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Grande giornata oggi! Decidiamo di uscire in coppia (permessa!) a comprare il pesce e la frutta. Mi rivesto di panni curiali, direbbe Machiavelli, ed esibendo una mascherina nuova e guanti violetti comincio a ciacolare con l’amico taxista che mi deposita al negozio dei miei desideri, dalle cui vetrine vedo trionfalmente esposto l’oggetto del mio desiderio. Faccio per entrare seguito dalla moglie, ma un lamento si alza dal banco: “No profe! O lei o sua moglie… se no mi fan chiudere”. Smarazzo la mia compagna e comincio le ordinazioni prontamente eseguite, nonostante che ancora non capissi che male c’era se eravamo in due. Alti lai invadono il negozio. “Non si può! Pena la multa. Un rappresentante a famiglia”. Comprendo e conforto e dopo una magnifica razzia ci avviamo di buon passo per le vie dello shopping (di un tempo), per entrare in un supermercato che ci fornisse di qualche bazzecola tra insalata e frutta. Ne scegliamo uno che ci dona gel, guanti, raccomandazioni sulla distanza e dopo una trentina di minuti vedo riapparire la mia compagna estenuata. Finalmente possiamo riordinare il taxi, rimpiangendo di non avere fatto come le altre volte quando, con un colpo di telefono, ordinavamo spesa, medicine, frutta e passavamo a raccogliere le compere senza aspettare. Per carità! Guai a criticare i metodi anzi la ‘metodologia’ (parola orrenda, che sta invadendo e torcendo le già poche corrette parole in italiano, che dovrebbero sostituire l’invadente presenza di un inglese d’accatto che fa fremere e vene e polsi), per ‘sanificarci’ e permettere un improbabile ritorno alla vita di un tempo, mentre si scatenano lotte furibonde tra il vicesindaco canterino e il prefetto sulla necessità di portare concerti nelle piazze di ‘Ferara’.

Una lettera sull’Espresso mi fa riflettere, lettera che si accompagna al racconto di ieri su La Repubblica della mia adorata Natalia Aspesi, la quale rinuncia ad uscire proprio perché anziana e saggia: un capolavoro di ironia e di stile. Questa lettera mi scuote e m’incuriosisce. E’ del professor Tomasz Nizegorodcew, ex primario di ortopedia all’ospedale Gemelli di Roma. Un medico anziano, che si interessa, come ben spiega, della gerontologia, una branca del sapere che negli ultimi anni ha fatto grandi progressi. La domanda che il professore si pone e pone è: quando ci si può scientificamente definire anziani? La risposta, provata dall’esperienza scientifica, è che si risulta tali ben al di là dei 70 anni. Nella professione accademica per esempio, come in molte altre, si va in pensione all’età di 75 anni. Straordinario l’esempio che il professore porta. Pablo Casals si esercitava ancora a 97 anni, poco tempo prima di morire, al violoncello, che gli rivelava nuove soluzioni, nuovi progressi. Perciò, asserisce il professore le indicazioni mediche prescrivono che gli anziani, ovvero gli ultraottantenni, come chi scrive, “hanno bisogno di rapporti umani, di aria, di sole, di movimento, pena riduzione delle capacità cognitive, fisiche, immunitarie cioè la strada verso la morte”.

E allora perché negarci l’uscita? E rinchiuderci nei casi migliori in casa, oppure per i più sfortunati negli orridi istituti di ricovero? Un medico settantenne può ancora passare otto ore in ospedale a curare i malati. Un critico ottantenne (il sottoscritto), può ancoro contribuire alla cultura con qualche saggio ben impostato. E se questo è dunque indubitabile perché negarci ad esempio le vacanze in montagna, in albergo, solo perché abito in un’altra regione? E facendosi pure controllare con la mascherina, i guanti e (dio non voglia) senza protezione ‘antipissa’ per chi ne ha necessità?

Ecco allora dovrebbe nascere una rivolta dei lupi grigi come chiosa Stefania Rossini. Un movimento che nella sostanza debba e possa riportare l’anziano, considerato l’untore, come una risorsa fondamentale per la nazione.
Ve lo immaginate il Parlamento e il senato senza la presenza degli anziani ultrasettantenni! Perfino le persone più straordinarie che ci fanno sperare in un futuro meno tetro: il presidente Mattarella e papa Francesco.
Due esempi di giovinezza. E che giovinezza.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

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Francesco Monini
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