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Perduti nella transizione

Perduti nella transizione

Se questo testo vi piace, diffondetelo. Se vi piace molto, traducetelo, prima che lo faccia l’IA, e fatelo girare. Grazie.

Così scrive Alessandro Baricco al termine del suo articolo (di libero accesso ed uso) comparso pochi giorni fa su Substack (https://substack.com/home/post/p-175604558).

Proprio pensando a una sua eventuale traduzione (traslation) mi è venuto in mente il film di Sofia Coppola , Lost in translation del 2003 che come recita la traduzione del titolo – L’amore tradotto – racconta quello che si perde nella traslation intesa non solo come traduzione, ma anche come traslazione o trasferimento di cose da un luogo ad un altro. Da un tempo ad un altro.

Ma andiamo con ordine.

L’articolo di Baricco, intitolato Gaza, inizia con un incipit programmatico e folgorante:

Adesso è difficile individuarlo, ma c’è stato un giorno, recente, in cui Gaza ha smesso di essere il nome di una terra per diventare la definizione di un limite: la linea rossa che molti di noi hanno scelto come confine invalicabile. Da quel giorno, lottare al fianco di Gaza non è più stata una scelta politica, da legittimare o da porre in discussione.

Per Baricco dunque oggi Gaza non è più solo un luogo ma un concetto, un simbolo, un confine, tanto che il futuro per il nostro autore è il luogo dove i nomi (e le cose) perdono il loro corpo. Per questa ragione, il compito del narratore dovrebbe essere innanzitutto quello di ridare carne a questi simboli, restituire cioè realtà al linguaggio.

Ma come è evidente c’è un problema di traduzione. C’è una problema di… transizione perché:

“…C’è una falda, e noi ci abitiamo giusto sopra. Da una parte la terra emersa del Novecento, con i suoi valori, i suoi principi e la sua storia tragica. E dall’altra un continente, ancora spesso sommerso, che sta staccandosi dal Novecento, spinto della rivoluzione digitale, motivato dal disprezzo per gli orrori passati e diretto da un’intelligenza di tipo nuovo.”

Ma in questi ultimi anni, anche a nostra insaputa, ci siamo dovuti schierare. Molti di noi si sono, per così dire, trovati schierati, perché non abitavano più il linguaggio del Novecento e, contemporaneamente, non abitavano ancora il linguaggio del futuro. Molti di noi si sono persi nella transizione perché hanno voluto dimenticare (o hanno rimosso) una verità scomoda:

“… non c’è niente di più pericoloso di un animale morente”.

Il Novecento entrato in agonia ha iniziato a infierire con i suoi ultimi colpi di coda, violenti e aggressivi. Lo ha fatto resuscitando una delle sue armi più terribili o meglio una sua vecchia fede (o abitudine): credere nella guerra come soluzione limite praticabile, e pagare con la distruzione e morte dei civili un prezzo accettabile con cui finanziare lo scontro tra gruppi di potere tipicamente novecenteschi.

Sia l’aggressione russa all’Ucraina sia la guerra tra Hamas e Israele affondano le loro origini in pieno Novecento.

Nel film di Sofia Coppola Lost in translation, i due protagonisti – un maturo attore in declino e una giovane neolaureata in filosofia – rappresentano, in metafora, la fase di transizione da un mondo vecchio a un mondo nuovo, dove per mondo qui si intende un po’ di tutto: il corpo, il linguaggio e ancora il modo di pensare e persino di provare emozioni.

Questi due “mondi”, nel film della Coppola, si ritrovano ospiti dello stesso hotel a Tokyo e cominciano una spontanea conversazione in cui – con quella tranquillità favorita dall’essere estranei l’uno all’altro – si scambiano pensieri e preoccupazioni, consigliandosi quale sia la strada migliore da intraprendere per essere (o tornare ad essere) felici.

Porre dunque rimedio alle brutture del “mondo” vecchio; riorganizzare le cose per preparare il nuovo “mondo”: questi sono i temi di qualunque confronto epocale. Ma in realtà, nessuno dei due “mondi” detiene tale segreto, così come i protagonisti del film non possono che limitarsi a raccontare le proprie tragedie e speranze personali.

Come dice Baricco il nostro continente è sicuramente vecchio…

“… ma è anche vero che noi – EUROPA – siamo il Novecento e che quindi nessuno lo conosce come noi: dove il Novecento è stato tragedia, e dove è stato meraviglia, noi c’eravamo, più di chiunque altro….”

E dunque quale è un modo “sicuro” per scongiurare il pericolo di perdersi nella… transizione; di trovarsi cioè schierati (a nostra insaputa), costretti a farlo o a “vagabondare” da uno schieramento a un altro?

Comprendere che gli scontri di civiltà, queste transizioni da un mondo vecchio ad uno nuovo (che non vuol dire, per forza di cose, migliore), si decidono in gran parte sulla capacità di narrazione e, ovviamente, sulla propaganda.

Si decidono cioè “… sulla efficacia con cui alcuni riescono a convertire una nebulosa di fatti…” – la distruzione di una città, l’uccisione di centinaia di donne, uomini, bambini, la devastazione di ambienti naturali – “…in storie convincenti e dunque in realtà”.

Purtroppo molte parole dell’ “animale morente” e i toni virili con i quali vengono ancora pronunciate – guerra, riarmo, muri, espulsioni, deportazioni, annessioni – sono incomprensibili e inaccettabili per molti di noi. Per i giovani di sicuro.

Nel finale del film della Coppola i due protagonisti passano un’ultima serata insieme al bar, dove dai loro sguardi e dalle loro parole è ancora evidente la magica alchimia che si è creata tra loro. Bob (il vecchio mondo!) confessa di non voler partire e Charlotte (il nuovo!) gli suggerisce di restare con lei.

La mattina dopo Bob sta per lasciare l’albergo e tra i due avviene un saluto imbarazzato e triste. Ma poi dal taxi verso l’aeroporto Bob rivede Charlotte che cammina per strada. Si ferma, la raggiunge e i due si abbracciano teneramente. Bob le sussurra qualcosa all’orecchio e infine la bacia. Charlotte piange. I due si salutano di nuovo, questa volta felici e senza dire altro.

Un finale pieno di compassione e comprensione reciproca: una perfetta traduzione dell’amore che, in questa fase così delicata, sarebbe necessaria.

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

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Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara – Nato a Napoli. Cresciuto a Potenza fino alla maturità Classica presso il Liceo-Ginnasio Q.O. Flacco. Laureato in Fisica all’Università di Salerno. Dal 1990 vive e lavora a Ferrara, dove collabora a CDS Cultura . Autore di cinque raccolte poetiche; è presente in diverse antologie. In rete è possibile trovare e leggere alcune sue poesie e commenti su altri poeti e autori. Tiene un blog “Il Post delle fragole”: https://thestrawberrypost.blogspot.com/

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