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Il poemetto “Viazz d’Lasagnin da Milzana” fu pubblicato inizialmente nell’almanacco “Chichett da Frara”, un canto all’anno dal 1845 al 1849. Fu poi stampato per la prima volta in unico volume nel 1925, con grande successo di pubblico.
Narra le avventure di Lasagnìn, ingenuo ma dotato d’ingegno, “quasi in grado a quindici anni di leggere da solo”, avendo frequentato con profitto la scuola. Il nostro viene invitato dal padre ad intraprendere un viaggio per conoscere le cose del mondo, non verso Ferrara ‘che la città è piena di vizi’, ma da Mizzana verso Bondeno.
Lasagnìn parte in ottobre al tempo della vendemmia, con il vecchio somaro Scapuzzón, un fagotto di vestiti, pochi scudi, molte raccomandazioni, l’elenco dei parenti da incontrare, l’itinerario di andata e il percorso per il ritorno.
Prima tappa: Cassana, (ovvero) a due chilometri dalla partenza…
Personaggi e vicende via via comiche e paradossali si dipanano in cinque canti, con alcune rime sull’esperienza teatrale dell’autore.
Si offrono ad una sorridente lettura le prime 9 sestine del poemetto di “formazione”, nella versione originale.
(Ciarìn)

Viazz d’Lasagnin da Milzana

1.

Lasagnon da Milzana, era un vilan
D’ quei che sol dir la zent, ch’j ha i rugnun gross
L’j era sta’ par fator, con Cocapan,
L’aveva fat cumerzi d’ divers coss;
O trà quatrin, e tera, l’avrà avù
Un’intradina d’ tarsent scud e più.

2.

Al spusò la Mudesta, ch’ j era fiola
D’ Mezzazarvela favar d’al Miarin
E al n’avì un mascc, ch’al la mandava a scola,
E che tutti al ciamava Lasagnin;
Qual, grazia al mistar, ch’j era al padar d’l’osta
D’ quinds ann, quasi l’alzeva da sò posta.

3.

Lasagnon che l’amava grandement
Vist al prufitt dal fiol, al pensò ben
Parchè al gniss educà più zivilment
D’ mandarl a far un viaz fin a Bunden
Tant ch’al ciapass d’ l’ om, fasend in fond
Quela che s’ ciama, pratica d’al mond.

4.

Sò madar, verament, quand la savì
Al pensier dal marì, la s’in dols fort
Parchè, la dseva, andand luntan acsì,
Chi sa s’al vadrò più, prima dla mort!
Un viaz d’ sta fatta! Oh Dio! L’ j era dsprada;
Ma par quiet vivr, in fin, la diss: Ch’al vada!

5.

Alora al padar, al ciamò al ragazz
E al gh’ diss: Sapi fiol miè, ch’a j ho fissà,
(Post ch’ a ved t’ ha dl’ inzegn, dal talentazz)
T’ vad viazand a studiar quel che t’an sà,
Essend cumun parer, che col zirar
L’om s’istruis, e impara al mond a star.

6.

A n’ voi che t’ vad chi dala banda d’ Frara
Parchè il zità è pin d’ vizi e d’ distrazion
E mi, da zovan, a n’ ho avù capara
Che essendagh capità, pr n’ ucasion,
Causa i cumpagn, a m’ guadagnò un zert quèl
Che agh mancò poch ch’ a n’ agh lassass la pèl.

7.

A t’ darò al sumar vecc, parchè l’ è quiet
T’ n’ abbi a incuntrar disgrazi par la strada;
Intant preparat in t’ un fazzulet
Na camisa, un par d’ bragh, e la tò vlada
Che t’ putrà po ligar al fagutin
In tla bastina d’ drè dal sumarin.

8.

A t’ dagh anch sò quant scud; ma abi giudizi
Che in t’ al spendar agh vòl ecunumia!
Stà luntan, caminand, dai precipizi
Fa che la bestia tiena al mez d’ la via
Parchè i sumar, va sempr’ avsin ai foss,
E s’ j scapuzza a s’ riscia d’ rompars j oss.

9.

In t’ al prim dì, t’ po andar fina in Cassana
Tant che al sumar s’ avezza a far dla strada;
In cà dal Prèt agh sta miè Cmar Mariana;
Vala a truvar: fà li la to farmada;
Al gioran dop, t’ putrà andar a Vigaran;
E po par Snedga, e acsì al Bunden pian pian.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Viaggio di Lasagnino da Mizzana

  1. Lasagnone da Mizzana, era un campagnolo / di quelli che la gente suole dire, che hanno grossi rognoni / era stato fattore, da Coccapani, / aveva fatto commercio di diverse cose; / tra quattrini, e terra, avrà avuto / un’entratina di trecento scudi e più.
  2. Sposò la Modesta, che era figlia / di Mezzacervella fabbro a Migliarino / ebbe un maschio, lo mandava a scuola, / e che tutti chiamavano Lasagnino; / il quale, grazie al maestro che era il padre dell’ostessa, / a quindici anni, quasi leggeva da solo.
  3. Lasagnone che l’amava grandemente / visto il profitto del figlio, pensò bene / perché venisse educato più civilmente / di mandarlo a fare un viaggio fino a Bondeno / tanto da crescere come uomo, facendo in fondo / quella che si chiama, pratica del mondo.
  4. Sua madre, veramente, quando lo seppe / il pensiero del marito, se ne dolse forte / perché, diceva, andando così lontano, / chissà se lo vedrò più, prima di morire! / Un viaggio di questa fatta! Oh Dio! Era disperata; / ma per il quieto vivere, infine, disse: Che vada!
  5. Allora il padre, chiamò il ragazzo / e gli disse: Sappi figlio mio, che ho deciso, / (vedendo che hai dell’ingegno, del talentaccio) / tu vada viaggiando per studiare quello che non sai, / essendo comune parere, che girando / l’uomo si istruisce, e impara a stare al mondo.
  6. Non voglio che tu vada dalla parte di Ferrara / perché le città son piene di vizi e distrazioni / ed io, da giovane, ne ho avuto un anticipo / essendo capitato, in un’occasione, / a causa dei compagni, mi guadagnai qualcosa / che mancò poco non ci lasciassi la pelle.
  7. Ti darò il vecchio somaro, perché è quieto / tu non abbia ad incontrare disgrazie per la strada; / intanto preparati in un fazzoletto / una camicia, un paio di braghe e la tua giacchetta / che potrai poi legare al fagottino / nella cestina dietro al somarino.
  8. Ti dò anche alcuni scudi; ma abbi giudizio / che nello spendere ci vuole economia! / Sta’ lontano, camminando, dai precipizi / fa che la bestia tenga il mezzo della via / perché i somari van sempre vicino ai fossi, / e se inciampano si rischia di rompersi le ossa.
  9. Nel primo giorno, puoi andare fino in Cassana / intanto che il somaro s’abitua a fare della strada; / in casa del prete ci sta la mia madrina Marianna; / valla a trovare: fa’ lì la tua fermata; / il giorno dopo, potrai andare a Vigarano; / poi per Senetica, e così a Bondeno piano piano… (continua)

Tratto da: Francesco Avventi, Viazz d’Lasagnin da Milzana, Ferrara, Liberty House, 2000.
A cura di Gian Paolo Borghi; con contributi di Gualtiero Medri e di Luciano Maino.

Conte Francesco Avventi (1779 – 1858)
Librettista per G. Rossini, C. Coccia, F. Sampieri e altri, membro della direzione del Teatro Comunale di Ferrara, colonnello della “Guardia Nazionale” contro il brigantaggio del Basso Po, bibliofilo, collezionista di libri antichi, narratore e poeta in lingua e in dialetto. Amministratore pubblico conosciuto e stimato dalla cittadinanza.  Altre note bio-bibliografiche nel testo citato.

Al cantóη fraréś: testi di ieri e di oggi in dialetto ferrarese, la rubrica curata da Ciarin per Ferraraitalia, esce ogni 15 giorni al venerdì mattina. Per leggere le puntate precedenti clicca [Qui] 

Cover: Illustrazione di Gianni Cestari, part. di pag. 54 del libro – Per gentile concessione dell’editore.

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Ciarin


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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