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C’è un futuro per il nucleare in Italia?

A periodi alterni la questione dell’uso della tecnologia nucleare per la produzione di energia si ripresenta. Ne ha parlato qualche mese fa alla COP29 di Baku la premier Giorgia Meloni dicendo che “l’Italia è impegnata in prima linea sul nucleare da fusione” e che “l’intenzione del Governo è di proseguire nelle attività di sviluppo di questa tecnologia”.

Ne hanno dato conferma anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin in occasione della riunione inaugurale del World Fusion Energy Group (WFEG), prima riunione del gruppo mondiale per l’energia da fusione, promosso dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e dallo stesso Governo italiano.

La Presidente del Consiglio, alla Abu Dhabi Sustainability Week tenutasi a metà gennaio, e come riportato da RAI Radio3 in Tutta la città ne parla del 17 gennaio scorso, aveva affermato che “la fusione nucleare può cambiare la storia, perché trasforma l’energia da arma geopolitica in risorsa accessibile”.

Nella trasmissione radiofonica il conduttore Pietro Del Soldà ha chiesto a Piero Martin, fisico dell’Università di Padova ed esperto di fusione nucleare per uso civile, quali possibilità ci sono a livello tecnologico ed economico, per il nucleare, e che differenza di prospettive tra fusione e fissione.

Ma è la telefonata con cui si apre la trasmissione ad essere molto interessante e a dar luogo a dubbi e interrogativi. L’ascoltatore intervenuto si presenta come ricercatore ENEA occupato nella sperimentazione sulla fusione nucleare. Attualmente, dice, non è possibile parlare di fattibilità e di tempi nel nucleare da fusione, si è infatti ancora nella fase dimostrativa concettuale e in mancanza delle condizioni di messa a punto di una tecnologia, dato che va risolto il problema fondamentale, cioè rendere continuo e autosostenuto il processo fisico, che nelle stelle è spontaneo mentre ovviamente sulla Terra non lo è.

Introducendo la trasmissione Del Soldà dà notizia dell’intenzione, da parte del Ministro Gilberto Pichetto Fratin, di presentare e portare in consiglio dei ministri entro il mese di febbraio un disegno di legge quadro [1] per la realizzazione, la gestione e il controllo di centrali nucleari a fissione di nuova generazione.

Il 28 febbraio il Consiglio dei ministri, come annunciato, ha dato il via libera al nuovo decreto energia e, su proposta del Ministro Pichetto Fratin, ha inoltre approvato un disegno di legge per conferire una delega al Governo sul nuovo nucleare sostenibile.

“Abbiamo una grande responsabilità verso le future generazioni, ha detto il Ministro, e dobbiamo garantire loro energia più pulita, economica e sicura per un’Italia che vuole crescere ed essere più competitiva. Un progetto ambizioso su cui siamo aperti a confrontarci con tutti coloro che, al di là di ogni impostazione ideologica, hanno davvero a cuore il futuro, la sicurezza e la crescita del Paese”. (https://www.mase.gov.it/comunicati/nucleare-sostenibile-mase-il-consiglio-dei-ministri-approva-la-delega)

Il Ministro ha poi proseguito spiegando che si tratta di una completa rottura rispetto alle esperienze precedenti: avendo come obiettivo quello di raggiungere i target di decarbonizzazione e sicurezza energetica, “si guarda a fusione e a fissione di nuova generazione con strumenti completamenti diversi rispetto alle grandi centrali”, usando il nucleare, fonte di energia green, programmabile e continua, che dovrà garantire energia sufficiente a prezzi accessibili, riducendo i costi e migliorando la competitività”.

Il Governo intende regolamentare tutto il ciclo di vita dell’energia nucleare, creando un programma nazionale che include la sperimentazione, la costruzione e gestione dei nuovi impianti e quella del combustibile, seguendo un approccio di economia circolare, ma anche lo smantellamento degli impianti esistenti e la gestione dei rifiuti.

A proposito del nucleare e del ddl del governo di notevole interesse è l’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano lo scorso 3 febbraio da Nicola Armaroli, dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche e uno dei massimi esperti italiani di questioni energetiche.

Secondo Armaroli il ddl che il ministro Gilberto Pichetto Fratin intendeva portare in Consiglio dei ministri, e che poi ha effettivamente portato, certifica “che il nucleare in Italia non si farà” in quanto “si mette nero su bianco che il nucleare dovranno pagarlo i privati”.

Non esiste un solo Paese al mondo, dice Armaroli “in cui il nucleare non sia sussidiato dallo Stato. La legge prescrive addirittura che le aziende energetiche si facciano carico della gestione dei rifiuti, incluso il deposito geologico”.

Ma è difficile pensare che qualcuno possa investire a queste condizioni, anche perché, continua Armaroli, “essendo l’Italia uno dei luoghi più difficili al mondo per fragilità idrogeologica, rischio sismico e vincoli paesaggistici, la localizzazione diventa un rebus”, un problema rilevante.

Manca inoltre un quadro economico realistico (si parla di oltre cento miliardi di investimenti): si consideri a questo proposito che nel 2022 per evitare la bancarotta il colosso nucleare francese EDF è stato nazionalizzato. I piccoli reattori modulari SMR e AMR (50-300 MW) poi, sono solo a livello di progetto e “non vi è un’azienda al mondo che li venda e non esiste un quadro regolatorio”[2]. Dei reattori avanzati AMR di cui si parla nel ddl governativo nessuno sa se e “quando sarà disponibile un prototipo, figuriamoci una produzione su scala industriale”, aggiunge Armaroli.[3]

Il problema è sicuramente intricato dal punto di vista economico e sociale, ma anche tecnico e, ovviamente, politico. Il governo di tutto ciò è consapevole, e dato che potrebbero esserci sviluppi in campo nucleare, questa è la motivazione che ha portato ad elaborare il disegno di legge in modo preventivo. Ma i problemi sul tappeto sono tanti.

Già è stato detto che i reattori che vuole il governo non esistono, un ostacolo importante è l’accettazione da parte dei territori. “Di recente, argomenta Armaroli, il consiglio regionale del Veneto si è espresso contro la possibilità di installazioni nucleari a Marghera”. Ma “il vero ostacolo è che oggi lo Stato italiano non può dedicare risorse economiche significative a questa operazione e quindi chiama in causa i privati”. E questo, più di tutti gli altri fattori, è una sorta di pietra tombale sugli sviluppi futuri del nucleare da fissione.

Oltre all’intervista di Armaroli interessante e utile (a cominciare dal titolo, Il nucleare non fa bene al clima, Einaudi 2024), il libretto scritto da Hervé Kempf, giornalista francese, fondatore del quotidiano ecologista Reporterre, e militante ambientalista, che aveva iniziato la carriera lavorando per Le Monde.

Nelle prime pagine del libro di Kempf si legge quanto per anni sia stato forte in Francia il lavoro di lobbying per orientare l’opinione pubblica a credere alle assurdità dei nuclearisti.

Francois de Rugy, nei pochi mesi in cui ha ricoperto il ruolo di ministro della Transizione ecologica e solidale tra il settembre 2018 e il luglio 2019, ha dichiarato di aver dovuto scontrarsi in particolare con alcune lobby: oltre a quelle dell’auto e della caccia, con EDF (Eletricité de France), la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia.

Spesso in Italia il paese vicino è preso ad esempio per aver scelto il nucleare per risolvere i problemi legati all’approvvigionamento energetico. Pochi dicono invece del declino di questa tecnologia negli ultimi anni; dal 2022 infatti quasi la metà delle centrali nucleari francesi è ferma ed EDF non sembra in grado di portare avanti i progetti previsti per il futuro.

Kempf, sempre all’inizio del suo saggio, espone un interessante ragionamento, premettendo che, prima di effettuare qualsiasi scelta indirizzata alla soluzione dei problemi energetici, è necessario “liberarsi della propaganda e ragionare sulla base delle informazioni”. Lo chiama “il sofisma del nucleare”: tutto ciò che emette anidride carbonica “fa male al clima”, mentre tutto ciò che non ne emette “fa bene al clima”, quindi bene le energie rinnovabili, il risparmio energetico e anche l’energia da nucleare. Ma è così?

“Per fare la scelta giusta – dice Kempf – non ci si può concentrare solo sul problema delle emissioni di gas serra, perché ciascuna opzione è ugualmente valida”. Vanno invece considerati altri criteri e altri fattori, come la pericolosità delle tecnologie che si intendono adottare, la loro fattibilità, i costi economici e infine, ma estremamente importanti, le conseguenze sulla vita quotidiana e il tipo di società che tali scelte implicano.

Tra quanto scrive Kempf riguardo al fattore pericolosità del nucleare e, nello specifico sull’incidente di Černobyl’, cito solo il rapporto che dovrebbe essere pubblicato entro l’anno in corso da UNSCEAR, il Comitato scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti, sulla relazione tra basse dosi di radiazioni e malattie cardiovascolari, a riprova degli effetti protratti nel tempo della pericolosità delle sostanze emesse dalle centrali in caso di incidenti. Kempf parla di “incidenti che non finiscono mai.

Un aspetto interessante è poi la vulnerabilità degli impianti nucleari al riscaldamento globale. Molto banalmente l’aumento delle temperature “prevedibilmente andrà a influire sulle risorse idriche“ – di cui le centrali hanno grande necessità per il loro funzionamento – e creerà le condizioni per eventi estremi che gli impianti dovranno sopportare.

Alla fine del breve saggio Kempf titola l’ultimo capitolo “Dobbiamo scegliere: nucleare o sobrietà”, affermando che “la questione dell’energia nucleare è non solo scientifica, ma anche politica”. Non solo è una tecnologia antitetica ai principi democratici per le inevitabili implicazioni con gli usi militari, ma principalmente perché “centralizza” la produzione di energia che vi viene prodotta in grande quantità ma in un luogo solo, e quindi – come per tutte le centrali – diventa necessario trasferirla nei luoghi di utilizzo.

L’energia da rinnovabili prevede invece impianti di dimensioni di gran lunga ridotte e una struttura produttiva diffusa territorialmente e autonoma. L’autore conclude dichiarando che “il dibattito sul nucleare non è che un paravento al rifiuto di affrontare la questione delle disuguaglianze, nel suo paese come negli altri, e il rifiuto di chiedersi in quale società vogliamo vivere”, a maggior ragione se si considera, da un lato la situazione geopolitica attuale, e dall’altro le difficoltà causate dalle ricadute del riscaldamento globale che l’umanità è chiamata ad affrontare.

In conclusione vorrei ricordare un libro uscito parecchi anni fa, nel 1981, Siti impossibili. Una geografia improbabile del nucleare, scritto da Virginio Bettini, uno dei padri dell’ambientalismo scientifico italiano. Scomparso da pochi anni, Bettini ha insegnato Fondamenti di ecologia e geografia allo IUAV-Università di Venezia, è stato parlamentare europeo nel gruppo dei Verdi e tra i principali promotori della rivista La Nuova Ecologia. E’ anche autore del libro Contro il nucleare. Ecologia e centrali nucleari uscito nel 1977.

Nella presentazione del libro Siti impossibili si legge che “a voler rispettare i parametri stabiliti dallo stesso Comitato Nazionale dell’Energia Nucleare (CNEN) non è possibile alcuna localizzazione di centrali elettronucleari in Italia” [4].

La serie di fattori che rendono problematica la scelta della tecnologia nucleare porta Bettini a giudicare la politica di localizzazione delle centrali da parte dell’Ente elettrico nazionale “un’orgia di falsi ideologici e scientifici e di ricatti nei confronti dei ricercatori e degli ‘addetti ai lavori’ che non si allineano”.

E poi, rispetto agli incentivi previsti per le comunità disposte ad accettare sul loro territorio le centrali scrive: “di sicurezza non si discute, parliamo di soldi. Questo lo slogan proposto dall’ENEL e dalla Democrazia Cristiana per rendere accettabile dalle popolazioni la logica del sito impossibile”.

Più avanti Bettini, riportando un intervento di Marcello Cini [5] pubblicato sul Manifesto del 19 aprile 1979, affronta il tema della “convivenza con la tecnologia, ovvero fidarsi degli esperti”. Afferma Cini: “al consumatore non si danno conoscenze, ma istruzioni per l’uso. Non gli si forniscono criteri di scelta, ma dépliants pubblicitari. Non si cerca di metterlo in condizione di acquisire strumenti di sapere, ma lo si ingozza di pareri di esperti. […] Certo la conoscenza senza potere non serve […]. Per questo è necessario opporsi alle centrali nucleari. Perché le centrali nucleari non sono un passo avanti verso la convivenza con la tecnologia. Sono il contrario. Sono l’asservimento della gente alla tecnologia. Sono l’utilizzazione della tecnologia per rafforzare gli attuali rapporti di potere”.

Bettini infine motiva l’esigenza di scrivere Siti impossibili anche dalla “convinzione che autore e suoi collaboratori (“ricercatori scalzi”) presso il corso di laurea in urbanistica del IUAV si sono fatti circa l’impossibilità di individuare siti nucleari in Italia. Con la ricerca sul terreno ed un lavoro sperimentale di anni hanno definito la geografia impossibile del sito nucleare, nella convinzione di rendere un servizio utile alla intera comunità nazionale”.

Tante sono le concordanze con il libro di Kempf scritto quasi cinquant’anni dopo.

Note

[1] Ne dà notizia il 23 gennaio il portale QualEnergia.it (https://www.qualenergia.it/articoli/nucleare-ecco-ddl-ritorno-atomo/), mentre AGEEI, L’agenzia di stampa sull’energia e le infrastrutture, il 18 gennaio scrive “Pronta la bozza del DDL Nucleare sostenibile” (https://ageei.eu/nucleare-pronto-il-ddl-nucleare-sostenibile-6-pagine-e-4-articoli-il-testo/).

[2] I reattori nucleari di 4ª generazione reattori sperimentali o dimostrativi secondo i criteri selezionati dal GIF (Generation IV International Forum) dovrebbero permettere di migliorare la sicurezza nucleare, ridurre la produzione di scorie, sottrarsi alla proliferazione nucleare (uso militare), minimizzare gli sprechi e l’impiego di risorse naturali e diminuire i costi di costruzione e di esercizio degli impianti; questi sistemi offrirebbero significativi vantaggi di redditività economica, eliminazione del plutonio impiegabile in armi nucleari e protezione fisica sia passiva sia attiva dell’impianto. https://it.wikipedia.org/wiki/Reattore_nucleare_di_IV_generazione

[3] https://www.linkiesta.it/2023/01/potenzialita-dubbi-e-rischi-del-nucleare-di-quarta-generazione/

[4] Il Comitato Nazionale dell’Energia Nucleare è stato un ente per la promozione dello sviluppo dell’energia nucleare per usi civili in Italia. Istituito nel 1960, nel 1982 si è trasformato nell’attuale ENEA https://it.wikipedia.org/wiki/Comitato_nazionale_per_l%27energia_nucleare.

[5] Fisico e ambientalista italiano, autore di l’Ape e l’Architetto, 1976, testo che aprì un acceso dibattito sul ruolo della scienza per grande parte del mondo della cultura scientifica italiana, e uno dei testi di formazione del movimento ambientalista allora agli albori.

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Gian Gaetano Pinnavaia

Ho lavorato come ricercatore presso l’Alma Mater Università di Bologna nel settore delle Scienze e Tecnologie Alimentari fino al novembre 2015. Da allora svolgo attività didattica come Docente a Contratto. Ferrarese di nascita ma di origini siciliane. Ambientalista e pacifista fin dagli anni degli studi universitari sono stato attivo in Legambiente e successivamente all’interno di Rete Lilliput di Ferrara fin verso il 2010. Attualmente faccio parte della Rete per la Giustizia Climatica di Ferrara. Sono socio dell’Associazione culturale Cds OdV – Centro ricerca Documentazione e Studi economico-sociali, del cui direttivo faccio parte e collaboro da anni all’Annuario socio-economico ferrarese. Nel 1990 sono stato eletto con la lista “Verdi Sole che ride” nel Consiglio Comunale di Ferrara fino al 1995; in seguito, dal 1999 al 2004 consigliere della Circoscrizione Nord per la lista “Verdi”.

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