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Vite di carta. Purché lettura sia

Sono le 9 precise e sto entrando nel cortile del carcere di Ferrara; per fortuna è con me una amica con la quale affronto serena una mattinata particolare. Serena, sì. Il carcere è un posto diverso, nel nostro immaginario contiene sofferenza, deviazione, mancanza di speranza. Eppure ho accettato volentieri l’invito a partecipare alla maratona di lettura di oggi, 15 marzo, un giorno che è a un passo dalla primavera.

Ho accettato di venire a leggere un testo a mia scelta che rispecchi il titolo dato alla Prima Maratona di Lettura Ristretta (?), Leggere gli altri (é) parlare di sé, e ho scelto Italo Calvino. Ricordo bene il sollievo che ho provato quando ha detto sì un’altra socia storica dell’Associazione degli Amici della Biblioteca Ariostea, ho detto non vado da sola. In realtà ho sentito sollievo anche nel portare con me il libro di Calvino, uno dei più capaci di parlare al genere umano.

il cavaliere inesistenteNe Il cavaliere inesistente c’è l’uomo indaffarato a compiere operazioni su operazioni, fino a diventare astratto. Parlo di Agilulfo, il cavaliere che non c’è, la cui armatura lucida e in perfetto stato ricorda agli altri trasandati paladini la distanza che intercorre tra il dover essere e l’essere.

Ma noi non siamo solo le azioni che compiamo, credo di esserne certa. Scelgo allora la paginetta iniziale del capitolo quarto, che racconta la prima battaglia del giovane Rambaldo, venuto alla guerra dell’Imperatore Carlo Magno contro gli infedeli per vendicare la morte del padre.

La parodia che Calvino riversa sulla battaglia ha effetti esilaranti: Rambaldo si accorge che lo scontro è iniziato per i colpi di tosse che si alzano sempre più forti tra i suoi compagni chiusi nelle armature, mentre si alza anche il polverone dell’esercito franco in movimento. Lo stesso accade all’esercito nemico che ha preso a muoversi dall’altra parte. Quando i due polveroni si scontrano, ecco i guerrieri agire di lancia e di spada. Nulla, però, si svolge come Rambaldo si aspettava.

Altra bella tirata d’orecchi da parte di Calvino: non fissiamoci sui nostri progetti né sulle previsioni e sulle aspettative. Occorre che siamo flessibili davanti alla mutevolezza delle cose.

Rido di gusto ogni volta che leggo questa pagina, per questo l’ho voluta proporre all’uditorio. Una cinquantina di detenuti seduti nelle file dietro della grande sala in cui ci siamo raccolti. In questo stanzone spoglio sono sistemate molte sedie, non manca un palco solo accennato da uno zoccolo basso ma è ampio, è montato anche uno schermo piuttosto grande. Ci fanno attività teatrali, proiezioni e altre iniziative come quella di oggi, e voglio sperare che siano numerose.

Mentre aspettiamo che la maratona cominci e sto seduta in prima fila a guardare i nuovi arrivi, signore che arrivano a gruppetti di tre, col pass in bella evidenza e un libro tra le mani, mi scatta un’idea. Eh no, siamo venuti fino a qui con tutta la procedura che c’è da seguire per avere l’accesso e ora siamo seduti in file distanti, noi e loro. Le signore e qualche sparuto signore, i lettori venuti da fuori insomma, sistemati via via nelle prime file e ora immobili nell’attesa.

Mi alzo e vado col mio Calvino tra le mani. Vado a caso tra i lettori interni seduti dietro, chiedo cosa hanno scelto di leggere. Ho una curiosità onesta di sapere cosa propongono e rimango colpita dai libroni che si sono portati dietro, chi la Bibbia, chi una monografia su Darwin, chi la biografia di Garibaldi. Alcuni hanno portato dei testi di narrativa, ma non ne conosco gli autori né i titoli. Non importa.

il visconte dimezzatoFaccio vedere il mio Cavaliere a un ragazzo che mi ha mostrato il suo testo, nel titolo c’è una espressione del tipo fare il bene. Mi dice che lui il male l’ha già fatto, ora cerca di fare l’opposto. Beh, dico, dovresti leggere Il visconte dimezzato.

Lì viene fuori la storia complicata di uno che è stato diviso a metà da una cannonata e che dopo molte traversie viene ricucito. La metà buona e la metà cattiva da sole hanno fatto solo danni, è il miscuglio che fa di ogni uomo un uomo.

Comincia la maratona e un gustosissimo presentatore introduce noi lettori uno dopo l’altro; è così bravo da saper rispettare tempi che oso definire televisivi. Cinque minuti di lettura a testa, dopo la sua strampalata presentazione. Non azzecca una pronuncia, né del nome degli autori né dei titoli. Non si salva nemmeno il continente Asia, che lui pronuncia Asìa.

Ma la maratona procede a vele spiegate. Le due ore previste nella mattinata volano. Suppongo che accadrà lo stesso nel pomeriggio, durante la seconda sessione di letture. Alcuni detenuti leggono fluidamente, altri faticano un po’. Emozionati? Credo proprio di sì. Anche in difficoltà, con i libroni che si sono scelti.

Mi domando di quali e quanti titoli disponga la loro biblioteca. Quanto abbia inciso nella loro scelta, oltre alla penuria delle possibilità, anche la voglia di ben figurare salendo sul palco con un libro importante.

L’applauso gratifica tutti. Non ci sono momenti di spiegazione dei libri proposti, se non qualche parola a commento. Non è previsto di scambiarsi le reazioni alla lettura, che sarebbe la forma più completa di condivisione, ma è pur sempre lettura, una empatia data, un vestito buono per tutte le stagioni.

Nota bibliografica:

  • Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, Einaudi, 1959
  • Italo Calvino, Il visconte dimezzato, Einaudi, 1957

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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