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“Dotto’, la ‘monnezza è oro”, così un pentito apostrofava un giudice diversi anni fa. Ci sono voluti più di vent’anni per arrivare alla legge sugli ecoreati che finalmente li ha resi punibili penalmente, ma c’è ancora molto da fare. È uno dei tanti fronti che compongono la battaglia per la legalità e si intreccia con la più attuale delle battaglie: quella per la sostenibilità.
Sono più di 28 mila i reati ambientali commessi nel nostro paese nel 2018 stando al rapporto annuale di Legambiente ‘Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia’.
Sono “una media di 3,2 ogni ora” e sono “quasi tutti reati d’impresa”, ha sottolineato Enrico Fontana – responsabile nazionale Economia Civile di Legambiente – durante ‘Pollice nero. La criminalità organizzata all’attacco dell’ambiente’, domenica mattina nel Cortile del Castello all’interno del programma di Internazionale a Ferrara. “Ci sono oltre cento inchieste in tutta Italia che mettono in relazione corruzione e reati ambientali”. In un’Italia a crescita zero, “il pil delle ecomafie cresce”, ha continuato Fontana: “raggiunge quota 16,6 miliardi di euro”, 2,5 in più rispetto al 2017.

Fonte: Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia
Fonte: Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia

Affari d’oro fatti infiltrando e inquinando la filiera agroalimentare, danneggiando uno dei settori più importanti del made in Italy, il ciclo illegale del cemento (3 mila reati) e dei rifiuti (8 mila reati), due esempi per tutti citati da Fontana: “strade al veleno” della direzione distrettuale antimafia di Venezia e “operazione gatto Silvestro, dove i rifiuti venivano mescolati alla pozzolana per fare i mattoni delle case”, peccato che a un certo punto alcuni mattoni abbiano iniziato a scoppiare.
E le propaggini delle ecomafie vanno ben oltre i nostri confini: arrivano, per quanto riguarda rifiuti e cemento, fino in Romania. Romana Puiuleț e una giornalista investigativa romena, parte della rete Organized crime and corruption reporting project per la quale è autrice di ‘L’affare sporco del cemento’. Nel documentario “seguiamo il percorso dei rifiuti da Italia e Germania verso i cementifici di Romania e Bulgaria dove vengono bruciati”: “i cementifici ormai fanno più soldi bruciando rifiuti che con il cemento” e “non pagano per i rifiuti, ma vengono pagati”, ha sottolineato Puiuleț. “Spesso sono contaminati”, ma gli ispettori non possono accertare di cosa sono composti “perché sono rifiuti misti” e non c’è controllo nemmeno sulle emissioni perché “la legge permette ai cementifici di monitorarle autonomamente”, per questo “non hanno nemmeno dovuto installare filtri”.

Diffondere queste informazioni è fondamentale per creare maggiore consapevolezza. Creare narrazioni è il lavoro di Davide Barletti, regista pugliese, autore di uno dei primi documentari sulla Sacra Corona Unita. La Puglia è la terza Regione italiana per numero di reati ambientali. “Se non ci sono narrazioni, se le storie non vengono raccontate, rimangono dentro zone d’ombra” e i protagonisti rimangono soli a combattere battaglie per il bene comune. Lo dimostrano le storie di Renata Fonte, consigliera comunale e assessora all’ambiente di Nardò, che si è battuta contro la speculazione edilizia nell’area di Porto Selvaggio, uccisa la notte del 31 marzo 1984, prima vittima innocente della mafia in Salento, e Peppino Basile, consigliere comunale e provinciale, prezioso whistleblower di diverse inchieste giornalistiche su ecoreati nel suo territorio, ucciso nel luglio 2008 nella sua Ugento (Lecce).

Maggiori info sugli ecoreati in Italia e sul rapporto Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia CLICCA QUI

Guarda la video inchiesta L’affare sporco del cemento diRomana Puiuleț

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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