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Goffredo Fofi
Un Grande maestro con la “m piccola”

Goffredo Fofi. Un Grande maestro con la “m piccola

Non sono sicuro di aver mai incontrato Goffredo Fofi. Giurerei di sì ma non riesco a collocare con precisione la situazione. Forse è stato durante uno dei Festival di Internazionale, qui a Ferrara. Ho un vago ricordo di una sua intervista dove confermava, nel passaggio tra le sue tonalità vocali, d’essere uomo ironico e provocatorio, per nulla autoriferito e anzi riluttante all’autocelebrazione e soprattutto senza il vezzo di molta intellighènzia nostrana di classificare o di escludere dalla curiosità intellettuale qualcosa ritenuto volgare.

Non è un caso che uno dei suoi libri portava come titolo la frase di un comico, ritenuto dalla critica nazional-popolare minore e, appunto, troppo popolare, cioè volgare: Sono nato scemo e morirò cretino – questo il titolo – era una frase del “macchiettista” napoletano, Nino Taranto.

Fofi era nato a Gubbio nel 1937 ed è morto l’11 Luglio scorso. Il suo più grande merito è forse stato quello di utilizzare le contraddizioni come strumento per osservare il mondo da critico, attivista e provocatore culturale o, come lui stesso amava definirsi. da “intellettuale del fare”.

Se dovessi racchiudere in una sola parola questa sua tensione intellettuale sceglierei il verbo: connettere. Ricomporre, ricucire ciò che sciattamente e distrattamente viene separato e frammentato. Infatti uno dei suoi più grandi meriti  è stato quello di non stancarsi mai di girare per  l’Italia e il mondo mettendo in contatto artisti, operai, scrittori e attivisti anche lontani tra loro.

I fili di questa rete connettiva, quella che un antropologo contemporaneo chiamerebbe meshwork, partivano da molto lontano, dai tempi in cui Fofi da ragazzo lasciò Gubbio per raggiungere Danilo Dolci in Sicilia e unirsi a lui e al sottoproletariato palermitano per combattere “lotte non violente” contro la povertà e le ingiustizie.

Qui cominciò il suo “fare”, da Cortile Cascino, dal quartiere più povero di Palermo detto anche il “pozzo della morte”, insegnando per strada ai bambini e rivendicando con uno sciopero della fame innanzitutto il diritto a nutrirsi di questi poveri bambini costretti a vivere in situazioni di massimo degrado. Venne considerato un sovversivo e fu cacciato con un foglio di via con la paradossale motivazione di “avere insegnato senza percepire uno stipendio”.

Rispondendo ad una vocazione quasi missionaria, seguì il sottoproletariato meridionale che si riversava negli anni ’60 nelle fabbriche del nord. È di quegli anni un libro inchiesta, L’immigrazione meridionale a Torino, che causò il suo allontanamento dalla casa editrice Einaudi perché considerato un testo troppo critico nei confronti della Fiat e del suo giornale di riferimento, La Stampa. Il libro venne poi pubblicato dalla Feltrinelli nel 1964.

Dopo questa esperienza nel Nord Italia, Fofi ritornò al Sud e precisamente a Napoli dove contribuì a fondare nel 1972  la Mensa dei bambini proletari coinvolgendo anche scrittrici da lui molto apprezzate coma Elsa Morante e Fabrizia Ramondino.

A proposito del libro della Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, Fofi scrisse : “…La funzione del poeta è, nella visione della Morante,…quella di chi deve mettere in guardia i lettori (il mondo) dai pericoli che covano al suo interno – il maggiore tra tutti quello dell’irrealtà -, ricordandogli la bellezza del vero, della realtà”.

Ed è in questi anni che avvia le sue attività più concrete dal punto di vista editoriale, animando e fondando riviste letterarie come Quaderni Piacentini e più avanti Lo straniero, che rappresentarono delle vere e proprie palestre per autori affermati o sconosciuti, con pagine che alternavano feroci stroncature a confronti liberi e recuperi in controtendenza come quello di Totò.

In un suo libro intervista edito da Laterza nel 2009, La vocazione minoritaria, Fofi celebrava il dovere delle minoranze di correre avanti e anticipare così le maggioranze nella libertà di proporre e progettare.

In una delle sue risposte più illuminanti del suo essere “intellettuale del fare” disse: “Una delle astuzie della società attuale è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi, a idolatrare la ricchezza e la volgarità”. E a questo proposito diceva citando l’Albert Camus di Mi rivolto, dunque siamo, che c’è sempre spazio per opporsi.

Ma non bisogna farsi illusioni, continuava, “… ci sarà bisogno di progetto, di utopia che recuperi il meglio delle passate utopie, ma non i metodi con i quali si è cercato di tradurle in realtà”.

Ma questo non è un compito per intellettuali o per profeti né tantomeno per leader populisti, questo dovrebbe essere un compito per piccoli gruppi seri e coscienziosi, persone di buona volontà che hanno una visione d’insieme e che sappiano ben fare e soprattutto che sappiano ribellarsi alle ingiustizie.

Un gruppo di persone, non tante; al massimo quante ne possa contenere una classe di scuola elementare con un… Grande maestro con la m piccola.

viva utopia, ci urge,
inesauribile –
sappiamo quanto malata
d’uomo sia la vita della terra:
mentre fiumi di fiumi ci si sperdono
invisibili attorno, e svagati
fatichiamo a inventarci nuove vele
timoni nuovi,
a interpretare correnti
[da Il Dio delle zecche di Danilo Dolci]

Cover: Goffredo Fofi  (da Pagina21 del 16/07/2025)

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Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara – Nato a Napoli. Cresciuto a Potenza fino alla maturità Classica presso il Liceo-Ginnasio Q.O. Flacco. Laureato in Fisica all’Università di Salerno. Dal 1990 vive e lavora a Ferrara, dove collabora a CDS Cultura . Autore di cinque raccolte poetiche; è presente in diverse antologie. In rete è possibile trovare e leggere alcune sue poesie e commenti su altri poeti e autori. Tiene un blog “Il Post delle fragole”: https://thestrawberrypost.blogspot.com/

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