Così le Lezioni americane si chiudono ufficialmente con l’ultima lezione approvata dall’autore sulla Molteplicità e con il seguente paragrafo:
«Chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria di esperienze, di informazioni, di letture, di immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili.
Ma forse la risposta che mi sta più a cuore dare è un’altra: magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci permettesse di uscire dalla prospettiva limitata di un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica…».
È qui presente, ancora una volta, uno dei temi dominanti del pensiero di Calvino: il problema dell’io che, trasferito nel contesto della lezione mancante, si sarebbe trasformato nella consistenza di una identità, nel suo spessore, nel suo statuto.
Un tema quello dell’identità al quale aveva già dato massima espressione artistica Michelangelo Antonioni nel suo film del 1975 Professione: reporter (The Passenger).
In estrema sintesi la trama del film è la seguente: il protagonista del film David Locke, interpretato da Jack Nicholson, è un giornalista di successo, lanciato nella professione, ma ormai stanco e annoiato dalla vita. Un giorno ha l’opportunità di ricominciare tutto da capo: rinvenuto il cadavere di un uomo che gli somiglia, inscena una finta morte e assume l’identità del defunto. Sfortunatamente l’uomo era un trafficante d’armi che riforniva il movimento di ribellione a un piccolo dittatore africano, e per David inizia una serie di guai.
Il tema del film non è affatto, come potrebbe sembrare, una rilettura pirandelliano della perdita dell’identità, quanto piuttosto una messa in scena della leopardiana vita estrinseca degli uccelli: una totale rinuncia alla identità per aprirsi alla… vera vita. Non a caso il film si apre e si chiude con le immagini di luoghi aperti, in cui le figure umane non hanno mai un ruolo centrale: ciò che si mostra è lo spazio, anzi, l’aperto, come quello in cui vivono gli uccelli di Leopardi nella sua Operetta.
A questo punto torniamo a Calvino e a un suo appunto del 22 giugno 1985. Il quadro complessivo delle Lezioni appariva sostanzialmente definito, fatta eccezione per la Consistency che non era ancora emersa né tantomeno abbinata, come tutte le altre, a una efficace traduzione italiana: nell’appunto il suo posto è chiaramente occupato da – indovinate un po’?- “Openness”.
La stessa Esther Judith Singer, la moglie di Calvino, ricorda come il titolo originale della sesta e ultima lezione avrebbe dovuto essere Openness, da tradursi non tanto e solo come “franchezza”, bensì come apertura mentale, ovvero disponibilità a includere nel proprio mondo “cose altre”.
Professione: reporter è l’openness di Antonioni e del suo personaggio David Locke. Per viver una vita autentica, chiamiamola pure estrinseca, bisognerebbe rinunciare al protagonismo, alla propria identità, alla recita del personaggio: per come si è configurata la vita umana non sembra più possibile immaginare una vita che non sia una vita individuata e personale: «Io sono David. Io sono un uomo. Io sono un reporter!»
Ma questo ci “dice” Antonioni è solo un limite della nostra immaginazione: il regista molte volte si sofferma sul fatto che «..non ha nulla da dire, ma forse ha qualcosa da mostrare», precisamente quel tipo di movimento contrario a quello della individuazione in quanto persona.
E l’ultima scena del film – me-mo-ra-bi-le – ci mostra quello che l’animale umano non può vedere, ci mostra la «vita estrinseca», la vita come la “vede” un uccello: è l’openness nel cominciare e finire di Calvino.
E dunque noi spettatori vediamo David buttarsi su letto, sulla nostra sinistra. Adesso la cinepresa comincia lentamente a muoversi verso la finestra, chiusa da una inferriata, che si affaccia su uno spazio sterrato; sullo sfondo c’è il muro scrostato di un’arena; un vecchio è seduto su una panchina, un ragazzino corre e un cane attraversa tutta la scena.
Si vede un ragazza che abbiamo conosciuto nel film. Ad un certo punto quando l’obiettivo passa attraverso le sbarre cominciamo a percepire che quello sguardo non è più lo sguardo di qualcuno. Non è di David, perché nessuno sguardo può essere contemporaneamente dentro e fuori della stanza e non è nemmeno il nostro.
Quello sguardo senza occhi entra nello spazio aperto percorrendo un lungo movimento a “volo d’uccello”. Lo “sguardo” improvvisamente si volta e punta sull’edificio soffermandosi sulla stessa finestra dalla quale poco prima ‘eravamo’ usciti.
Ogni cosa in questa scena è a fuoco anche se nessuno in particolare lo è : il vecchio sulla panchina o il ragazzino che corre, né il cane, né la ragazza. Quello che sorprende è questa solenne apertura, la franchezza e la freschezza di una prospettiva “cosmica”, una disponibilità totale a includere nel proprio mondo le azioni e i pensieri di cose e persone altre da noi.
Eccola l’opera “…concepita al di fuori del self …”, un’opera che ci permette di uscire dalla prospettiva limitata di una identità, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma anche per far parlare ciò che non ha parola: il vecchio seduto sulla panchina, il ragazzino che corre e il cane che taglia lo spazio sterrato. Pare anche di sentire i pensieri della ragazza o l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero che parla “primavera” e “autunno e la pietra, il cemento, la plastica. La vita tutta.
Una vita consistente, coerente e aperta ad andare avanti. Sempre.
Cover: Foto di <a href=”https://pixabay.com/it/users/pexels-2286921/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=1836733″>Pexels</a> da <a href=”https://pixabay.com/it//?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=1836733″>Pixabay</a>
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