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Andate dal vostro medico e fatevi prescrivere delle cure senza sottoporvi ad alcuna analisi, potrebbe succedere che se soffrite di reni vi dia una cura per il fegato e se soffrite di cuore una per i polmoni, a meno che il vostro medico non sia un professionista serio.
Siamo fortunatamente arrivati ad un livello di evoluzione e di civiltà dove non vi è campo, che non sia l’ontologia o la teologia, in cui sia possibile procedere senza il riscontro oggettivo dei dati.
Da sempre ogni sapere affonda le sue radici nella ricerca e di solito la ricerca produce dati, nuovi saperi che consentono a loro volta di indagare altre regioni dello scibile umano.
Ora, può succedere che le cose non stiano più in questi termini, specie se le emozioni prendono il sopravvento sulla ragione e si moltiplicano i ministeri della paura.
Quando inizi ad aver paura è fatta. Sospetti di tutto, anche del sapere.
Eppure la ragione suggerisce che, ad esempio, sapere quanto il sapere sia efficace sarebbe indispensabile, almeno per evitare di pronunciare parole come “questo lo dice lei”.
E invece è proprio da chi dovrebbe presidiare sulla bontà e la qualità dei saperi che parte l’offensiva.
Il titolare del Miur, con circolare di questi giorni, ha annunciato la fine della stagione di enti autonomi di studio e di ricerca come l’Invalsi, l’Indire e l’Anvur per trasformarli in uffici della pubblica amministrazione.
Gli acronimi nascondono enti e funzioni di peso, non meno dell’Anas e dell’Anac, ma non si occupano di autostrade e neppure di anticorruzione, semplicemente si occupano di “istruzione”.
L’Invalsi è l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione, quello dei test, per intenderci, l’Indire, l’Istituto nazionale di documentazione e ricerca educativa, l’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca.
Chiunque è in grado di capire la portata strategica di questi enti per una società della conoscenza fondata sulla preparazione del capitale umano, specie per un paese come il nostro il cui gap culturale, da oltre trent’anni, si riflette su un’economia che non cresce, perché manca delle competenze necessarie, di innovazione e di know how.
Continuiamo a perdere terreno e, volendo invertire la tendenza, l’ultima cosa da fare è quella di spegnere le spie sul cruscotto del sistema di formazione.
Come siamo messi in materia di istruzione, dalle scuole dell’infanzia all’università, è oramai patrimonio comune, per effetto di un sistema formativo dotato di strumenti di osservazione, misurazione, analisi e valutazione nazionali e internazionali, relativi ai processi e agli esiti. Togliere la corrente significa impoverire la conoscenza, l’efficacia e l’efficienza del sistema stesso, vuol dire ampliare ulteriormente il divario tra nord e sud del paese, perdere per strada preziose risorse umane.
C’è anche una questione di democrazia. Il sistema di istruzione è pubblico e finanziato dalle imposte che pagano i cittadini, quindi non può che essere trasparente per funzionamento e risultati, con l’obbligo del bilancio sociale.
Si ha l’impressione che il ministro del governo del popolo, più che garantire la qualità, l’efficacia e l’efficienza del sistema istruzione del paese, sia elettoralmente preoccupato di accarezzare il pelo a quanti in questi anni, nel mondo della scuola e dell’università, hanno manifestato una spiccata idiosincrasia per ogni forma di valutazione e di controllo sui processi e sugli esisti dell’insegnamento-apprendimento.
Pensare a professionisti della conoscenza allergici alla cultura della rendicontazione, della ricerca e della verifica, alla riflessione sul proprio lavoro, pare quasi un ossimoro, verrebbe da invitarli a cambiare mestiere.
Il sistema di istruzione e di formazione non può che essere un sistema riflessivo, che pensa se stesso, che analizza le propria anatomia per la responsabilità che ha di migliorarsi di continuo, perché tratta il capitale umano dell’intero paese. Senza questo occhio interno, senza questa capacità di guardarsi nel ventre, di isolare le cellule malate non potrà mai evitare le metastasi che sono gli svantaggi e le barriere che potrebbe accumulare anziché rimuovere ed abbattere.
Una scuola privata di strumenti che ne consentano la radiografia rischia di tornare ad essere quell’ospedale capace di curare solo i sani che denunciavano cinquant’anni fa i ragazzi di don Milani.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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