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Il prossimo 13 settembre, RECA (Rete per l’Emergenza Climatica e Ambientale Emilia-Romagna) e Legambiente regionale depositeranno in Regione più di 7.000 firme a sostegno delle 4 proposte di legge di iniziativa popolare in tema di energia, acqua, rifiuti e consumo di suolo.
In poco più di 3 mesi si è bene superata la soglia delle 5000 firme necessarie per la loro presentazione e discussione all’Assemblea regionale, segno di una disponibilità e di un interesse diffuso nella società su questi temi, soprattutto declinati in termini di alternativa alle politiche regionali (e nazionali) praticate sulle questioni ambientali e, più in generale, sul modello di sviluppo che li genera.

Non intendo riprendere qui i contenuti presenti nelle proposte di legge (peraltro li avevo già esposti in un precedente articolo su questo quotidiano [Vedi qui] ), quanto proporre tre ordini di riflessioni.

Il primo riguarda il fatto che le questioni su cui abbiamo raccolto le firme (ancora con la faticosa e superflua modalità di autenticazione e certificazione elettorale, sic!) sono diventate ancora più attuali e centrali anche solo rispetto ai mesi scorsi.
Prendiamo, a titolo esemplificativo, i temi dell’energia e dell’acqua. Sull’energia è ormai diventato senso comune la constatazione che l’aumento del prezzo del gas e dell’elettricità sta producendo una crisi profonda – più di quella conosciuta a proposito del petrolio negli anni ‘70 del secolo scorso – mettendo a forte rischio il livello di reddito e di vita delle persone e la situazione economica e produttiva del Paese. Una crisi che nasce dalla forte ripresa dopo il lockdown pandemico, con le strozzature nelle catene produttive che ha determinato.
Una crisi che si è aggravata con la guerra tra Russia e Ucraina e viene alimentata da un’irresponsabile ma, purtroppo, ‘fisiologica’ speculazione che si produce da quando un mercato di tipo borsistico regola il prezzo.

Una crisi che rende più forti la necessità di una politica energetica che scelga indipendenza e autosufficienza delle fonti (anche da questo punto di vista, quale scelta migliore se non quella della produzione da fonti rinnovabili?), ma che, invece, viene utilizzata per rilanciare con forza l’utilizzo delle fonti fossili, secondo una logica guidata dalla conferma di un vecchio e sbagliato modello di sviluppo e dalla massimizzazione dei profitti.

Se qualcuno giudica estremiste queste affermazioni, dovrebbe rispondere a un fatto che ha quasi dell’incredibile. Nello stesso momento in cui si fa persino allarmismo sulla mancanza di gas per il prossimo autunno, ci tocca registrare che, tra gennaio e maggio, di quest’anno sono stati esportati dall’Italia 1.467 milioni di metri cubi equivalenti (Smc) di gas, ovvero il 578% in più rispetto ai 254 milioni del 2021. Una quantità che non ha pari negli ultimi 15 anni
Oppure, basterebbe guardare all’esplosione di profitti dell’Eni, che nel 2021 sono balzati a 4,7 miliardi di €, il livello più alto dal 2012. O allo scandalo delle imprese energetiche diventate soggetti di elusione fiscale, visto che, rispetto ad una tassazione, pur insufficiente, del 25% degli extraprofitti realizzati con l’aumento del prezzo del gas, che doveva garantire 4,2 mld. all’erario con l’acconto di giugno, ne hanno versati solo 800 milioni.

Ragionando sulla questione dell’acqua, in tempi in cui sia la siccità che i fenomeni alluvionali estremi diventano ‘normali’ e ben evidenziano che il cambiamento climatico è già un dato strutturale, anche qui non si può non vedere come occorre ripensare un intero paradigma in base al quale la risorsa era considerata illimitata e la sua gestione poteva essere affidata dentro una logica completamente privatistica.

Di fronte a questa drammatica situazione – e questo è il secondo ordine di riflessione – anche in Emilia-Romagna, come a livello nazionale, si propongono interventi di corto respiro, legati a concezioni superate, dettati da un’idea di sviluppo prigioniera della logica della crescita quantitativa del PIL e di una torsione economicista e produttivista. Con l’aggravante, stando alle esternazioni del presidente della regione Bonaccini, che essi vengono presentati, da bravi primi della classe, come elementi  esemplari per l’intero Paese.

Ecco che allora Ravenna viene vista come una delle capitali del gas in Italia, installando un nuovo rigassificatore e promuovendo una nuova fase di trivellazioni per incrementare la produzione nazionale di gas, senza dimenticare il progetto dell’Eni di installare lì il CCS, impianto di stoccaggio e immagazzinamento della CO2.
Un progetto, quello del rigassificatore, che, oltre alle problematiche non trascurabili di sicurezza che comporta e di messa a rischio dell’ecosistema marino, significa puntare, per un periodo di tempo non breve, alla strategicità di una fonte fossile come il gas, mettendo in secondo piano il tema della transizione ecologica.
Senza, peraltro, rispondere in tempi brevi all’emergenza energetica, visto che il rigassificatore non andrà in funzione prima dell’autunno 2024.

In tema di mobilità, si continua imperterriti a seguire la strada delle grandi opere autostradali – dal Passante di mezzo a Bologna alla Cispadana e alla bretella Campogalliano-Sassuolo- che supportano l’utilizzo del mezzo di trasporto privato, anziché puntare al potenziamento del trasporto pubblico e alla “mobilità dolce”.

Su altri fondamentali beni comuni, dall’acqua al ciclo dei rifiuti, viene confermata la spinta alla loro privatizzazione e ad una gestione non sostenibile delle risorse: sulla prima con un provvedimento regionale che ha prorogato fino alla fine del 2027 le attuali gestioni del servizio idrico, facendo un ulteriore grande regalo a Hera e Iren, mentre sul secondo siamo addirittura in presenza di un un nuovo Piano regionale che prevede un incremento della produzione pro-capite dei rifiuti urbani del 5,4% che passerebbe dai 667 kg/ab anno del 2019 ai 703 del 2027!

Potrei continuare parlando del consumo di suolo, del ruolo negativo della proliferazione della logistica, delle linee che ispirano l’attuale produzione agricola e zootecnica, della qualità e dell’inquinamento dell’aria e di altro ancora.
Mi pare che ce ne sia quanto basta per sottolineare come non si può più ignorare la necessità della transizione ecologica e come diventa necessario mettere in discussione il modello produttivo e sociale che produce tali scelte regressive. Perché è di questo che si deve parlare e su cui occorre intervenire: del cosa si produce, di come e per chi  lo si fa.

Le 4 proposte di legge di iniziativa popolare hanno l’ambizione di muoversi entro quest’ambito. Spingere verso la produzione e l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, eliminare il consumo di suolo, ridurre la produzione dei rifiuti e uscire dall’incenerimento, favorire i processi di ripubblicizzazione del servizio idrico e dei rifiuti significa proprio aggredire questo nodo e prospettare un embrione di modello produttivo e sociale alternativo.

Anche per questo non si possono nutrire molte illusioni sul fatto che, allo stato attuale, esse possano essere accolte nella loro sostanza da chi governa (ma anche da chi sta all’opposizione) in questa regione.
Serve un’ampia mobilitazione sociale e una forte pressione sulla politica per sostenerle. E’ questa la terza riflessione di fondo.

E per questo il deposito delle proposte di legge, il 13 settembre,  verrà accompagnato da un presidio sotto la Regione Emilia-Romagna. Quindi si lavorerà perché esse vengano discusse in tutti i Consigli comunali, almeno di quelli capoluoghi di provincia.
Già con l’idea di pensare ad una grande manifestazione regionale a Bologna per il mese di ottobre,
mettendo al centro le tante vertenze territoriali che intervengono sui temi ambientali e che sono aperte in questa regione, unificate dall’orizzonte di prospettare un nuovo modello sociale e produttivo, di cui le 4 proposte di legge costituiscono un forte elemento esemplificativo. Costruendo anche una convergenza tra tutte le realtà che si muovono nel variegato mondo ambientalista e anche con il tema del lavoro, visto che lotta al cambiamento climatico, transizione ecologica e quantità e qualità del lavoro si tengono insieme. Almeno per chi pensa necessario tenere aperta la porta sul futuro, perché possa essere più giusto e solidale.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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