Sul mio tetto camminano i gatti. Non quelli di Vicolo Miracoli ma quelli di Via Santoni Rosa, la via dove abito. I gatti di via Santoni sono quasi tutti arancioni, o arancioni e bianchi o arancioni e neri. Anni fa c’era un maschio alfa del colore delle albicocche mature. Si chiamava Ruber, Ruby per gli amici. Ci ha lasciato molti figli, i nostri gatti attuali.
I gatti di Via Santoni, una via corta in cui abitano poche famiglie, amano, nelle notti tiepide, riunirsi sopra il tetto di casa mia e cantare. Non a livello degli amici randagi degli ‘Aristogatti’ che fanno Jazz tutto il giorno, ma comunque musicisti degni di nota. Nel film Gli Aristogatti, una famiglia di gatti, viene fatta sparire dal maggiordomo di casa che vuole diventare l’unico erede della sua vecchia padrona. Un gatto di nome Romeo e i suoi amici aiuteranno gli ‘Aristogatti’ a tornare a casa e a cacciare il maggiordomo. I gatti randagi amici di Romeo formano un bizzarro e straordinario complesso Jazz. La frizzante e divertente colonna sonora del film è stata composta da George Bruns.
Mia nonna Adelina dice un po’ tragicamente che i gatti di via Santoni fanno dei versi strazianti, che sembrano dei moribondi. Li chiama i vampiri. La solita esagerata. E’ però vero che al canto dei gatti bisogna abituarsi, altrimenti col buio sembra un po’ sinistro e all’alba l’annuncio di qualche avversità. Secondo mio nipote Enrico a volte i gatti si trasformano e possono diventare cani, scoiattoli e pecore. La trasformazione avviene di notte, quando nessuno li vede, perché si vergognano a spogliarsi e non sopportano di essere scoperti quando assumono nuove vesti.
La mia casa è grande e il tetto anche. E’ fatto di travi di legno ricoperte di coppi che sanno trattenere il calore. Di notte il tetto ritorna tepore e i gatti arancioni se lo godono. Il tetto ha due camini e un’antenna per la televisione, tre abbaini: due aprono un pertugio sulla soffitta, uno sul bagno. Si vede il cielo proprio da là, o viceversa, l’interno della casa. Da dentro la casa, è capitato di alzare gli occhi verso il cielo e di vedere due o più occhi verdi fosforescenti sbirciare un po’ di vita domestica. Con invidia? Non so. Ho pensato spesso che mi sarebbe piaciuto essere un gatto canterino. Accovacciarmi sul tetto, aspettare i miei amici albicocca e trastullarmi con loro in cerca di nuove melodie, piccoli assoli, coretti a tre voci, e anche un po’ di lirica da soprano. Di notte quei balordi li sento, non solo cantano, a volte miagolano. Ho imparato a capirli, traduco dal gattese all’umano e riesco a farmi un’idea dei discorsi che fanno. E’ un miagolare parlante, un parlare miagolando.
I gatti sono essenziali nel loro argomentare e nel loro incoraggiarsi a vicenda, le cose di cui miagolano sono la salute, la caccia e l’approvvigionamento di cibo, il sesso e la riproduzione, il caldo, il sonno. Inoltre scrivono e recitano proclami sull’indipendenza. “Se un bambino vuoi amar, stringilo al cuore ma non lo graffiar. Se indipendente vuoi restar, nessun favore devi accetar. Se te ne vuoi andar, apri la porta e non ti voltar.”
Questo quando sono di buon umore. Oppure, quando gira male, si lamentano a dismisura : “Un dolore infinito per quel topo ormai fuggito. Un malore acuito da un cane incattivito. Un amico impietrito in quell’aggeggio arrugginito.”. Quando la situazione è tragica il loro canto sembra un pianto. Un singhiozzo con tanto di eco. Una nenia funebre. Come nell’antica Roma quando le prefiche dietro il feretro suonavano il flauto secondo schemi fissi, così fanno i gatti. Producono miagolii secondo un movimento piuttosto lento, che ritorna in ogni verso sulla stessa formula melodica e, a volte, anche sullo stesso grado tonale. Miiiao, miaooo, miiiao, miiiiii. Miiiao, miaooo, miiiao, miiiiii.
La tradizione delle nenie funebri sopravvive ancora in alcune regioni d’ Italia e in modo particolare in Sicilia e in Sardegna. Naturalmente i gatti di via Santoni Rosa non ci sono mai stati, ma credo che apprezzerebbero la trasferta. Ogni tanto un gatto arancione smette di cantare, di invocare gli dei, di confidarsi col vicino di turno e si alza sulle zampe posteriori verso il cielo. Non so perché lo faccia, forse vuol sembrare più alto. Credo che a volte i gatti vorrebbero essere umani, soprattutto quando amano dei bambini. Vorrebbero essere alti, parlare la nostra lingua, mangiare il gelato, andare in bicicletta, collezionare topi di pezza. Vorrebbero dondolarsi su un’altalena, rotolarsi sul tappeto, saltare la fune, leggere. Se li si guarda bene ci si accorge che fanno degli sforzi incredibili per riuscirci e soffrono un po’ del loro maldestro risultato. Credo che vorrebbero essere umani quanto noi a volte vorremmo essere gatti. Vorrebbero conoscere la loro storia, così come noi a volte non vorremmo sapere da dove veniamo. Vorrebbero andare a scuola quanto noi vorremmo dormire sul tetto. Vorrebbero starsene in poltrona quanto noi vorremmo appisolarci nell’erba.
Stasera è quasi estate, sono in cortile e guardo gli arancioni che si stanno radunando sul tetto. Penso a che tipo di notturno canteranno. A che miagolii produrranno. Se scriveranno proclami, se proveranno ad essere un po’ umani. Li guardo avvicinarsi gli uni agli altri con il loro passo felpato ed elegante, posizionarsi sui vari livelli di altezza del tetto e formare una specie di piramide vivente color melone.
Ci sono tantissime favole, storie, animazioni, leggende che parlano di gatti e delle loro imprese. Dei loro strani poteri, della loro intelligenza e della loro capacità di essere quasi umani. Il gatto che parla di Murakami è l’ultimo di una infinita serie di personaggi felini che diventano protagonisti di romanzi.
Ci sono anche gatti reali che hanno fatto cose straordinarie. Ad esempio, nel 2006 nell’Ohio un gatto di nome Tommy riuscì a salvare il suo padrone gravemente malato, solo e costretto su una sedia a rotelle, chiamando il pronto intervento. Quando il centralino rispose non si sentì alcuna voce umana, ma una pattuglia andò lo stesso alla casa del signore e gli salvò la vita. In caso non trovarono altro che un gatto arancione che sembrava guardarli con molta soddisfazione. Il signore raccontò che aveva provato ad addestrare il gatto ad usare il telefono ma che credeva di non esserci riuscito.
Riguardo il mio tetto. I gatti arancione di via Santoni Rosa sono in posizione. Fra poco comincerà il concerto.
Venghino, venghino, signori venghino.
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dal 23 al 26 ottobre 2024
Quattro giorni di eventi internazionali dedicati al cinema indipendente, alle opere prime, all’innovazione e ai corti a tematica ambientale.
Costanza Del Re
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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