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Il cinema che spacca i cuori: un viaggio nella pellicola personale di ognuno di noi

Il cinema che spacca i cuori: un viaggio nella pellicola personale di ognuno di noi

“Dicono che ogni uomo, alla fine, sia il risultato di tutte le persone e di tutte le esperienze che in qualche modo lo hanno toccato, ma credo che ciò valga per quelli normali. Chi come me ha passato ore ed ore al buio, protetto da tendaggi e velluti ad inseguire film che dovrebbero spaccare cuori, sogni che balenano là, in fondo alla sala, su di un telo bianco si porta dentro qualcos’altro, magari senza nemmeno saperlo. Sicuramente, metabolizzate fra il sangue e la carne, ci sono le immagini di tutti i film visti, anche i più piccoli e banali e inutili, quelli che, solo apparentemente, passano senza lasciare traccia ma sono lì dentro pronti a riaffiorare inconsciamente dopo anni…”.

(Inseguendo il cinema che spacca i cuori, Gabriele Caveduri, Faust Edizioni)

Gabriele Caveduri ha fatto l’esercente di sale cinematografiche per quarant’anni. Per chi ha vissuto o attraversato Ferrara dagli anni ottanta frequentandone alcuni feticci pagani, è “quello del Manzoni”, il cinema d’essai locale per antonomasia, la persona che ha portato a Ferrara e al Manzoni (spesso anche fisicamente) registi di culto che poi sono diventati icone mondiali, film e rassegne cercando di rimanere sempre in equilibrio fra l’ originalità e il mercato, fra la qualità e il botteghino, come un acrobata sospeso sul filo.  In realtà la sua “carriera” è stata ben più variegata, passando dal Rivoli ad alcuni cinema della provincia, dalle arene estive ai cinema drive-in al parcheggio dell’ipermercato (dove vidi L’invasione degli ultracorpi del 1956 con un alberello piazzato tra il parabrezza della mia Uno e lo schermo), all’Apollo per approdare, sul finire, alla gestione di una multisala, dove ha cercato con arguzia, coraggio e disperazione di preservare la centralità del film in mezzo ai cartoni di popcorn giganti del bar, vero core business dei suoi committenti.

Quello che puoi intravedere leggendo il libro di Gabriele Caveduri, “Inseguendo il cinema che spacca i cuori” (Faust Edizioni, alla prima ristampa) però, non è solo l’aneddotica del gestore di sale, prima inesperto poi scafato, quanto il racconto a cuore aperto di una persona non semplicemente appassionata di cinema, ma avvinta al cinema, al punto da percepirne le immagini, i dialoghi, le battute, i tessuti e gli odori della sala, come parte del suo metabolismo: per fare scorta di grassi e zuccheri, le trattorie e i bar frequentati nei viaggi quasi a-là-chef Rubio, alla ricerca del titolo da proporre e magari “scippare” all’esercente amico e concorrente; per respirare e fare scorta di emozioni, invece, le pellicole, i film. Un nutrimento per i tessuti e per il cuore, entrambi ristoro di bisogni primari, con le emozioni al centro.

Dico intravedere, perché Gabriele racconta e si racconta alternando pudore e spudoratezza, con riferimento sia alle persone sia ai luoghi. Il pudore lo riserva soprattutto alle persone che ha incontrato nella sua vita da ossessionato dal cinema: in particolare alle persone “non famose”, che a volte riemergono dopo anni, a seguito di una vecchia frequentazione occasionale cui al tempo aveva attribuito poco peso, ma che erano rimaste agganciate a qualcosa, un dettaglio o una convenienza che però riportavano tutte a una sorta di materiale emotivo, al quale lui stesso, inconsapevole, aveva dato scarsa importanza. In questi frangenti, la sua “macchina da presa” indugia negli anfratti emozionali attraverso i detti e i non detti, intercalati a mo’ di interludio da frammenti di dialogo tratti da un film, per poi fermarsi (metaforicamente, ma a volte no) alle soglie della camera da letto.

Caveduri tratta con pudore anche alcuni luoghi, travestendoli a volte con nomi immaginari ma rendendone chiaramente riconoscibile il territorio e il contesto. Sospetto che lo faccia per proteggere le persone, perché quando un racconto scava senza remore nel fondo di una relazione, affettiva o di amicizia, deve esistere uno scarto tra sincerità e biografia, che salvaguardi la verità delle storie senza violare la privatezza delle vite.

La spudoratezza la riserva a se stesso, al suo vissuto, come succede alle persone discrete che attraverso la scrittura trovano la cifra per togliere i veli all’anima. Credo che chi conosce in superficie l’autore possa esserne sorpreso, mentre sono convinto che le persone che lo conoscono bene non lo siano.

Poi naturalmente ci sono le storie con gli attori e i registi che è riuscito a far venire a Ferrara, e che l’hanno resa spesso, grazie a lui, il villaggio nel quale altri narratori dei loro villaggi hanno raccontato il mondo, per parafrasare la citazione di Tolstoj che appare all’inizio del libro. Se hai voglia di scoprire chi sono, ricordare chi sono stati o desiderio di conoscere i retroscena di quella serata nella quale magari eri tra il pubblico, questo articolo non è il modo per soddisfare la tua curiosità. Il modo è leggere il libro, sfogliarne le foto, godersi la prefazione di Riccardo Milani, regista tra gli altri de “Il posto dell’anima”, uno di quei film che il cuore lo spaccano davvero.

Scordati un asettico e snob volumetto di critica cinematografica: per fortuna, aggiungo. Questo è un libro scritto da un “malato” di cinema che ti parla della sua passione e di quanto questa passione non sia stata sopraffatta dal cinismo e dal disincanto del mestiere, ma sia stata nutrita e amplificata dalla frequentazione delle persone che danno corpo a questo sogno su celluloide. Persone del “pubblico”, concetto indistinto che qui viene scomposto, portato fuori dalla logica commerciale del consumatore di un prodotto e reso protagonista di tanti rivoli individuali in cui si dipana la trama della propria personale pellicola. Persone come te, incrociato una sera strappandogli il biglietto d’ingresso mentre era nel mezzo di un dramma erotico di gioventù: o come te, che hai chiesto e ottenuto un’ultima proiezione privata per la tua compagna di una vita, in partenza per un’ altra dimensione.

Leggere questo libro può spingerti di nuovo in quella sala buia e misteriosa nella quale il cinema andrebbe gustato, la sola dimensione nella quale il coinvolgimento collettivo e l’emozione unica e personale si mischiano senza sopraffarsi a vicenda. Con un’avvertenza: non potrai occupare l’ultima poltroncina a sinistra dell’ultima fila. Quello è il posto più vicino all’ufficio del gestore della sala, il posto in cui Gabriele si siede a guardare il film. Quella logistica gli serve a carpire il segnale in codice. Infatti, se durante la proiezione la segretaria sbatte forte la porta dell’ufficio, gli sta segnalando che c’è una telefonata alla quale deve rispondere: per non farsi scappare l’occasione di portare il prossimo sogno di un villaggio dentro il villaggio di Ferrara, e farla diventare un’altra volta il centro del mondo immaginario del cinema che spacca i cuori.

Cover image su licenza creativecommons

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, anche se lo stipendio fisso lo ha portato in banca, dove ha cercato almeno di non fare del male alle persone. Fa il sindacalista per colpa di Giorgio Ghezzi, Luciano Lama, Bruno Trentin ed Enrico Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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