Skip to main content

Comincia oggi su Ferraraitalia una rubrica, e una collaborazione, a cui molto tenevo e che, credo, molto sarà apprezzata dai lettori: dai  ferraresi ma anche dai parlanti un altro dialetto, o da chi non parla e non capisce alcun dialetto. Il dialetto, ormai dovemmo averlo imparato, non è una ‘cultura minore’ – anzi per questo giornale le culture, le letterature, i generi  ‘minori’, non esistono proprio. Quel che conta è la qualità della scrittura e di quello che scrivi. Grazie dunque a Ciarìn che ha accettato di curare questa rubrica.
(Effe Emme)

Da bambino, negli anni ’50, non parlavo dialetto ma lo sentivo intorno a me: lo usavano i più grandicelli, gli adulti, i nonni. Era normale al mercato, in bottega, in piazza.
I miei lo parlavano fra di loro, come pure le famiglie intorno. Impossibile non assorbirlo.
Io non potevo. Se mi scappava una parola ricevevo una cépa… si doveva usare l’italiano in casa come a scuola.

Un giorno, imparando a pedalare in biciclino senza ruotine, mio padre mi lasciò andare. Quando mi accorsi che ero solo, gridai: “Faccio la voltata?”, e lui: “An as diś briśa voltata, as diś curva!” Patapùm, per terra. Ma avevo imparato una nuova parola in lingua. E sei parole in dialetto, da tenere in serbo!

Andando d’estate ‘in parenti’, nel bar/latteria di Gualdo ero al zitadìn (al fiòl ad Mario) che i grandi prendevano in giro: “El vera che a Frara agh è i tram col tiràch?” e ridevano, perché io non sapevo rispondere. Però invidiavo la libertà dei miei coetanei: si esprimevano in dialetto, giravano scalzi, pescavano i noni con un buslòt.

Quando si andava con i genitori nei vari campsànt, poi si faceva una visita a zii e cugini nella campagna copparese, a la Bera o a Ughiéra. Avvertivo nelle loro parlate sfumature e accenti differenti.
Un giorno avrei saputo che si trattava di varianti dialettali.

Successe, nel 1995 circa, quando nella biblioteca dove lavoravo conobbi Melanie Hinds, studentessa gallese dell’Università di Reading nei pressi di Londra a cui Giulio Lepschy, linguista di fama internazionale, aveva proposto una tesi proprio sul dialetto ferrarese. Per aiutarla, con la collega Arianna Chendi, iniziammo una ricerca di documenti storici, letterari, saggistici, sul nostro vernacolo. L’iniziativa sfociò in una corposa sezione bibliografica: poesie, commedie, manoscritti, studi, almanacchi, periodici. Inoltre compilammo l’elenco di tutte le compagnie teatrali del territorio.
Ora tutti i materiali, con ulteriori arricchimenti, sono consultabili nelle biblioteche comunali Ariostea e Bassani.

Il lavoro è diventato anche un mio interesse personale. Ho potuto conoscere autori, frequentare manifestazioni dialettali, ascoltare le storie di un tempo, partecipare in giuria ai concorsi di lingue locali, leggere poesie di ieri e oggi.
In sostanza, cogliere con passione il valore del dialetto ferrarese, della parlata dei miei genitori, della voce dei ricordi.

Iniziamo questa rubrica con l’autore Mendes Bertoni che ci porge, in versi, la sua visione del dialetto.

Dialèt fraréś

Fra i tant dialèt ch’as ciàcara in Italia
agh n’è, aη so quanti, ch’is fà dar dal sgnór;
al squaquarot, pr’esempi, nisùη l’uguaglia
tant l’è pin d’festa, ciàr, ricamadór.

L’ardent napulitàη, ch’al mónd l’incanta
coη chi sò tòη varià, pin ad calór;
e quel ad Meli, ad Porta, chi jè na canta,
e quel d’Trilussa ch’al va drit al cuór.

Ma agh’è anch quel ch’as ciàcara chi a Frara
che l’è al più sćet ad tut i sò fradié.
L’è crud, murdént e dur… na perla rara,

senza bliη bliη, né fróηzul, né pretesa.
D’na graη zinzerità ch’fà maravié,
al spècia pròpia l’anima fraréśa.

Mendes Bertoni

Dialetto ferrarese
Fra i tanti dialetti che si parlano in Italia / ce n’è, non so quanti, che si fanno dare del signore; / il veneziano, ad esempio, nessuno l’uguaglia / tanto è pieno di festa, chiaro, ricamatore. / L’ardente napoletano, che il mondo incanta / con quei suoi toni variati, pieni di calore; / e quello di Melli, di Porta, che sono un canto, / quello di Trilussa che va dritto al cuore. / Ma c’è anche quello che si parla qui a Ferrara / che è il più schietto di tutti i suoi fratelli. / È crudo, mordace e duro… una perla rara, / senza moine, né fronzoli, né pretese. / Di grande sincerità che fa meraviglia, / rispecchia proprio l’anima ferrarese.
[Tratto da: Antologia della Divina commedia (Inferno) ; e In zzà e in là : composizioni in vernacolo ferrarese / Mendes Bertoni ; tavole fuori testo di Attilio Orlandini. – Ferrara [s.n], 1986]

.

Mendes Bertoni (Ferrara 1905 – 1987)
Socio fondatore del Tréb dal tridèl, cenacolo di cultura dialettale ferrarese. Autore di poesie e commedie dialettali fra le quali La sbragunzona e Tut a l’arversa in tre atti, molto rappresentate. Si è cimentato con divertente risultato nella traduzione in ferrarese di alcuni canti della Divina Commedia.

tag:

Ciarin


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it