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“La democrazia è un’anarchia degli spiriti sotto la sovranità della legge”, è stata questa definizione di Luigi Einaudi a ispirare il nuovo ciclo di incontri “La democrazia come problema”, organizzato dall’Istituto Gramsci e dall’Istituto di storia contemporanea di Ferrara alla Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea. “In questo aforisma – ci spiega Fiorenzo Baratelli, direttore dell’Istituto Gramsci – sono ben sintetizzate le difficoltà, ma anche i vantaggi della democrazia. Tutto dipende dalle varie strategie per conciliare o miscelare di volta in volta l’anarchia degli interessi egoistici di ciascuno con la sovranità della legge, che deve rappresentare i principi della giustizia sociale e sostenere l’efficienza del corpo sociale”. Per questo, continua Baratelli, “la democrazia come regime politico e sociale è per le sue ragioni fondanti (suffragio universale, pluralismo, laicità, libertà, giustizia sociale, divisione dei poteri, principio di inclusione) un problema sempre aperto per l’instabilità e la precarietà che contraddistingue la sua vita quotidiana all’insegna del conflitto e della mediazione”.
Ma oltre alle problematiche insite nel concetto politico e filosofico, parlare di democrazia significa anche affrontare il contesto contemporaneo nel quale i regimi democratici operano, perciò “i temi che verranno affrontati cercano di comprendere un largo spettro di questioni che dovrebbero aiutarci a mettere a fuoco i problemi che ha di fronte la democrazia nel presente: globalizzazione selvaggia, presenza di fondamentalismi e terrorismi, emergere di nuovi attori nella politica internazionale che hanno sancito il declino della secolare egemonia dell’Occidente”.
Dopo il primo incontro introduttivo di venerdì 23 gennaio, con un saluto del sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani, la presentazione del programma e una pièce teatrale scritta da Piero Stefani, la prima conferenza sarà il 6 febbraio: “una lectio magistralis tenuta da uno dei nostri più grandi filosofi della politica, Salvatore Veca”, ci spiega ancora Baratelli. Poi, a partire dal 13 marzo fino al 27 novembre alle 17, “nessuna delle grandi questioni di questo tempo tumultuoso e, per molti versi, drammatico sarà esclusa: le ripercussioni della globalizzazione sulle istituzioni democratiche, la democrazia al tempo della rete, il rapporto tra democrazia, capitalismo e mafia, quello fra democrazia e crisi dello Stato sociale, le varie declinazioni istituzionali e concettuali della democrazia contemporanea, il rapporto difficile tra democrazia e religioni, l’idea di democrazia contenuta nella nostra Costituzione. Per affrontare tutti questi temi – sottolinea Baratelli – sono stati impegnati eccellenti personalità dell’ateneo ferrarese, come Giuliano Sansonetti, Paolo Veronesi, Giuditta Brunelli, Andrea Guazzarotti, ma anche esperti e studiosi noti a livello nazionale, come Carlo Galli, Tiziano Bonazzi , Federico Varese, Piero Stefani, Claudio Cazzola, Maura Franchi e Diego Carrara”.
Non rimane che un’ultima domanda: perché oggi c’è bisogno, ancora e sempre, di parlare di democrazia? Il direttore dell’Istituto Gramsci, citando Bobbio, parla di “promesse non mantenute della democrazia”: “è trascorso un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino. Nell’euforia di quell’evento, è stata messa in sordina la fragilità dei regimi democratici che si andavano affermando in varie zone del mondo. Oggi la democrazia ha vinto nello scontro con i regimi totalitari, ma non gode di buona salute, con questo ciclo ci interessa, più che escogitare soluzioni retoriche o demagogiche ai suoi difetti, sforzarci di capire le cause del suo malessere. Sarà così più facile individuare le vie e le proposte per contrastare la sua deriva.”

“La democrazia come problema”, in programma dal 23 gennaio al 27 novembre alle 17 presso la Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea. Tutti gli incontri sono aperti al pubblico, mentre per gli insegnanti è previsto il riconoscimento di un credito formativo.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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