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Ogni volta che purtroppo ho a che fare con gli ospedali, il pronto soccorso, la sanità pubblica penso queste cose:

1) che se sento ancora qualcuno che sostiene o agisce affinché si taglino ulteriori fondi ai servizi pubblici (sanità, istruzione, trasporti, informazione) perché “così paghiamo meno tasse” o “perché abbiamo un debito enorme”….Ecco, se lo sento ancora, non rispondo delle mie azioni;

2) che Non c‘è più paradiso di Gianni Celati è un racconto visionario e decisivo, dove si dice tutto ciò che conta, tutto l’essenziale, sia sugli ospedali che sulla società contemporanea. Leggetelo, è bellissimo. Lo trovate nella raccolta Cinema naturale (Feltrinelli, 2001, libro vincitore del premio Chiara di quell’anno);

3) che per chi dice che chi lavora nel pubblico è un fannullone i casi sono due: o non ha mai avuto a che fare seriamente né con la sanità (beato lui!), né con la scuola (poveretto!), oppure è un farabutto in malafede. Oppure ancora sta scherzando, ma sono scherzi di merda.

Ah, a proposito, mentre sono in ospedale, al pronto soccorso, mi giunge la conferma che Calenda&Renzi candideranno Letizia Moratti presidente della regione Lombardia. Letizia. Moratti. Sì, proprio la principale responsabile della distruzione della scuola pubblica, durante i governi Berlusconi, con la controriforma della scuola che porta il suo nome, con i suoi tagli radicali.

Avevano già fatto abbastanza per meritarsi il nostro (o almeno il mio, ma so di non essere solo) disprezzo politico, Calenda e Renzi, ma ogni giorno ci danno nuove occasioni per confermare questo brutto sentimento nei loro confronti, che ci piacerebbe tanto poter evitare.

Se poi si resta un po’ di più al pronto soccorso, ovvero come minimo le canoniche 5-6 ore per un codice azzurro, cioè mediamente critico, il libro di Celati da leggere assolutamente diventa un altro: Comiche (Einaudi, 1971, ma recentemente ripubblicato da Quodlibet per la cura di Nunzia Palmieri).

Stando qui, in ospedale, sembra di stare nel libro: gente che farnetica, scene comiche e tragiche, malati in barella che urlano ad altri malati deambulanti “cosa giri?!”, altri malati che imprecano e bestemmiano contro l’Italia e contro medici e infermieri, colpevoli di non avergli assegnato un secondo loro meritatissimo codice arancione…

L’ospedale così si trasforma, come nel libro di Gianni Celati, in un manicomio. Sono entrambe, del resto, istituzioni concentrazionarie, istituzioni totali, come le chiamava Erving Goffman.

Aggiornamento delle 14.09.
Ancora al pronto soccorso, entrato alle 9 per dei banalissimi (ma urgenti) raggi.
In questo momento, una paziente molto anziana e male in arnese, ferma da sola sulla lettiga, urla a squarciagola, di continuo, parlando da sola e autorispondendosi, simulando un tripudio di voci, tutte nella sua testa, dunque apparentemente sragionando (ma a me pare invece piuttosto lucida nei contenuti che esprime):
“Carlaaaaa! Dove sei? Carla vieni qua che ti voglio vedere. E poi: Danielaaaaa! Non c’è!!!!! Vieni qua che andiamo via. Voi non andate via. Io voglio andare a casa mia. E poi: “basta, spegnete le luci”. E ancora: “Milvaaaaaaaa!!!!! Carlaaaaa! Mi tiri via quella roba lì? Carla mi porti a casa? Ho paura. Vienimi a prendere. Signoraaaaaa! Mammaaaaaa!!!!”

Mi sento sempre più dentro Comiche di Gianni Celati e mi chiedo quando mi lasceranno finalmente uscire dal libro (che amo, per carità, ma essere diventato uno dei personaggi mi sembra troppo). Oltretutto, ricordo che il regista Memè Perlini aveva chiesto una volta a Gianni di farne un film, che poi non si è mai fatto, ecco ora, che surreale onore, lo sto vivendo dal vivo, come una comparsa di quel lungometraggio mai girato (e che sarebbe ora di girare, cari registi di tutto il mondo in ascolto!).

Aggiornamento del giorno dopo alle 11.03
Rilasciato – come un ostaggio – dal pronto soccorso alle 17 di ieri (entrato alle 9 di mattina, come dicevo, per dei raggi).
Tornato a casa. Rientrato in ospedale oggi su richiesta del pronto soccorso per ulteriore visita di controllo, il settore è 1E0, ambulatorio 5. Mi dicono di andare all’entrata 1.
Chiedo in portineria come raggiungere l’ambulatorio in questione e le indicazioni sono le seguenti: ascensore fino al primo piano, arrivare al corridoio con la lettera E, riprendere l’ascensore per arrivare al piano terra.
Faccio così e mi rendo conto che dall’entrata 2, cioè dallo stesso piano della portineria, sarebbe stato sufficiente girare a sinistra e mi sarei risparmiato questo girotondo, arrivando perfettamente e rapidamente al settore giusto.
Arrivato comunque, anche se così tortuosamente, al settore indicato, vado all’ambulatorio 5, come scritto sulla mia prenotazione e come detto dal medico del pronto soccorso.
La dottoressa dell’ambulatorio 5 mi dice: no, deve andare all’ambulatorio 8. Ora non è più Celati, è Goscinny-Uderzo, Le dodici fatiche di Asterix, quel pezzo sul lasciapassare A-38 in cui i nostri eroi, Asterix e Obelix sfidano la burocrazia romana.

Eccoci qui. (To be continued…anche se spero di no!)

Aggiornamento del 12 novembre 2022, tre giorni dopo le avventure appena narrate.
Il presidente della regione Emilia Romagna e prossimo probabile candidato alla segreteria nazionale del Partito Democratico ha rilasciato una dichiarazione alla Nuova Ferrara in cui promette mai più attese così lunghe al pronto soccorso.

La sua credibilità è, però, nulla, perché il 18 gennaio 2020 aveva già promesso (sul Corriere/Bologna) questo:
“Sui pronto soccorso «serve una svolta sui tempi» che dovranno essere contenuti («massimo 6 ore fra l’arrivo, l’eventuale ricovero o il ritorno a casa»). «Inoltre cambieremo i codici e assumeremo nuovo personale e realizzeremo spazi in cui è più garantita la privacy. Lavorare nel sistema dell’emergenza-urgenza è uno dei lavori più usuranti, serve un sistema di premialità, ne parlerò con il ministro Speranza ma come Regione siamo pronti a mettere dei fondi nostri».”

POST SCRIPTUM
Ci tengo a ringraziare sentitamente tutti le/i mediche/medici, gli/le infermieri/e, gli/le OSS che ho conosciuto in questa 24 ore. Sono bravissime/i e fanno i miracoli, in una situazione di sovraccarico e stress lavorativo che è un grande scandalo italiano che dovrebbe essere quotidianamente al centro del dibattito pubblico e dei ragionamenti di qualsiasi governo, in modo da produrre immediati investimenti e risultati significativi e invece non lo è.

Quello che ho scritto accade in Emilia Romagna, regione notoriamente all’avanguardia sui servizi pubblici, quindi non oso immaginare cosa succeda quotidianamente in altre regioni italiane (vale a dire: lo immagino e credo di saperlo, purtroppo). Servono investimenti, ingenti e urgenti, nei servizi pubblici: sanità, scuola, trasporti, informazione.

Il governo Meloni lo farà? Dubito. È un governo di destra e gli investimenti nel settore pubblico non sono, storicamente, nelle corde della destra.
Ci vuole un governo di sinistra, peccato che la sinistra, che in Italia esiste e potrebbe anche essere maggioritaria, non abbia però alcuna rappresentanza politica credibile. Almeno per ora.

(To be continued anche questo, per fortuna!)

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Michele Ronchi Stefanati

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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