L’OMBRA DENTRO
Il primo romanzo di Elena Buccoliero arriva alla Biblioteca Popolare Giardino
Tempo di lettura: 5 minuti
L’OMBRA DENTRO. Il primo romanzo di Elena Buccoliero arriva alla Biblioteca Popolare Giardino
Amo molto i romanzi nei quali la città in cui si aggirano i personaggi e si svolgono le vicende si fa protagonista. Tra le strade e i palazzi di Ferrara si muove la complessa storia che Elena Buccoliero racconta e affronta nel suo primo romanzo: L’ombra dentro. Racconta, intrecciando sapientemente le matasse dei fili intricati di un omicidio inspiegabile con dietro l’ombra di un suicidio sospetto. Affronta, svelando meccanismi complessi e non sempre trasparenti di una giustizia che cela talvolta scomode quanto necessarie verità.
Ed è dalla città che voglio cominciare, perché essa si rivela, al primo apparire del commissario protagonista dell’indagine principale, lungo “i ciottoli lucidi dopo la pioggia di quella che”, si sa, “è una delle strade più belle d’Europa”, precisamente nello slargo in prossimità della Porta degli Angeli, a pochi metri dalla quale si trova lo studio di un famoso avvocato morto durante la notte.
Delle ambientazioni che Elena Buccoliero presenta a far da cornice alle vicende mi piace il riferimento a siti e ambienti alcuni riconoscibilissimi, come la via del tribunale con i bar frequentati da avvocati e praticanti o le vie strette piene di negozi del centro storico, altri indicati con ‘nomi d’arte’, mi pare, come ad esempio il Blue Moon, un pub fuori città che compare nel secondo capitolo, o un “baretto che niente aveva a che vedere con l’ambiente del tribunale, uno spazio informale a un passo dalle mura gestito da una cooperativa di giovani.”
Luoghi cari, io credo, ai sicuri e possibili lettori nonché amici di Elena (me compresa), come il multisala in cui si rifugia il commissario protagonista “in serate come quella, quando aveva bisogno di stare solo ma in compagnia, o come la piccola galleria d’arte che ben conosceva…che consisteva in due stanze proprio di fronte al multisala” gestita da “una coppia di artisti che lui apprezzava per come coniugavano creatività e rispetto, affidabilità e discrezione” che troviamo nel capitolo 18.
Elena sa poi delineare con taglio quasi affettuoso quelli che sono, per i suoi personaggi, ma anche per chi legge, luoghi speciali, come Sant’Antonio in Polesine, definito dal coprotagonista ispettore di polizia “uno dei luoghi più romantici della città…le vie strette, ciottolate e pressoché deserte…la porta di pietra con la scultura del santo col porcellino…il cortile di un piccolo monastero di clausura…il ciliegio giapponese”.
E sa intrecciare anche riflessioni e osservazioni di carattere urbanistico-sociologico quando ci porta, con la narrazione, in zone periferiche, come il “quartiere nato da una combinazione di povertà, immigrazione e piccola delinquenza e perciò soprannominato “Bronx” in tempi ormai andati…” e le riflessioni sono affidate al commissario protagonista: “l’insicurezza di certi quartieri è una condanna già scritta nel modo in cui vengono progettati e vagheggiò un mondo dove ingegneri e architetti discutono i loro piani con le forze di polizia e le maestre del rione, ma in fondo erano pensieri oziosi, il lusso di un commissario di provincia”.
Ed è ora di passare ai personaggi principali che, oltre alla vicenda investigativa complessa e articolata che ovviamente non svelo, mi hanno colpita particolarmente. Sebastiano Bellabarba è il commissario, Stefano Storti è l’ispettore, suo amico e a tratti confidente. Elena ha delineato due personalità ricche e attraenti.
In particolare Sebastiano, poliziotto e psicologo, che sapeva che “stare nella pelle degli altri era uno dei suoi pochi talenti investigativi… Il sottotetto in affitto dove abitava da solo nel cuore della zona ebraica, per quanto caotico, corrispondeva assai meglio” – rispetto alla zona residenziale della sua famiglia – “al suo bisogno di libertà”.
Sebastiano si mostra preciso e controllato, mai soddisfatto dei primi e più prevedibili risultati dell’indagine; poco alla volta rivela la sua complessità interiore che molto abilmente Elena dipinge, nei momenti in cui Sebastiano è ‘solo con se stesso’, come un affollato e rumoroso condominio interiore abitato da coinquilini caciarosi e interessanti che rappresentano le molte facce della sua personalità: l’accusatore e il difensore, l’aspirante psicologo, l’innamorato, il mediatore, il vanitoso, il disincantato.
Stefano era “il suo compagno di sempre. Fisicamente non potevano essere più diversi. Il commissario era scuro di capelli e di occhi, olivastro di carnagione; l’ispettore invece era un biondastro, i capelli chiari e corti e gli occhi nocciola. Avevano studiato insieme, dalla terza media alla scuola di polizia, con l’intermezzo dell’università in cui avevano scelto strade diverse, lui psicologia, Stefano giurisprudenza, senza interrompere gli allenamenti, le ferrate in montagna, le cantate… ” Stefano è gay, ma solo Sebastiano lo sa, nell’ambiente della questura.
Un posto d’onore, come è d’obbligo in un giallo contemporaneo, occupa la musica. A partire dall’incipit, che riporta un verso di Lindberg, brano che a tratti ritornerà, di Ivano Fossati, con l’apice in un passo conclusivo di una lettera chiarificatrice, in chiusura quasi del romanzo, di un’altra coprotagonista di rilievo: “Come canta il nostro poeta, la voglio fare tutta questa strada, fino al punto esatto in cui si spegne”.
O anche Biancaluna di Gianmaria Testa, “un altro poeta intimo, non abbastanza conosciuto in Italia, che invece Sebastiano amava”. Fino a una curiosa playlist che Sebastiano e Stefano intonano una sera, nel terrazzino del commissario, sui tetti, dopo una scorpacciata di “salame all’aglio, prosciutto, coppie di pane, ciccioli, il tutto accompagnato da una buona bottiglia di clinto, una bevanda fuorilegge che non si poteva propriamente chiamare vino ma lo ricordava tanto. Dr Dobermann per l’avvocato Pennoncini; Pensiero stupendo dedicata alla moglie dell’avvocato; Quello che le donne non dicono all’enigmatica Micaela Bottoni; Cammina cammina al desolante Alfio Zappaterra; Lunaspina alla devota Maria Grazia Benetti; Il mio nemico all’odioso dottor Finelli”.
La vicenda, come dicevo, è complessa e molto articolata e tocca temi e aspetti di vita difficili, potenti, dolorosi. Quello che mi ha colpito particolarmente è la capacità dell’autrice di creare situazioni, a partire dal crimine che dà il via alla storia, che hanno a che fare con terribili episodi di violenze, in famiglia e fuori, di gestione della giustizia in modo apparentemente legale, ma con risultati spesso profondamente ingiusti, soprattutto per soggetti deboli, bambini, donne, ragazzi poco più che adolescenti.
Mi pare riuscita la scelta di delimitare la durata della storia all’interno di una settimana, da lunedì 18 febbraio 2019 a domenica 24 febbraio 2019, con una struttura narrativa particolarmente efficace, scandita in capitoli brevi, in cui chi legge si orienta agevolmente e riesce a cogliere i molti riferimenti e richiami ai fatti, sia quelli più palesemente vicini e legati, che quelli più lontani ma con indubbi collegamenti col presente della vicenda.
Di questo e di molto altro ancora:
sabato 20 dicembre dalle 17,30
Letizia Modena, della Vanderbilt University, Nashville, Tennessee ed io parleremo con Elena Buccoliero
Bibilografia:
- Elena Buccoliero, L’ombra dentro, SEM Editore 2025
Cover: https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/ (foto di Beniamino Marino)
Per leggere gli articoli di Maria Calabrese su Periscopio clicca sul nome dell’autrice
Lascia un commento