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Giorno: 23 Maggio 2017

Jalisse live allo Spririto

Da Organizzatori

Venerdì 26 maggio a Vigarano Mainarda (Ferrara) Oltre al concerto, il duo di Fiumi di parole propone Localitour d’Autore:alla ricerca dei talenti emergenti della musica indipendente italiana

Non sarà solo un “Fiume di parole”, ma molto di più quello che venerdì 26 maggio arriva allo Spirito. I nuovi ed attesi ospiti musicali al ristorante discobar di Vigarano Mainarda (Ferrara), saranno infatti i Jalisse, per un appuntamento imperdibile per gli amanti della musica. Oltre al concerto, allo Spirito Fabio Ricci e Alessandra Drusian, ovvero i Jalisse, proporranno infatti una puntata live di Localitour d’Autore, il programma radiofonico e televisivo da loro ideato e condotto, dove si incontrano artisti, pittori e creativi di ogni genere, e che ha come filo rosso la promozione della musica emergente.
Spirito, da sempre attento alle belle novità, non si è lasciato sfuggire l’occasione di ospitare un evento così importante per gli artisti emergenti. Durante la serata i Jalisse si esibiranno allo Spirito, proponendo i loro successi. Spazio anche ad Elda e Mariano Sing, ma anche ad artisti emergenti e non per le selezioni del concorso musicale “Festival Volavoce”. Cantanti, poeti ed artisti si racconteranno e si esibiranno, mentre la serata sarà in onda su radio fm e web. Vero e proprio fenomeno sul finire degli anni ’90, nel 1997 i Jalisse hanno vinto il Festival di Sanremo, categoria big, con il brano Fiumi di parole. Venerdì 26 Maggio saranno dunque live allo Spirito di Vigarano Mainarda, cantando il pop italiano che li ha resi conosciuti in tutta Italia, ma dando anche spazio ad artisti emergenti. Localitour d’Autore darà spazio a poeti, romanzieri, manager, inventori, musicisti, scultori, cuochi, pittori, street artists e creativi di ogni genere, che potranno raccontarsi in una puntata registrata e inviata alle radio fm e web aderenti al circuito Localitour d’Autore e in video sui social. Per aderire basta mandare una email a info@tregattiproduzioni.it. A rispondere con tutte le informazioni saranno Ale e Fabio dei Jalisse.
Jalisse è liberamente tratto dalla lingua araba e significa “Siedi e ascolta”. Il nome era stato scelto per puro caso dal duo, sapeva di esotico e voleva dire tutto quello che loro volevano esprimere. Deriva infatti dalla radice araba Jalasa, sedersi, che dà origine al nome maschile Jalis, compagno o commensale che sa intrattenere le persone e tenere alta la conversazione e al femminile diventa Jalisa. Nelle Mille e Una Notte il nome Anis Al Jalis è invece il nome di una bella e affascinante ragazza che sa raccontare le favole. I Jalisse hanno così scelto di raccontare il vero significato della vita e dell’amore, grazie alla voce angelica di Alessandra e l’eco tuonante di Fabio, corredando la melodia con una musica meticcia che supera i confini e unisce le culture.
Sarà dunque un appuntamento imperdibile con la musica live di qualità, targata ancora una volta Spirito. Cena con concerto a 30 euro, drink con concerto a 10 euro (cena alle 20.30 e a seguire concerto dei Jalisse). Lo Spirito è in via Rondona 11/5 Vigarano Mainarda (Ferrara).

La mia nottata da infiltrato fra stazione e grattacieli

Le stazioni sono posti assai particolari, e quella di Ferrara ne ha di storie da raccontare. Spesso in prima pagina a causa del degrado e di episodi che alimentano la cronaca nera, ha suscitato sempre la mia curiosità per la “doppia faccia” che cela, nemmeno troppo velatamente. Ed è per questo che ho deciso di passare lì una serata.
Arrivo in via del Lavoro intorno alle 22 e 45, il parcheggio è semi deserto. Sceso dall’auto, girandomi intorno, noto di essere l’unico da quelle parti. Mi avvio verso il sottopassaggio. Il lungo corridoio è deserto. Esco sul binario 3, lì prendo l’altro sottopassaggio che mi porta nell’ingresso. La situazione cambia. Al mio arrivo trovo seduti due ragazzi, avranno sui 20 anni, osservano il tabellone dei treni in partenza, altra gente è sull’uscio del grande portone di ingresso che raggiungo. Uscito fuori mi guardo intorno e mi rendo conto di una cosa: tolti i tassisti, sono tra i pochissimi italiani nella zona. La predominanza etnica è africana. Fingendo di aspettare un treno, mi siedo sulla destra del portone, noto subito che ci sono due ragazzi che mi osservano, sono abbastanza abituato, ma la cosa mi fa capire che la zona è strettamente “sorvegliata”. Dopo un po’ decido di fare una passeggiata. Con un po’ di titubanza mi avvio verso il famoso giardino dei grattacieli. Ne ho solo sentito parlare, non ci sono mai stato fisicamente se non di passaggio. Entro dopo aver superato un parcheggio di bici, in lontananza, sulle giostre, dei ragazzi ridono e scherzano nella loro lingua madre. C’è una panchina libera, decido di sedermici e far finta di stare al cellulare. Sono trascorsi all’incirca 5 minuti e vengo avvicinato da un ragazzo in bici dalla capigliatura tutt’altro che sobria. “Amico come stai?” è il suo esordio, gli rispondo che è tutto ok e gli chiedo lo stesso. Sorride e mi chiede “Vuoi fumo, erba?” Nella mia testa in quel momento ho pensato due cose: se dico di no, potrei sembrare sospetto, se dico di si commetto un reato. Corro il rischio e rifiuto gentilmente. Si allontana, non sembra essere del tutto soddisfatto. Noto il suo avvicinarsi ad un gruppetto di ragazzi, chiaramente sta parlando di me perché mi indica. Inizio a sentirmi osservato. Continuo a far finta di essere impegnato con il telefono e vengo raggiunto di nuovo dal ragazzo in maglietta con medaglione dorato al collo, ma questa volta accompagnato da un suo amico, sempre in bici e berretto da rapper.
La discussione è diversa, anche i toni meno amichevoli. “Come mai qui?” Mi chiede senza mezzi termini il nuovo arrivato. Gli spiego a fatica che sto aspettando un treno e sono uscito a fare un giro. Prosegue guardandomi in modo sospettoso e in inglese mi chiede “Where are your from?”. Io gli dico che vengo dal Sud e sono diretto a Venezia. Sembra calmarsi, mi dice che anche lui è stato al Sud, in Calabria. Inizia così una chiacchierata. Gli chiedo cosa fanno lì e mi dice, molto candidamente, che sta “lavorando”. Sorrido, conosco queste situazioni e farsi notare cosciente dei fatti è sempre meglio. Gli chiedo come mai tutta questa gente e mi risponde che passano lì la sera i suoi amici, alcuni lavorano, altri sono di compagnia. Azzardo una domanda scottante: “Ho sentito dire che questa zona sia pericolosa?” La reazione mi sorprende. Sorride e mi dice “Tu non in pericolo, qui tutti amici”. Sorrido anche io, mi chiede una sigaretta ma gli dico che non ne ho e mi dice se voglio comprare qualcosa, questa volta però l’offerta si allarga, passa anche alle donne. Gli spiego che tra poco sarei dovuto ripartire e mentre lo faccio dei suoi connazionali richiamano l’attenzione verso di loro con delle urla. C’è una specie di battibecco tra alcuni di loro, subito scattano con la bici. Mi guardo attorno e capisco che sono più di quanto credessi.
L’atmosfera sembra riscaldarsi, decido che forse è meglio lasciare quel posto e ritornarci quando sarà più tranquillo, ma mentre vado via si vedono i lampeggianti di una volante di pattuglia della polizia. Così si calmano gli animi, e tutti sembrano prendere altre strade, ma con gli occhi puntati sui movimenti dell’auto. Oramai però mi sono avviato. Raggiunta di nuovo la stazione mi accingo verso il corridoio, guardo l’orologio che ormai segna quasi l’una. Mi dirigo verso via del lavoro ma scendendo nel sottopassaggio del binario 3, un gruppetto di ragazzi ostruisce la strada, stanno preparando le siringhe per la droga, gli chiedo di farmi passare e con modi non molto carini mi dicono “Proprio qui devi venire a rompere?!”. Non rispondo e proseguo oltre, ma dall’accento capisco che sono ferraresi però. Esco finalmente dal tunnel. L’aria di via del Lavoro è del tutto diversa: non un’anima, non un grido, non una volante. Un silenzio che fa contrasto con quell’universo che mi sono lasciato alle spalle. Faccio per andare verso la macchina e vengo quasi spaventato da un uomo di colore che esce dalla boscaglia che dà sul cancello dei binari per i treni merci. Mi guarda con fare sospetto e sorride, ricambio il sorriso e proseguo dritto, lui mi segue con lo sguardo, capisco dal suo modo di fare che non era andato a fare dei bisogni come potevo credere inizialmente, ma a nascondere qualcosa, ma meglio non farsi vedere interessato mi dico. Una volta in auto tiro un sospiro di sollievo ma guardo ancora fisso la stazione: una parte di me vorrebbe tornarci, ma l’altra mi dice che, per ora, può bastare.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Di orti, giardini e dei germogli delle idee

Coltivare il proprio orto è esercizio che garantisce la sopravvivenza, del resto siamo deboli e dobbiamo prenderci cura di noi stessi.
Ferrara città di giardini è anche città d’orti, questi ultimi di solito un po’ defilati, situati in periferia e affidati alle mani operose di anziani cittadini.
Sarà che sono più cicala che formica, ma io amo i giardini, sono luoghi dove ci si incontra, si sta bene e fioriscono le idee, se poi uno ha la fortuna di avere un giardino nella propria infanzia quello non si scorda più. Sarà anche per l’effetto Bassani, ma i giardini a Ferrara hanno un grande potere evocativo, lo dimostra il successo dell’iniziativa “Interno verde”.
Ma orti e giardini qui sono un pretesto, una metafora per parlare d’altro, della mappa del territorio e semmai del territorio e della mappa che ancora non ci sono.
Ormai si sa che ce l’ho con la mania della Città della Conoscenza e, guarda caso, la metafora con cui gli studiosi della materia, dall’architetto Archigram Peter Cook a Francisco Javier Carrillo, la rappresentano è proprio il giardino, la città vista come un giardino dove dall’incontro delle persone nei differenti luoghi, per ragioni tra loro le più varie, indefinite o definite, fioriscono, s’incrociano, si diffondono pensieri e idee da condividere, da valutare, da usare per aprire strade nuove.
Nell’orto no. Pianti il tuo tubero e attendi che cresca, per te e i tuoi intimi.
L’orto non è un’idea di comunità, il giardino, sì.
Si dirà: l’orto è produttivo. È vero: produci e consumi. Sempre identico a se stesso. Vuoi mettere il giardino? Intanto non hai bisogno di spaventapasseri, non devi tenere alla larga nessuno.
Ragionavo di questi pensieri quando mi sono imbattuto in “Etopia”, il luogo dell’elettronica. È un Centro per l’Arte e la Tecnologia, realizzato da “Zaragoza City of Knowledge”, con il supporto del Ministero spagnolo dell’Industria, dell’Energia e del Turismo. È stato concepito come un centro mondiale per la creatività, l’innovazione e l’imprenditoria nella città digitale. Un modello di innovazione aperta in cui imprenditori, creatori, cittadini, imprese e ricercatori lavorano insieme per creare ricchezza, occupazione e conoscenza, al fine di affrontare le sfide urbane nell’era digitale. Tre grandi blocchi occupano una superficie di sedicimila metri quadrati, oltre agli spazi comuni che li connettono, ospitano altre strutture come: incubatore d’impresa, residenza per creatori e ricercatori, laboratori di creatività audiovisiva e tecnologica, laboratori individuali e di gruppo, aule, sale espositive, auditorium, caffetteria-ristorante, negozi, seminari e sale riunioni, uffici per progetti e spazi di collaborazione.
Non proprio un orto, ma un e-garden, direi.
La caratteristica di Saragozza è che la Municipalità nel 2004 ha dato vita alla Fondazione “Saragozza Città della Conoscenza” come progetto pubblico-privato per promuovere lo sviluppo della società della conoscenza. Attualmente oltre al Comune partecipano alla fondazione l’Università, la Fondazione Iberica per il Lavoro Sociale, Centri per la ricerca scientifica, docenti universitari, scrittori, personalità di rilievo nel mondo delle arti. Fin dalla sua istituzione, il finanziamento delle attività della Fondazione proviene in gran parte da fonti private. Il presidente del consiglio è il sindaco di Saragozza, né più né meno come il nostro sindaco presiede Ferrara Arte e Ferrara Musica.
Ferrara non è Saragozza, non montiamoci la testa, le dimensioni non sono confrontabili, ma le idee hanno il vantaggio di non avere dimensione, ma solo quello di essere buone o cattive.
Noi dalle pagine di Ferraraitalia abbiamo lanciato il Manifesto per Ferrara Città della Conoscenza, consapevoli che su questa strada si gioca buona parte del futuro sviluppo della nostra città, che il nuovo secolo chiede anche alla nostra città di ragionare in modo rinnovato sull’incontro tra economia e sapere, tra impresa e conoscenza, tra rivoluzione digitale e apprendimenti. La città della conoscenza è il nuovo territorio, basterebbe guardare oltre le nostre mura per rendercene conto. La nostra città ha risorse e cultura per disegnarne la mappa?
Io ritengo di sì, ma occorre che ognuno esca dal proprio orto, di associazioni, gruppi, amici di questo o di quello e incominci a pensare di essere parte attiva di un grande giardino, di idee, iniziative, e risorse, che possono migliorare e far crescere la città.
Ma chi deve unire gli orti perché compongano un grande giardino? Se non l’unico giardiniere che ha la responsabilità della città?
Con Saragozza abbiamo in comune le biciclette, potremmo anche tentare di avere in comune l’idea di Città della Conoscenza.

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