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Giorno: 29 Ottobre 2021

Al cantón fraréś : Il rarità d’Frara”

I piccoli ferraresi che frequentavano la IV elementare, circa un secolo fa, avevano in dotazione “A L’OMBRA DAL CASTEL antologia dialettale ferrarese… ”. Era utile per l’apprendimento della lingua nazionale traducendo dal vernacolo, secondo i “Programmi di studio e prescrizioni didattiche (1923)“. Il volume, lire 3,50, era corredato da un vocabolarietto Ferrarese – Italiano e arricchito con illustrazioni e note.
Agli scolari venivano proposte, fra i vari esercizi, semplici informazioni sulle bellezze (maravié) del capoluogo che sarebbe diventato un giorno Patrimonio dell’Umanità.
( Ciarìn )

Vedi anche Al Cantón fraréś del 22 maggio 2020 [Qui].

 

Il rarità d’Frara
i è sett, propria com jéra sett il maravié dal mond.
Ecli: Al Castèl – La fazzada dal Dom – Al Campanìl – Al palazz di Diamànt – San Franzzesch – Santa Maria in Va – Al Muntagnón.

Al Castèl
l’è sta fatt dal 1385 dal marchés Niculò sgónd d’Este. L’è in mezz a l’acqua e al gh’à quàtar torr ch’il s’ved luntan diés o dódas chilometri.
Che beli fest, al temp di duca! E quant brav omin!: Guarino, l’Ariost, al Tasso e tant’àltar. Ma anch quant bruti cos, alora! Il dó parsón d’Ugo e Parisina il fa paura sol a védril!

La fazzada dal Dom
l’è una dil più beli d’Italia; e i furastiér i sta dil’i ór incantà a guardarla. L’è dal 1135!… Anch alora agh’i era dla brava zént!

Al campanìl dal Dom
tutt ad marm, alt 50 mètar, con Zurzón (al campanón che ass sent luntan ott chilometri). Se al fuss finì con la cupla, al starév all’impàr dal campanìl d’Giotto a Firenze.

Al palazz di Diamànt
a n’scherza. Al gh’à dó fazzà tutt ad marm a punt ad diamànt, e as dis che dentar in t’una ad st’il punt, ch’an s’sa brisa quala, agh sia un diamànt propria ad chi bun. In t’al palazz po’ a gh’è da star a boca averta. A gh’è di magnifich salùn con di bei quàdar! tutt ad pitór frarìs: Garòful, Carpi, Costa, Mentessi, Previati… A gh’è anch al Museo dal Risorgiment, con d’i s’ciop, dil carabinn, dil spad; e po’ al ritratt ad Mosti coi vuluntari dal sò bataglión; e po’ i ritratt di tri màrtir frarìs: Succi, Malaguti, Parmeggiani fusilà dai tudésch dal 1853.

San Franzzesch
l’è ‘na bela césa con un’eco ch’ripèt il parol dasdòtt o vint volt!… ‘na zìzula!

Santa Maria in Va
la gh’à dil beli pitùr dal Bononi. Ma la cosa più bela l’è l’altàr dal Preziosissim. Al fatt l’è quest: Al sgónd giorn ad Pasqua dal 1171 quand un pret ch’géva messa al rumpì l’ostia cunsacrada, ecco, com’un scrizz, tant gózz ad sangv! Anch’adess, in tal mur, ass ved il macc!

Al Muntagnón
l’è sta una maravié al temp di duca, con bosch, zardìn, paschiera, grott e una palazzina pr’i bagn. Adess più gnént, ma solament al deposit dl’acqua potabile.


Traduzione degli autori.

Le rarità di Ferrara
Le rarità di Ferrara sono sette, proprio come erano sette le meraviglie del mondo.
Eccole: Il Castello – La facciata del Duomo – Il campanile – Il palazzo dei Diamanti – San Francesco – Santa Maria in Vado – Il Montagnone.

Il Castello
è stato edificato nel 1385 dal Marchese Niccolò secondo d’Este. È in mezzo all’acqua e ha quattro torri che si vedono lontano dieci o dodici chilometri.
Che belle feste, al tempo dei duchi! E quanti bravi uomini!: Guarino, L’Ariosto, il Tasso e tanti altri. Ma anche quante brutte cose, allora! Le due prigioni d’Ugo e Parisina fanno paura solamente a vederle!

La facciata del Duomo
è una delle più belle d’Italia; e gli stranieri stanno delle ore incantati a guardarla. È del 1135!… Anche allora c’era della brava gente!

Il campanile del Duomo
tutto di marmo, alto cinquanta metri, con Giorgione (il campanone che si sente lontano otto chilometri), se fosse finito con la cupola, starebbe alla pari del campanile di Giotto a Firenze.

Il palazzo dei Diamanti
non ischerza, con due facciate tutte di marmo a punta di diamante, e si dice che dentro in una di queste punte, che non si sa quale, ci sia un diamante proprio di quelli veri. Nel palazzo poi c’è da stare a bocca aperta. Vi sono dei magnifici saloni con dei bei quadri tutti di pittori ferraresi: Garofalo, Carpi, Costa, Mentessi, Previati… C’è anche il Museo del Risorgimento, con dei fucili, delle carabine, delle spade; poi il ritratto di Mosti con i volontari del suo battaglione; poi i ritratti dei tre martiri ferraresi: Succi, Malagutti e Parmeggiani fucilati dagli austriaci nel 1853.

San Francesco
è una bella chiesa con una eco che ripete le parole diciotto o venti volte!… una giuggiola!

Santa Maria in Vado
ha delle belle pitture del Bononi. Ma la cosa più bella è l’altare del Preziosissimo. Il fatto è questo: il secondo giorno di Pasqua del 1171, quando un prete, che diceva la messa, ruppe l’ostia consacrata, ecco, come uno spruzzo, tante gocce di sangue! Anche adesso, nel muro si vedono le macchie!

ll Montagnone
è stata una maraviglia al tempo dei duchi, con boschi, giardini, peschiera, grotte ed una palazzina per i bagni. Adesso più nulla, ma solamente il deposito dell’acqua potabile.


Tratto da: Ferri e De Sisti, A l’ombra dal Castèl : Antologia dialettale ferrarese per gli esercizi di traduzione in italiano, in conformità dei programmi ufficiali 1. ottobre 1923, 2: Classe 4. Elementare, Palermo, Remo Sandron, 1925.

I compilatori dell’antologia
– Luigi Ferri (1854-1935), ispettore scolastico, autore fra l’altro del Vocabolario Ferrarese – Italiano del 1889.
– Francesco De Sisti (1878-1954), insegnante, sportivo, autore de L’influenza psicologica della educazione fisica.
– Mario Luigi De Sisti (1904-1982), figlio di Francesco, architetto, pittore, illustratore della copertina di A l’ombra dal Castèl.

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 Al cantóη fraréś: testi di ieri e di oggi in dialetto ferrarese, la rubrica curata da Ciarin per Ferraraitalia,
esce ogni 15 giorni al venerdì mattina. Per leggere le puntate precedenti clicca (Qui)

 In copertina: Organo, particolare, basilica di San Francesco – Ferrara

Cani neri

 

I furbissimi profeti della sventura che avrebbe colpito il Ddl Zan sostengono che sarebbe bastato apportare delle piccole modifiche “non di sostanza” per farlo passare. Tipo, non parlare dell’identità di genere. Come se il percorso di definizione del proprio genere fosse uno sfizio, una moda, un vezzo, e non il frutto di una elaborazione tormentata, profonda, dolorosa. Che spesso ti porta ad essere negletto/a in famiglia, al rifiuto sociale, allo scherno, alla violenza. Che stupidi, dicono costoro: bastava togliere questo, e il testo sarebbe passato. Peccato ci siano atti che assumono un valore iconico: il capo dei tattici, dei furbi, di coloro che rimproverano gli altri di essere dei coglioni, era talmente appassionato al destino della legge Zan, da trovarsi, il giorno dell’imboscata parlamentare, in Arabia Saudita, alla corte e al soldo del principe saudita (e mandante di assassinio, secondo ONU) Mohammad Bin Salman, paese notoriamente in prima linea nella tutela delle donne e delle identità di genere. Si tratta di comportamenti che mostrano come stanno le cose in maniera più efficace di qualunque analisi.

 

“Sappiamo amare anche senza l’aiuto di Dio, grazie tante”.

Ian McEwan.

“Non credevo che il fucile fosse carico…”
ma nemmeno il ministero conosce il numero delle armi nelle case degli italiani.

 

In un istante, fuori da ogni volontà, vedere spezzate le vite delle persone che si amano di più. Un dolore così immenso respinge ogni morale, simile solo al niente che resta dopo un uragano che distrugge la casa con i suoi abitanti e non c’è a chi dare la colpa. Allargare lo sguardo per una riflessione che vada oltre l’evento, invece, si può.

Il fatto è accaduto il 16 ottobre a San Felice del Benaco, in provincia di Brescia. A quanto è dato conoscere fin qui, Viola Balzaretti, 15 anni, muore per mano del fratello tredicenne che per gioco le spara con il fucile del padre, ancora carico dopo la caccia.
Il ragazzo, non imputabile per età, verrà forse seguito dalla giustizia minorile ma non dovrà rispondere penalmente per ciò che ha fatto. Gli sarà comunque di troppo rispondere a se stesso.

Il resoconto della vicina che lo descrive uscire di corsa dalla casa familiare, la maglietta macchiata del sangue di Viola, gridando “Non sono stato io”, è eloquente di quanto sarà terribile convivere con questo mistero: essere fattore causale di una morte che mai si sarebbe voluta e di cui non si è realmente responsabili. Una sorte terribile è toccata pure ai genitori, medici entrambi, lui medico legale e, per due mandati, assessore comunale alle politiche sociali. Attualmente è indagato per la cattiva custodia delle armi in suo possesso. “Una famiglia perbene”, dicono in paese, e certamente lo è.

Ugualmente e diversamente vittime sono coloro che a Viola e ai suoi vogliono bene. Pochi giorni dopo, nella scuola frequentata dalla ragazza, uno psicologo ha incontrato i compagni. Dare espressione al dolore è tra le poche vie possibili per non esserne schiacciati.

Le ragioni vere di quanto è accaduto, probabilmente, non vanno cercate in casa Balzaretti bensì in un panorama più ampio. L’articolo di Repubblica del 18 ottobre attacca così: “A casa mia sono cresciuto che c’erano più fucili che posate”, dice un ragazzo al bancone del bar del centro (…). Di fucili ce n’erano otto, più due pistole, nella villetta di Roberto Balzaretti.”.
Una contiguità con le armi da fuoco che non impressiona, qui e forse altrove. Ricordo bene una conversazione in Sardegna di molti anni fa. L’ospite a tavola mi spiega l’ovvietà di avere almeno un’arma in casa e ridacchia della mia incredulità, gli pare impossibile che altrove funzioni diversamente. Tendenze radicate nel tessuto sociale, come è vero che in certe regioni si consuma più alcol della media italiana o che nella mia città ci spostiamo in bicicletta.

I tratti culturali sono facilmente strumentalizzati da chi ne trae profitto. La legittima difesa a qualunque costo, ad esempio, con qualche mezzo bisognerà pure farla. Magari un’arma, per proteggersi dai malfattori. Anche se poi, ormai da anni, in Italia è più facile essere colpiti con una pistola detenuta legalmente – in genere da un familiare – piuttosto che il contrario. Nel 2020, su 93 omicidi di donne (inclusi i femminicidi), 23 (1 su 4) sono stati commessi con armi da fuoco detenute legali.

L’organizzazione indipendente svizzera Small Arms Survey nel 2018 ha stimato in Italia circa 8,6 milioni di armi da fuoco diffuse tra la popolazione civile (di cui solo 2 milioni regolarmente registrate), escluse quelle possedute da esercito e forze dell’ordine. Come dire 14/15 armi da fuoco ogni 100 civili. Negli ultimi anni si è andati di male in peggio; stando a un sondaggio Censis del 2020 1 italiano su 10 è armato, e nell’ultimo anno ci sarebbe stato un ulteriore incremento.
“Il numero preciso di armi registrate, tuttavia, non si conosce: né il Ministero dell’Interno né la Polizia di Stato lo hanno mai pubblicato e, in merito, non hanno voluto rilasciare dichiarazioni”, chiosa il Giorno in un articolo datato 14 ottobre 2021, vale a dire prima e a prescindere dalla morte di Viola.

Come si fa a possedere un’arma nel nostro paese? Facile: ci vuole un nulla osta oppure un porto d’armi. Il nulla osta serve per un solo acquisto, che però può riguardare anche più armi, da tenere in casa. Con il porto d’armi invece si va a caccia, al poligono, si lavora come guardia giurata, se ne fa uso all’esterno insomma.

Giorgio Beretta, analista di Opal, Osservatorio permanente sulle armi leggere, ne parla in un articolo ben documentato per la rivista Il Mulino nell’estate di due anni fa. In un’intervista a Vanity Fair lo studioso fa un sunto efficace: «La normativa italiana per il numero di armi detenibili è tra le più permissive in Europa, con una licenza per tiro sportivo o da caccia si possono tenere tre pistole, dodici fucili semiautomatici (tipo gli Ar-15, i più usati nelle stragi in America) e un numero illimitato di fucili da caccia. Le norme sono troppo blande e le licenze si possono ottenere con troppa facilità. Non è richiesto né un esame tossicologico né una perizia psichiatrica nemmeno per gli anziani. Tutto si basa su un’autocertificazione controfirmata dal medico curante e un breve esame all’Asl, simile a quello per ottenere e rinnovare la patente di guida».

Non si conosce il numero di armi detenute attualmente in Italia, né quanti nulla osta siano approvati.
Per ovviare il problema Beretta propone una tassa annuale sulle armi, 12-15 Euro per digitalizzarle tutte – molte ancora sono registrate soltanto su registri cartacei – e istituire un fondo dedicato alle vittime delle armi da fuoco legalmente detenute.
Una banalità è certa: il modo migliore per non uccidere è disarmarsi. Finché non lo si fa, occorre una cura corretta delle armi e della persona che l’ha in uso. L’Espresso del 28 settembre 2021 annuncia una proposta di legge portata avanti dal Pd con altre forze politiche in base alla quale il certificato sanitario dovrebbe essere più severo e curato da una commissione medica. Entrerebbe in vigore, inoltre, l’obbligo di avvisare i conviventi maggiorenni della presenza di un’arma in casa.

In chiave di prevenzione nei contesti a rischio, la onlus Ognivolta, nata dopo un ‘incidente’, ha proposto un collegamento tra le banche dati delle forze dell’ordine e della sanità pubblica di modo che, quando qualcuno viene fermato perché autore di violenze o viene sottoposto a TSO, sia immediato verificare se è in possesso di un’arma e, in quel caso, sottrarla. Nel settembre 2020 il Senato ha approvato un ordine del giorno in tal senso, ci si augura che l’iniziativa trovi concretezza.

 Questo articolo è uscito il 27 ottobre, con altro titolo, sull’edizione online di Azione nonviolenta