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Le storie di Costanza /
Alla caccia della VOLPE VERDE. Da Camilla

Le storie di Costanza. Alla caccia della VOLPE VERDE. Da Camilla

Costanza del Re mi invitò a casa sua per l’ora del tè del giorno seguente, prese dal negozio un pacchetto di pane e uno di biscotti, salutò prima Camilla e poi il sottoscritto e uscì dal negozio, mentre io cercavo di raccogliere la lattina di birra che mi era caduta di mano, facendo un rumore infernale e rotolando tra i piedi di una persona anziana, che nel frattempo era entrata per far compere.

Notai che la signora appena arrivata trascinava un grande carrello colorato con le ruote di metallo. Ovviamente le serviva per trasportare la spesa a casa. La stoffa del carrello era a quadri e mi ricordava quelle stoffe di lana inglese con cui mia madre amava vestire mia sorella Danila quando era piccola.

Le metteva delle gonne di quel tessuto a quadri che poteva essere rosso, verde e giallo, oppure rosso, bianco e blu, oppure qualcuno di questi colori mescolati con gli altri in maniera diversa. Sul davanti le gonne erano chiuse da una grande spilla dorata o argentata ed erano abbinate a delle calzamaglie di lana pungentissima che Danila non voleva perché diceva che le facevano prurito alle gambe. Appena poté, se ne liberò, convincendo mia madre che a scuola la prendevano in giro perché era vestita come una vecchia zampognara.

In realtà la storia della zampognara se l’era inventata di sana pianta ed era riuscita a propinarla a mia madre con molto successo. Mia madre dal canto suo, aveva promesso che si sarebbe lamentata con la maestra per quella inopportuna presa in giro ma poi, occupata dal lavoro, dalla casa, dall’accudimento dei figli e dal canto (cantava da soprano in un coro di Trescia), si dimenticò di quel proposito, limitandosi solo a permettere a Danila di mettersi i jeans tutte le volte che voleva.

Mia sorella si adeguò subito alla nuova possibilità e visse in jeans fino a quando la sopraggiunta autonomia economica le permise di variare l’abbigliamento a piacimento, sempre evitando calzamaglie di lana pungente e gonne a quadri.

Raccolsi la mia lattina e, risalendo con lo sguardo dal pavimento al soffitto, guardai la signora che avevo di fronte. Una signora molto anziana, direi sui novant’anni, ben tenuta, con un berretto di lana sulla testa, un cappotto di montone sulle spalle, dei pantaloni di flanella grigia e un paio di morbide Clark ai piedi. Emanava una certa signorilità, aldilà dell’abbigliamento adatto alla campagna e a quel giorno feriale.

Del resto, le ostentazioni non sono mai eleganti, e andare da Camilla con i tacchi a spillo piuttosto che con un vestito scosciato, non sarebbe di certo stato segnale di eleganza e di attenzione al luogo, al contrario sarebbe sembrato un po’ eccessivo e sicuramente inutile.

La signora era vestita in maniera consona al contesto e all’orario della giornata. Una novantenne con buongusto. Ogni cosa ha un suo posto adatto, ogni evento ha una sua collocazione temporale imprescindibile, la bellezza non è universale e la capacità di adattamento all’ambiente, alle trazioni e alle caratteristiche delle persone e dei luoghi, importante.

Io mi sentii da subito in sintonia con quel luogo. La mia passione per i jeans e i vecchi maglioni, le scarpe da ginnastica e i piumini, era adatta e utile per sembrare un nativo di quel piccolo borgo, che non ostentava niente, ma viveva intensamente le sue giornate.

Riguardai la signora, le feci un sorriso che lei ricambiò per poi dirmi di chiamarsi Rina, di avere novantun anni e di vivere da sola in una grande casa verso il lato del paese opposto a dove ci trovavamo, vicino alla discesa che porta ai cancelli del parco di villa Cenaroli. Fu così che le chiesi se avesse sentito parlare della volpe verde e cosa ne pensasse di questa diceria. Mi disse che ne aveva sentito parlare, credeva che potesse essere vero.

– Del resto, tutto è falso fino a prova contraria. Se più persone hanno visto una volpe verde perché non dovrebbe essere vero? La gente di Pontalba è sincera e non direbbe mai una cosa del genere se non ne fosse certa. –

A quel punto intervenne Camilla:

La gente di Pontalba dice sia cose vere che false. Vediamo di dire a questo pover’uomo la verità (il pover’uomo ero io). Lei ascolti me, in questo paese c’è pieno di gente che, non si sa per quale motivo, racconta bugie credendole vere, forse perché ha frainteso qualcosa, forse perché è stato a sua volta vittima di qualche imbroglio, chissà. Una volta a una mia cliente hanno fatto morire uno zio, era perfino già stato sistemato nella bara con il suo vestito più bello … Poi abbiamo scoperto che lo zio della signora Anna non era affatto morto, non era nemmeno stato male.

Quindi nessuna venga a dire a me che la gente di Pontalba è sempre credibile. E poi quali volpi verdi? Di quel colore le volpi non esistono. Altrimenti domani qualcuno viene da me e mi dice che ha visto un cammello blu, o la maestra Caterina che vola in cielo. I cammelli blu non esistono e la maestra Caterina non ha le ali!. –

Era chiaro che Camilla non voleva saperne di prendere in considerazione l’idea che esistessero a Pontalba le volpi verdi e non amava che nel suo negozio si spargessero tali dicerie alimentando l’idea di una loro possibile verità.

– Non esca da questo negozio pensando che qui si parla delle volpi verdi e che io sia d’accordo sul fatto che esistono! Lei che fa il giornalista scriva che qui non si crede a nulla senza prove. Dove sono le prove dell’esistenza della volpe verde? Lei l’ha vista?. La signora Rina l’ha vista? No, qui non l’ha vista nessuno.

Mi fa un baffo che qualcuno lo dica, magari il personale di villa Cenaroli si era bevuto un’intera bottiglia di Sambuca per tenersi su e non farsi prendere dallo sconforto per la morte di Maria Augusta che era risaputamene generosa e anche un po’ rimbambita e faceva regali preziosi a tutti i suoi collaboratori. Immaginiamoci il dispiacere! Erano così abbattuti dalla sua dipartita che non solo piangevano … hanno pure visto una volpe verde. –

Vabbè, così non si andava da nessuna parte. Se anche c’era in paese qualcuno che l’aveva vista non era di certo entrato in quel negozio a raccontarlo e, se anche l’avesse fatto, ci avrebbe pensato Camilla a troncare sul nascere la conversazione. Grazie al suo sarcasmo e un po’ di cinismo che aveva maturato stando un giorno dopo l’altro dietro a quel banco di panetteria, parlando con la gente, cercando di soddisfare i loro bisogni e difendendosi dagli imbrogli monetari e verbali che alcune persone provavano a mettere in atto per fregarla, era convincente.

– Alt! Prima di provare a fregare me, devono stare molto attenti, altrimenti io li aggiusto, restano senza pane per sei mesi. Se lo vadano pure a prendere a Cominella, la forneria che c’è là non fa il pane buono come il mio. Hanno solo da perderci. –

Uscii dal negozio frastornato e pieno di dubbi su quella storia della volpe verde. Girai lo sguardo dove la via fa un angolo retto prima di aprire l’orizzonte sullo slargo che costituisce la piazza del paese e, forse suggestionato dalla storia, ebbi l’impressione di vedere con la coda dell’occhio una volpe verde che girava l’angolo verso via Santoni Rosa.

Mi misi a correre, girai anch’io lo stesso angolo ma non vidi più nulla. Se mai c’era stata una volpe verde non c’era più oppure si era nascosta, oppure avevo visto qualcosa che solo vagamente assomiglia a una volpe verde, oppure chissà. Poteva essere un gatto, ma i gatti verdi non esistono, poteva essere una tartaruga, ma non avrebbe potuto andarsene così in fretta, poteva essere della stoffa di un vestito o un angolo verde di qualche attrezzo agricolo, non so.

Mi guardai in giro dappertutto ma non vidi più nulla, da Camilla non era il caso di tornare, da Costanza potevo andare il giorno seguente, non sapevo cos’altro fare e mi diressi verso il Pontalba Hotel un po’ stranito e un po’ preoccupato senza sapere cosa scrivere sull’articolo per Tresciaone.

Non sapevo quali progressi nell’indagine raccontare al mio capo, che sicuramente mi avrebbe telefonato dopo alcune ore per sapere come procedevano le indagini e se avessi scoperto qualcosa. Mentre camminavo vidi una pizzeria e mi dissi che capitava a fagiolo, visto che era ora di cena ed erano diverse ore che non mettevo nulla sotto i denti.

La pizzeria era ubicata verso l’uscita del paese, sulla strada provinciale per Trescia. Davanti alla pizzeria c’era un grande spiazzo con dei magnifici oleandri rosa e un parcheggio interno davvero utile per i frequentatori del locale che potevano posizionare le macchine a un tiro di schioppo da dove si consumavano i pasti.

Mi avvicinai alla pizzeria e sbirciai all’interno. C’erano solo due tavoli occupati, uno con una coppia anziana e uno con una coppia più giovane con due bambini, che si stavano gustando la pizza con il sugo rosso che chiazzava loro mani e faccia. Dei novelli Dracula pasciuti e per nulla spaventosi.

Mi avvicinai alla pizzeria e di nuovo, girandomi all’indietro verso la strada, vidi qualcosa di furtivo e di verde che la stava attraversando. Tornai di corsa verso la strada e guardai da tutte le parti. Niente da fare, non c’era alcuna volpe verde nei paraggi. Allora decisi che per quella sera la pizza non l’avrei mangiata.

Tornai verso la strada e andai diritto in albergo, presi la chiave della mia stanza. Entrai in camera, mangiai i cracker e bevvi la birra, mi lavai i denti, misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte. Spensi anche la luce. Non mi restava che dormire, sperando che il mattino seguente mi aiutasse a fare un po’ di chiarezza nei miei pensieri e nelle mie percezioni. Mi dimenticai dell’articolo e del mio capo. Se avesse telefonato avrebbe trovato il cellulare irrimediabilmente spento.

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

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