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Sono rimasta folgorata per la prima volta dalla scrittura di Elettra Testi quando ho letto i suoi resoconti, brillanti ironici e ariosi, sul settimanale “Ferrara e Ferrara”. Erano gli ultimi mesi degli anni Novanta e io, che ero una cultrice della prosa brillante e appuntita con quello sguardo sempre un po’ inaspettato e personale di Natalia Aspesi e Alberto Arbasino, ho ritrovato nella scrittura di Elettra Testi ciò che più amo: lo sguardo personale e originale, la capacità di filtrare il mondo e la realtà che ci circonda con quell’autoironia e attenzione che rendono esemplari e degni di nota e di gustoso ascolto e lettura anche i dettagli apparentemente più piccoli dell’esistenza.

Ho pensato che una prosa del genere avrebbe meritato e coinvolto una platea molto più ampia di quella a cui era rivolta. Poi quello stile è stato per me uno dei primi stimoli a sperimentare una scrittura diversa da quella imperante fino ad allora nei quotidiani dove ho imparato il mestiere, che sembrava dovesse essere sempre un tutt’uno con il distacco e una forma di oggettività che lascia l’autore invisibile, dietro le quinte dei fatti e degli accadimenti.

Elettra, per me, è stata un punto di riferimento e uno stimolo a uscire dall’anonimato, a raccontare il mondo anche attraverso il filtro dell’esperienza e delle sensazioni personali. Un incoraggiamento che non ho mai avuto l’occasione di rivelarle e che non  è da meno di quello di Gian Pietro Testa, suo compagno di una vita e mio caro e prezioso maestro della scuola di giornalismo.

Di lei ricordo sempre anche quell’attenzione solidale, femminile ed emancipata, ma attenta e sensibile. “Lavorare è importante”, ci teneva a ricordarmi quando, da neo mamma, la incontravo passeggiando con la carrozzina per le strade di Ferrara. Ci ho pensato spesso, alle sue indicazioni, domandandomi come avrei potuto continuare a conciliare la mia vita e il mio mestiere, che in quel momento era legato alla redazione della Gazzetta di Mantova, quasi cugina ferrarese, ma separata da un tratto lungo e faticoso di strada e di orari lavorativi proibitivi. “Il lavoro consente di fare le proprie scelte con libertà, senza quello non avrei potuto seguire la passione e vivere la vita che ho”, mi diceva.

Grazie per il sostegno e la condivisione determinante, così come per un’indicazione di stile che ha anticipato in maniera intelligente e acuta il tempo dei blogger e della comunicazione social.

Ad Elettra verrà dato l’addio sabato 2 luglio 2022, con partenza alle 15.15 dalla camera mortuaria e il trasferimento successivo in Certosa. Io non ci sarò, ahimè. In quello stesso giorno a poche ore di distanza sarò a Torino per la laurea del bambino che allora scarrozzavo tra via Carlo Mayr e via Scienze e che mi ha permesso di incontrarla poi sempre più spesso in questa sua città dove lei ha lasciato il segno. Il mio abbraccio si allungherà, enorme e stretto, a lei, a Gian Pietro e ad Enrico Testa, formidabile famiglia scrivente e pensante fuori da ogni conformismo.

 

Post scriptum
La grande scrittrice Elettra collaborava a questo quotidiano fin dalla sua fondazione, era impossibile non volerle bene e non esserle amico.  Al suo compagno di vita Gian Pietro, (per noi di ferraraitalia  e per ogni giornalista ferrarese con “la schiena dritta”) un punto di riferimento, un maestro di ironia e irriverenza e un papà affettuoso e accudente, a suo figlio Enrico Testa, va il nostro  cordoglio e la nostra vicinanza.
Francesco Monini e la redazione di ferraraitalia /periscopio

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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