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di Alessandra Zagatti

Lo stile “politicamente corretto” può essere criticato ma gli uomini di cultura hanno il dovere di contribuire a cambiare il clima urlato e la mancanza di educazione che caratterizzano il tempo in cui siamo immersi non solo in Italia.
La discussione sul Teatro Comunale Claudio Abbado e sul suo futuro richiede dunque pacatezza e attenzione per un gioiello delicato e prezioso per la nostra città.
Mi sono sempre attenuta alla regola di non commentare , per discrezione e rispetto, parole e atti di chi mi è succeduto, ma in questa occasione trovo pertinenti le critiche espresse  da Massimo Maisto in particolare sui bilanci, che sono in pareggio o utile non da ora ma dal lontano 1997, agli sponsor che evidentemente anche un manager importante non è riuscito a trovare.

Gli amministratori del Comune di Ferrara dimostrano , e non solo in questa occasione, una imbarazzante subalternità culturale.
Affermano che hanno voluto interrompere “ l’autoreferenzialità del Teatro alla politica” e poi fanno “scegliere” ad altri il Presidente del Teatro “anche” perché è di centrodestra. Si afferma che si è voluto finalmente dividere il ruolo di Presidente da quello di Sindaco quando da sempre, prima con l’Istituzione poi con la Fondazione , il Presidente del Teatro non è mai stato il Sindaco ma da lui, e non da altri, è stato “scelto”.

L’Assessore alla cultura plaude ai nomi altisonanti circolati sulla stampa , ma dovrebbe riflettere sul fatto che mentre un direttore artistico può certamente essere una personalità nazionale, i consiglieri di amministrazione di una fondazione di cui il Comune è il solo proprietario, dovrebbero essere uomini e donne autorevoli ma legati alla città e non catapultati da fuori. Persone che, quand’anche di valore indubbio, vivono altrove senza alcun rapporto con la vita culturale e sociale di Ferrara.

La nostra città non ammette “padroni” e da almeno trent’anni il Teatro Comunale non ha bisogno di essere “sprovincializzato” come testimonia il suo stesso attuale nome.
Non ha solo dato ospitalità a spettacoli realizzati altrove ma ha fatto produzioni proprie di lirica, balletto e prosa con artisti come Claudio Abbado, Luca Ronconi, Pina Baush, Bob Wilson e Susan Sontag, per citarne alcuni.
Decine di testate nazionali ed europee sono state accreditate nel nostro Teatro , fino al New Jork Times e CNN in due occasioni. Scenografie create a Ferrara sono state noleggiate in mezza Europa , a Boston e a Baltimora.
Il Teatro Comunale aveva “ lustro e prestigio nazionale “, per dirla con Vittorio Sgarbi anche prima del suo interessamento. Se vuole dare una mano per accrescerlo sarà cosa buona ma solo se verrà fatto sinceramente ed esclusivamente nell’interesse della città . E l’interesse di Ferrara e del suo Teatro non è per iniziative mediaticamente utili ma per scelte davvero solide, durature e apprezzate dai ferraresi anche per la trasparenza con la quale devono essere fatte.

Cover: Teatro Comunale Caudio Abbado, Rotonda Foschini – foto di Beniamino Marino

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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