare chi glielo chiedeva e per intercedere con il capo quando se ne verificava la necessità. Era di media statura, occhi chiari e bocca carnosa, un fisico atletico e pochi capelli grigi sulla testa, che lui manovrava in modo che coprissero la più ampia superficie cranica possibile. Faceva dei ghirigori con i capelli e poi li fissava con la lacca.

Aveva così un aspetto un po’ bizzarro, ma complessivamente piacevole, vista l’innumerevole quantità di ammiratrici che collezionava. Era anche una brava persona, non approfittava del suo successo con il genere femminile e, nella maggioranza dei casi, interrompeva subito la fascinazione raccontando che aveva cinque figli maschi. Cosa non vera, anche se era sposato da molti anni. La notizia che aveva tutti quei figli era un forte deterrente all’interesse femminile che gli permetteva di fare pulizia sentimentale in maniera indolore e di osservare curiosamente le poche femmine che continuavano comunque a sciorinare avances nei suoi confronti.

Sua moglie non la si vedeva mai. Non doveva essere molto intelligente per lasciare il campo libero a quel modo. Una volta credemmo che quel matrimonio stesse andato in frantumi. Il Dui conobbe, mentre confezionava uno dei suoi reportages, una psicologa molto brava che lavorava per un’azienda di consulenza e si occupava di politiche del lavoro, tema che gli interessava molto.

Si dimenticò di dire alla psicologa che aveva cinque figli e cominciò con lei una conversazione che, partendo da riflessioni sullo stato di salute delle piccole aziende italiane, si spostò sulla bellezza delle montagne e sulla necessità di ritornare a una dimensione del vivere più a contatto con la natura.

Nacque così una storia tra loro che durò un anno e si concluse con un’improvvisa partenza di Miranda per l’Australia. Credo che la decisione sia stata dolorosa per entrambi e che nessuno dei due si sia mai più dimenticato dell’altro. Non sempre le storie d’amore hanno un lieto fine, lo vidi chiaramente quella volta.

Non seppi mai per quale motivo Miranda partì all’improvviso per un posto così lontano e diverso, sta di fatto che se ne andò e nessuno la vide più. Era brava e intelligente, piaceva anche a me. Ogni tanto ricorrevamo a lei quando avevamo articoli da scrivere su temi che conosceva bene e lei ci aiutava. Era disponibile e originale.

Peccato, ad un certo punto la perdemmo. Non tornò più e non fece alcun tentativo di rimettersi in contatto con chicchessia di Tresciaone. Unica e curiosa la storia degli amori umani. Sembra impossibile dimenticarsi di una persona per poi scoprire che è già un ricordo, una pagina sbiadita di un libro irripetibile di cui si è già voltata la pagina. A volte mi chiedo quanto il Dui abbia sofferto per quella storia. Non mi disse mai niente, non affrontò il discorso con nessuno, non cambiò abitudine e continuò a sparlare dei Cactus del capo tutte le volte che poté.

– Quelle maledette piante spinose portano sfortuna – soleva dire mentre camminava nei corridoi.

La parola “sfortuna” non piaceva a nessuno e la frequentazione dell’ufficio del capo era sempre più sporadica, si limitava alle convocazioni che venivano dall’alto. Si sa che ognuno si difende dalle ingerenze altrui come può e usa il potere che ha a disposizione come ritiene meglio.

Il Dui lo usava per tenerci lontano dal capo, forse in parte per proteggerci ma sicuramente per garantirsi il privilegio di essere il suo interlocutore privilegiato. Fare da filtro fra noi e lui gli assicurava il potere necessario per muoversi all’interno della redazione come più gli garbava.

Alla fine, il Capo e il Dui non erano poi così tanto diversi, semplicemente erano posizionati su un gradino diverso della scala gerarchica di Tresciaone. La detenzione del potere era un obiettivo di entrambi, usavano però degli stratagemmi diversi, alcuni preferibili ad altri, almeno per quel che mi riguardava. Il Dui era sicuramente più buono, non trattava male le persone.

Mentre mi frullavano tutti quei pensieri per la testa e il ricordo di Miranda era più prepotente degli altri, ero ancora disteso sul letto con il cuscino sulla faccia. Cercai di tornare al presente, al motivo per cui ero a Pontalba. Era quasi ora di pranzo, forse la pizzeria che avevo visto la sera prima era aperta anche a mezzogiorno, avrei potuto andarci a mangiare qualcosa.

Mi alzai dal letto, abbandonai il cuscino e la coperta, bevvi un bicchiere d’acqua e riaprii la finestra che dava sul cortile interno del Pontalba Hotel. Non c’era più un filo di nebbia e i campi erano verdissimi. Riecco il verde, pensai. In campi verdi come quelli avrebbero potuto nascondersi decine di strabilianti volpi verdi.

Cover: Foto di <a href=”https://pixabay.com/it/users/congerdesign-509903/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=6743531″>congerdesign</a> da <a href=”https://pixabay.com/it//?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=6743531″>Pixabay</a>

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

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