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Viviamo in una realtà altamente complessa, popolata da differenti forme e popolazioni organizzative, che nel loro insieme numericamente sterminato, costituiscono buona parte dell’ambiente sociale nel quale viviamo: tra di esse è venuta assumendo grande centralità ed importanza l’azienda. In termini sociologici possiamo pensare alla forma azienda come all’insieme di persone e di mezzi coordinati obbligatoriamente per raggiungere i fini economici di un’impresa, ovvero di un’attività organizzata a proprio rischio per produrre o scambiare beni o servizi.
L’ecologia di queste specie organizzative, ovvero il rapporto che questi organismi intrattengono tra di loro e con il loro ambiente, ci mostra sistemi di relazione molto complessi, resi intricati dalla compresenza di soggetti economici e giuridici diversi, dalla diversità dei fini e dei tipi di attività economica, dalle dimensioni estremamente variabili e dalle origini geografiche e dalle culture di origine.

Così, ogni giorno, entriamo in contatto con prodotti e servizi generati dalle grandi aziende industriali automatizzate che agiscono su scala globale, acquistiamo beni dalle piccole aziende ancorate al livello locale, interagiamo in qualità di consumatori con aziende a proprietà familiare o personale, con imprese cooperative non profit e con grandi società per azioni quotate in borsa.
Nel capitalismo attuale il peso delle grandi aziende profit è un fattore preminente della trasformazione automatica e tecnicamente irresponsabile della società in nome della crescita illimitata. La tensione secolare tra capitale e lavoro si è risolta negli ultimi decenni a deciso vantaggio del primo con la drammatica finanziarizzazione dell’economia e l’aziendalizzazione di interi strati della società.
Nelle sue forme estreme, con il pensiero neoliberista dominante, il fine economico dell’impresa è stato ridotto a quello esclusivo di massimizzare il profitto degli azionisti negando con ciò ogni altro riferimento a forme di responsabilità sociale e ambientale, viste come forme di indebita intromissione negli efficienti meccanismi aziendali. Fermo restando il rispetto di leggi e norme vigenti, peraltro ampiamente orientabili attraverso politiche di lobbying, le ricadute negative dell’attività di impresa semplicemente sono esternalità di cui l’impresa non è responsabile.
Opposti a questo pensiero mainstream esistono però approcci differenti che mettono in risalto il ruolo sociale dell’azienda, la sua capacità di produrre valore che vada al di la del mero aspetto economico. Proprio in Italia l’esperienza di Adriano Olivetti ha rappresentato una formidabile esperienza capace di coniugare in modo esemplare comunità ed economia, società e finanza, gerarchia e partecipazione, equità e profitto, cultura ed efficienza.

Oggi, mentre la tecnologia attraverso l’automazione e la digitalizzazione sta potenzialmente liberando l’uomo dall’obbligo del lavoro, consentendo di produrre sempre di più con sempre meno manodopera, bisogna ripensare al ruolo e al fine della forma azienda in un modo nuovo. Soprattutto bisogna pensare a un ambiente di vita dove il lavoro stesso assume nuovi connotati che si delineano come molto diversi rispetto a quelli della vecchia società industriale. Servono ora nuove imprese socialmente e ambientalmente responsabili capaci di contribuire direttamente ed indirettamente alla creazione di capitale sociale e non solo finanziario. Ma perché queste possano prosperare servono anche consumatori responsabili, impegnati nel premiarle attraverso i loro comportamenti d’acquisto

Imprese possibili, aziende responsabili – vedi il sommario

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Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.

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di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

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Francesco Monini
direttore responsabile


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