In USA risorge il Ministero della Guerra, e l’Europa si accoda
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In USA risorge il Ministero della Guerra, e l’Europa si accoda
Ci sono, nella storia, atti simbolici che valgono ben di più di tanti discorsi nel segnare un cambio di epoca. Uno di questi mi pare la decisione di Trump, assunta nelle scorse settimane, di cambiare la denominazione di Ministero della Difesa in Ministero della Guerra.
Il ministero della Guerra era esistito negli Stati Uniti dal 1789, praticamente dalla loro fondazione, fino al 1949, quando era stato appunto trasformato in Ministero della Difesa.
Questo passaggio inverso segnala non solo la nuova postura dell’Amministrazione Trump, che vede il mondo costruito unicamente sui rapporti di forza economici e militari, ma anche il fatto che, in buona sostanza, si considera il periodo che è intercorso dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi come una parentesi, una sorta di sospensione temporale in cui ha agito un ordine internazionale basato sulla pace (anche se bisognerebbe discutere molto su questa sbrigativa affermazione) per poi reimmettersi nella carreggiata scontata di una realtà “naturalmente” dominata dalla guerra.
Fa anche orrore che tale visione sia stata assunta dall’Unione Europea, che è ciò che ha sancito il Discorso sullo Stato dell’Unione 2025 pronunciato da Ursula von der Leyen il 10 settembre al Parlamento Europeo, giustificando così la scelta scellerata di fare del riarmo e dell’economia di guerra il pilastro portante della propria politica per i prossimi anni, senza avere la consapevolezza che ciò significa non solo mettere da parte la specificità del modello sociale europeo, ma anche condannarsi alla propria irrilevanza, rassegnarsi al destino di fare la parte del vaso di coccio tra i vasi di ferro costituiti dalle grandi superpotenze, USA e Cina.
un nuovo complesso militare-industriale-informatico
La svolta guerresca di Trump si basa sul rilancio di un nuovo complesso militare-industriale-informatico dipinto come leva positiva per governare il mondo e costruire una prossima fase di sviluppo economico. Anche qui, una svolta emblematica rispetto alla denuncia sul ruolo negativo del complesso militare e industriale svolta dal presidente statunitense, anch’esso repubblicano, Eisenhower nel lontano 1961 con il suo discorso di addio alla presidenza.
La costruzione di questo nuovo complesso militare-industriale-informatico si fonda, da una parte, su un inedito intervento pubblico nell’economia con il governo statunitense che entra, non casualmente, con una quota del 10% nella proprietà della multinazionale statunitense Intel, importante produttore di microchip, e finanzia significativi programmi di sostegno alle aziende hitech. Dall’altra, sulla privatizzazione di settori fondamentali finora appannaggio dell’intervento statale e ora affidati appunto a queste ultime, nonché sui loro grandi progetti di investimento nell’innovazione tecnologica, in primis nell’intelligenza artificiale, che, contemporaneamente, trae alimento e sostiene le applicazioni militari, trasformando le stesse modalità della guerra.
A completare il quadro, emerge poi il ruolo della finanza, e in specifico dei grandi Fondi di investimento, come Blackrock, Vanguard e State Street, che sono grandi azionisti delle più importanti aziende hitech. Per stare, a titolo di esempio, a Meta (che possiede Facebook, Instagram e Whatsapp) , Apple e Alphabet (holding che controlla Google), i tre Fondi suddetti ne sono i principali azionisti, con quote che complessivamente assommano tra il 15 e il 20%. Una “grande alleanza” tra Amministrazione Trump e aziende hitech (sostenute dalla finanza), ulteriormente sancita da una recente cena alla Casa Bianca cui hanno partecipato, invitati da Trump, i capi dei colossi americani del settore, da Mark Zuckerberg (Facebook e Meta) a Bill Gates (Microsoft), passando per Sergey Brin (Google), Tim Cook(Apple), Sam Altman (Open AI) e i CEO di Google e Microsoft Pichai e Nadella.
Unici assenti l’ex amico Musk e Bezos, principale azionista di Amazon e proprietario del Washington Post, entrambi, per ragioni diverse, non del tutto allineati a Trump, a riprova del fatto – e questo rende quest’alleanza ancora più pericolosa – che essa ha anche un collante ideologico, di adesione, più o meno strumentale, alla visione del mondo di Trump.
Altra figura chiave ed emblematica di quest’intreccio tra economia e politica, forse non invitato alla cena sopra menzionata, perché legato da un vero e proprio rapporto amicale con Trump è quella di Larry Ellison, da poco diventato l’uomo più ricco del mondo, avendo scalzato Musk dal vertice di questa classifica. Ellison è contemporaneamente proprietario di Oracle, importante, anche se meno nota, multinazionale del settore informatico, dell’isola hawaiana di Lanai, trasformata in un laboratorio di turismo esclusivo, e finanziatore del figlio David che ha creato un conglomerato dei media, che raggruppa CBS, MTV e Paramount Pictures. In più, potrebbe diventare essere uno dei nuovi proprietari di TikTok Usa, con il compito primario di avere la gestione cloud dei dati. Un impasto di produzione/servizi hitech e industria dell’entertainment che, oltre a garantire profitti importanti, visto che parliamo di due settori molto redditizi, appare come la nuova frontiera del capitalismo odierno.
Il progetto “Gaza Riviera”
Tutto questo fa immediatamente pensare all’aberrante progetto “Gaza Riviera” messo a punto da Trump e Netanyahu, con l’idea che, dopo averla rasa al suolo e sterminato il popolo palestinese, essa possa diventare, un hub tecnologico e una stazione balneare di lusso (magari “democratizzata” per ospitare anche settori del ceto medio intruppati nella modalità del turismo “mordi e fuggi”).
Per quel che resterà del popolo palestinese, dopo l’occupazione israeliana iniziata in questi giorni con le divisioni “Fuoco”, “Acciaio” e “Ira”, il progetto prevede la deportazione in enclaves, che saranno veri e propri campi di concentramento, oppure usufruire della mirabolante somma di 5000 dollari per chi “volontariamente” deciderà di espatriare.
Schiavi o mendicanti, figure che ci parlano di questa nuova normalità del capitalismo di questo scorcio del XXI secolo.
La “soluzione finale” per Gaza diventa così una metafora potente del “tecnocapitalismo neofeudale”, che appare come la nuova cifra del capitalismo di questi anni, che ha sostituito la versione del “neoliberismo liberoscambista” dei primi anni 2000. E che non può che basarsi, appunto, sulla guerra e sul pesante restringimento della democrazia, fino ad approdare a forme, più o meno striscianti, di neofascismo. Sul dominio anziché sull’egemonia.
Per fortuna, ci sono molti fattori e spinte che rendono questo ridisegno del mondo debole e ben lungi dall’affermarsi. Ma di ciò ragionerò nel mio prossimo articolo.
( 1. continua)
Cover: Il Pentagono, sede e quartiere generale del Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti d’America – immagine Wikimedia Commons
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