VITE DI CARTA /
Sul rileggere i libri e di altre cose preziose
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Mi trovo nella felice condizione di preparare l’incontro con la scrittrice Donatella di Pietrantonio [Qui] che avverrà il 23 novembre prossimo alla Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea [Qui]. Lavoro alla rilettura dei suoi romanzi insieme alla amica e collega di sempre, Maria Calabrese. Ci diciamo dubbi e apprezzamenti, ci emozioniamo insieme davanti alla scrittura così intima e vibrante degli ultimi due romanzi che l’autrice ha pubblicato: L’Arminuta nel 2017 e Borgo Sud nel 2020.
La qualità di L’Arminuta si è già sedimentata nel panorama letterario italiano degli ultimi anni: nello stesso 2017 ha vinto tra gli altri il Premio Campiello e il 21 ottobre scorso è uscito il film omonimo, diretto da Giuseppe Bonito e apprezzato in primis dalla scrittrice che ha partecipato alla sceneggiatura. Siamo andate a vederlo e ci è sembrato un film intenso, pieno di sensibilità e verità interiore come certe poesie dai tratti prosastici, armoniose e scabre al tempo stesso.
Ci è servito per procedere a quella lettura di scavo dentro ai testi che rappresenta il nostro ideale di lettura.
Ora siamo intente a ripercorrere Borgo Sud e lo scavo si fa pieno di gallerie e cunicoli affondati nel passato della narratrice, la stessa di L’Arminuta, che anche qui non dice il proprio nome e che in ogni capitolo parte dal presente ma presto si lascia prendere dai ricordi.
Il presente è un tempo doloroso: è arrivata da Grenoble per assistere la sorella che ha subito un grave incidente domestico. Occorrono due settimane perché Adriana possa uscire dal coma e nei giorni e soprattutto nelle notti dell’attesa la narratrice ripercorre le fasi del loro passato in famiglia e del suo, con l’esito di restituirsi a se stessa, di mettere alla prova le proprie scelte e corroborarne la validità. Anche Adriana del resto viene ripensata alla luce della propria indole e della vita arruffata che ha condotto.
Abbiamo riletto per intero Borgo sud, abbiamo riempito le pagine del libro e alcuni nostri foglietti di note scritte a matita, di richiami tra pagine ora lontane ora vicine. Ci sono venute in mente ipotesi a cui non avevamo pensato durante la prima lettura, che pure risale solo a pochi mesi fa.
Ce lo siamo ripetute di frequente: “Guarda, in questo passaggio sembra che la madre di Piero sapesse già…”; oppure “Controlla in quale tempo è avvenuto ciò che la narratrice sta ricordando. E’ prima del 1992, l’anno del destino per le due sorelle?”; “Qui viene detto il nome della madre, e qui si dice quanta stima avessero per lei i paesani. E’ importante per la sua figura complessiva”.
Abbiamo ricostruito la fabula del romanzo, dunque abbiamo messo in fila i fatti secondo l’ordine temporale, scoprendo una volta di più la cura con cui l’autrice ha progettato la sua scrittura, in alcuni capitoli i flash back sono uno dentro l’altro come nelle bamboline russe. Con naturalezza. Una complessità strutturale così passa quasi inosservata alla prima lettura. Si nota soprattutto lo stato di necessità emotiva che spinge la narratrice a ripensare a ciò che è stato e a farlo in modo ricorsivo. Puntando ai gangli vitali del vissuto e ritornandoci più volte.
Con quale piacere abbiamo fatto emergere dal testo la sua ossatura: le parti messe in luce hanno evidenziato una totale plausibilità, come pezzi di vita riprodotti così bene da poter essere nostri e di tutti. Dalle parti in ombra sono emerse delle nuove suggestioni, come speso accade con ciò che è lasciato implicito. In un romanzo dai toni così intimi sotto c’è la rete leggera ma resistentissima di un meccanismo ben congegnato, con le rotelle che si muovono in sincronia.
Ho trovato anche un mio errore di lettura, un errore che ho riportato nell’articolo scritto nel gennaio scorso per questa rubrica. Me ne sono proprio dispiaciuta, anche se so che può capitare a ogni lettore nel suo primo incontro con un testo.
Una ragione di più per rileggere un libro, rivedere un film, ascoltare una persona che non vedevamo più da tempo o rovistare tra le vecchie foto per trovare quella che ci illumina per bene una fetta di passato. Una ragione di più per rimanere sulle cose, per attraversarne lo spessore.
Credo che Maria abbia ripensato come me a quante volte da insegnanti abbiamo guidato i ragazzi alla scoperta dei testi, cercando di mantenere in equilibrio la conoscenza della loro struttura con il piacere di leggerli. Convinte, sempre, che dei libi non dovesse bastarci una lettura di superficie.
So che Maria, come me, ha cercato di trasmettere non tanto una tecnica di lettura ma una visione del mondo, un’idea di impegno in quello che si fa, il cui esito finale è la comprensione del sistema su cui ogni libro è costruito. Un premio. La messa in moto di un raffronto con noi stessi e con lo scrittore che assegna peso a entrambi, che fa crescere.
Lo rifaremmo da capo. Dando l’esempio del nostro collaborare. Battendoci contro la superficialità, come modalità di approccio alla conoscenza, contro un’idea pericolosa di ‘scuola-usa-e-getta’, che pure si affaccia dall’esterno e tende a insinuarsi dentro le aule. Io studente ti ascolto come se fossi davanti alla tv: ti ascolto finché mi va, intanto tu parla pure, esponi i tuoi autori e le tue nozioni. Tra poco suonerà la campanella e la tua trasmissione avrà fine.
Invece no. Maria e io abbiamo proposto percorsi di conoscenze da condividere, con un obiettivo in fondo da raggiungere, con regole da rispettare ognuno nel proprio ruolo. Con una relazione professionale e umana da curare un giorno dopo l’altro.
Stiamo ripercorrendo Borgo sud come lettrici, lo assaporiamo per noi stesse e per trasmetterne la bellezza al pubblico adulto, che vorrà esserci il prossimo 23. Dentro di noi, tuttavia, come in un’altra bambola russa, c’è l’insegnante che ognuna di noi è stata, un pezzo della nostra identità.
Con tutte queste bambole, una contenuta nell’altra, il processo della lettura, come vedete, viene a complicarsi. Il gioco è un gioco degli specchi fra autore, personaggi, lettori. Insieme a Maria ribadisco, però, che è il bello che c’è nell’atto di leggere.
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Roberta Barbieri
Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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