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Così recitava una canzone di Lucio Battisti che, all’inizio degli anni settanta, aveva catturato tutti noi, a prescindere dalle collocazioni politiche, con un testo che certo suonava estraneo al tono impegnato e per lo più aggressivo delle assemblee studentesche. Le emozioni, anche allora, erano dovunque, nello spazio privato e quello pubblico, tanto nei luoghi in cui fiorivano nuovi bisogni di intimità fuori da una famiglia controllante, quanto nei luoghi politici, densi di retorica sui destini del mondo.
Oggi sappiamo bene le ragioni per cui le emozioni hanno un assoluto predominio nella nostra vita e non solo nelle relazioni, ma in ogni scelta. Non sempre ne siamo consapevoli e, comunque, tendiamo a negarlo, spendiamo una quantità di parole per giustificare le nostre scelte, per mettere in ordine i vantaggi e gli svantaggi di ogni opzione e tentare di operare calcoli e valutazioni razionali. Per lo più ciò non accade: siamo vittime di pregiudizi e di credenze, di speranze e di paure.
Le neuroscienze ci hanno spiegato che le emozioni sono una via breve alla conoscenza, che nessuna scelta sarebbe possibile se il circuito caldo, più veloce di quello cognitivo, non fosse in grado di dare colore alle opzioni che abbiamo di fronte. Ogni scelta, da quella di un abito, a quella di un luogo per le vacanze, a quella degli amici con cui uscire, segue questa stessa legge.
Credenze e valori esercitano un ruolo decisivo nell’orientare le scelte. Quando parliamo di valori ci riferiamo all’insieme di idee del mondo che un individuo si è formato nell’ambiente in cui vive. Queste idee danno luogo ad un mondo psicologico interiore e a meccanismi di valutazione degli stimoli e delle informazioni che non sono meno importanti dei sentimenti coscienti e della valutazione analitica.
Già nel Settecento il filosofo David Hume, sosteneva, che non è il ragionamento che guida i giudizi, ma sono le emozioni e le passioni. Anche i giudizi morali sono mossi dalle emozioni, anche se noi per lo più li associamo a fondati criteri logici e razionali sul bene e sul male. Lo psicologo Jonathan Haidt (Menti tribali, Codice, 2013) negli ultimi anni ha argomentato ampiamente questo punto di vista, contribuendo alla critica di una interpretazione astratta e razionalistica del concetto di valori morali ancorché applicati alla politica.
Diverse ricerche hanno messo in luce empiricamente come i nostri giudizi morali possano essere influenzabili. Ad esempio, se le persone chiamate ad esprimere un giudizio hanno bevuto una bevanda amara anziché dolce, esprimono giudizi morali più rigidi. I giudizi morali sono influenzati dall’ambiente, ad esempio la musica allegra rende le persone più gentili e con una tazza di caffè caldo in mano gli altri ci paiono più piacevoli. Pare che persino i giudici emettano sentenze meno severe la mattina presto e dopo i pasti. L’analisi sul ruolo delle emozioni entra, quindi, nel dibattito giuridico e investe questioni procedurali, come l’opportunità di utilizzare fotografie e video durante il dibattito processuale.
Tutta la comunicazione è impregnata di adesioni emotive alle diverse posizioni in gioco: ciò accade in misura crescente via via che l’informazione si mescola alle immagini e alle interpretazioni personali. La comunicazione odierna, nei più disparati ambiti, utilizza il registro delle emozioni e anche noi lo facciamo nel portare argomenti alle nostre considerazioni. Sarebbe meglio essere consapevoli dalla nostra dipendenza dalle emozioni, non solo per avere minore sicurezza circa la nostra superiore verità ma, soprattutto, per cerare di introdurre davvero, un po’ di razionalità in più nelle nostre scelte.

Maura Franchi è laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del prodotto tipico. I principali temi di ricerca riguardano: i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand. maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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